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Il rientro dalle vacanze: come superare la crisi da ritorno al lavoro?

Rientro dalla vacanze, tra stress e ricordi

Il rientro dalle vacanze rappresenta un crocevia fondamentale per tutti i lavoratori. Gli Anni Sessanta sono ormai trascorsi da un pezzo, ma nel mondo del lavoro il periodo delle ferie estive rimane nella testa, o forse, soprattutto, nel cuore delle persone come un momento epico e irrinunciabile, la cui attesa sviluppa spesso una sorta di «sindrome da sabato del villaggio». Sono lontani i tempi in cui si partiva per la «villeggiatura» di quattro settimane, e sullo schermo della TV (in bianco e nero) scorrevano le immagini delle colonne di auto dei lavoratori delle fabbriche del Nord, stracariche di cose, a passo d'uomo il primo di agosto, sull'autostrada che da Torino conduceva verso le terre natie del Meridione.

Oggi le ferie estive sono frammentate, scaglionate, brevi, finalizzate a mille obiettivi oltre a quello, classico, ma per molti un po' desueto, del riposo; sono, o avrebbero dovuto essere, anche «intelligenti», soprattutto per evitare di trascorrere il primo e l'ultimo giorno di vacanze in fila sulle strade assolate. Ma le ferie, comunque, sono ora un ricordo: si rientra nei luoghi di vita abituali e si ricomincia: in un anno che non è stato facile e che probabilmente nasconde ancora altri sussulti derivanti dalla crisi economica e sociale del 2008 – una crisi lontana, ma ancora terribilmente presente!

Settembre è un mese magico, foriero di rimpianti e di speranze, mentre ottobre già segna la cifra del fine-anno, dell'autunno che in breve volgerà verso l'inverno. Ma perché si dimenticano così presto le ferie al rientro dalle vacanze? Brutte o belle che siano state, sembra che siano sempre destinate a passare in un lampo e, soprattutto, a lasciare poco o nulla. Di nuovo presi dal caos del lavoro, si è fatto appena in tempo a raccontare qualcosa, qualche episodio, o a fare una sintesi estrema ai colleghi più intimi e a chi ha la pazienza di stare lì ad ascoltare il racconto di vacanze che non ha vissuto… Poi, tutti, subito, concentrati sul proprio ruolo, sulle attività, sui compiti da svolgere e sugli immancabili obiettivi - gli odierni “totem aziendali” - che devono essere per forza perseguiti e realizzati, pena la sconfitta e, nei casi peggiori, il rischio di perdere il lavoro. E già: perché oggi questo rischio è diventato realtà e potrà ripresentarsi ancora nei mesi autunnali ed invernali, poiché, come tutti sappiamo, alle crisi economiche seguono le crisi occupazionali: quelle, cosiddette, dell'economia reale. 

Il rientro dalle vacanze: come si supera?

 

 

 

Il rientro dalle vacanze e gli effetti dello stress 

Gli effetti dello stress-post vacanze sono molti, ma in particolare vorrei soffermarmi su un concetto di cui tutti possono fare esperienza. Le ferie si dimenticano presto: alcuni studiosi americani chiamano questo effetto dello stress post-vacanze "post-holidays blues". Questo scherzo della memoria è causato da una serie di motivi: il primo è sicuramente la breve durata. Pochi giorni di ferie non aiutano a "staccare" dal lavoro, e non ci fanno conservare un ricordo forte delle vacanze. Le ferie estive oggi sono spesso suddivise in una o più tranche di breve durata. Non solo: a volte le nostre vacanze sono vissute abbastanza di corsa tra aeroporti e spostamenti. In questo modo è difficile che rimanga un ricordo consolidato. 

Un altro effetto dello stress post-vacanze riguarda il rientro in un ambiente conosciuto. Spesso si può avere la sensazione di non aver mai lasciato il posto di lavoro. Il passato e il presente annullano facilmente quel breve periodo intermedio, vissuto in vacanza. Ma c'è anche un altro fattore: il nostro modo di vivere il tempo (v. Baier, 2000). Da un lato il tempo è vissuto di fretta, e rapidamente «digerito».

Il tempo è consumato, proprio come si consumano le vacanze (e ce accorgiamo al rientro dalle ferie): spesso le nostre ferie sono ridotte ad un «mordi e fuggi» insensato o finalizzate a poter dire quante cose sono state fatte in così poco tempo. Questa bramosia del tempo e la tendenza a consumare tutto ciò che nella vita si può consumare porta a non guardare al passato:  si perde anche l'antico bene della «villeggiatura», del riposo, dell'ozio, del non-fare-nulla, del lasciarsi vivere. Ciò che è passato è finito e concluso, da mettere in un cassetto mentale. Nel momento in cui si apre una nuova esperienza (il ritorno al lavoro dopo le ferie estive può essere interpretato come una nuova esperienza, anche se nulla apparentemente è cambiato) quel che è stato è chiuso, archiviato.

Manca il "guadagno secondario", quando la vacanza viene dimenticata e rapidamente messa via, non appena giunge il fatidico giorno di rientro dalle vacanze. Quale "guadagno secondario"? Non solo la vacanza non è valorizzata, ad esempio attraverso il ricordo, il parlarne, il riviverla in sé e per sé magari assaporando qualcosa che, in quel momento, non si era notato. Ma le ferie vengono proprio dimenticate, come se fossero state una parentesi, una «brutta parentesi» (generalmente si ricordano più facilmente gli avvenimenti negativi di quelli positivi), all'interno di un anno basato sul lavoro e sulla consueta vita quotidiana. 

E' vero: vi sono luoghi di lavoro nei quali ci si guarda bene dal riferire le belle avventure vissute al rientro dalle vacanze: chi torna dalle vacanze vuole evitare di suscitare le taglienti invidie di coloro che non sono proprio amici… Ma anche negli ambienti di lavoro tendenzialmente normali, o «sufficientemente buoni» (non molto diffusi, a dire il vero) le vacanze si mettono subito via, sigillate in un archivio. Magari buone da tirare fuori dopo mesi in occasione di una cena o di un dialogo sul dove andare per le prossime ferie.

Ansia da rientro dalle vacanze

Sono in molti a contare mentalmente gli anni non dal primo gennaio ma dal primo giorno dal rientro dalle vacanze estive…Tornare a lavoro, dunque, è di fondamentale importanza, dopo l'interruzione di metà anno. Rientrare dalle ferie può assumere aspetti molto diversi: il rientro in tempi di crisi economica e socio-occupazionale può anche essere causa di attesa ansiosa. Soprattutto se c'è la possibilità di aspettarsi qualche novità sgradita, la preoccupazione disturbante non abbandona facilmente la persona nemmeno nel tempo delle sue ferie estive. Se è vero, come è stato messo in rilievo da alcune rassegne giornalistiche degli anni scorsi, che la maggior parte delle persone, se potesse, smetterebbe di prestare la propria opera professionale nel luogo in cui lavora - e una buona parte di queste persone, nel farlo, andrebbe finalmente dal proprio capo a «dirgli ciò che pensa di lui…» - si deve concludere che, almeno nel nostro Paese, il lavoro spesso non coincide con un «valore», oppure è esercitato in condizioni così insoddisfacenti (Bowling, Eschleman, Wang, 2010), da allontanare le persone che devono lavorare per vivere: cioè pressoché tutti. 

Per alcuni l'idea di rientrare al lavoro e riprendere la vita autunnale è vissuta con una sensazione di noia, di ripetizione, con un certo timore o con una vera e propria angoscia. Ci si prefigura un ambiente negativo sempre uguale a se stesso, che non cambierà mai o che potrà cambiare solo in peggio. Altri sono così bravi o così fortunati da nutrire, invece, aspettative positive: il lavoro è allora sentito come un luogo in cui poter esprimere le proprie capacità e dal quale trarre motivazioni e spinte per andare avanti, crescendo non solo come professionisti ma anche come persone. In questi casi, evidentemente, è vivo e vegeto il fondamentale, sano contratto psicologico tra individuo ed organizzazione (Makin, Cooper, Cox, 1996). Ma per molte persone il rientro dalle vacanze può coincidere con una sorta di «sfida». Una sfida alla quale si è chiamati volenti o nolenti, a causa delle difficili condizioni del mercato del lavoro e delle ancor più difficili situazioni nelle quali molte imprese si dibattono da anni. E allora cosa fare se, al ritorno delle ferie, il lavoro traballa, diventa insicuro o tende addirittura a sfumare nelle ottobrate che diventano sempre più corte? 

Al ritorno dalla ferie reinventare il lavoro?

Partiamo dal presupposto della sorpresa. Attualmente la generazione dei quarantenni e dei cinquantenni è massicciamente colpita dai processi di riconversione e riqualificazione professionale. Questa generazione è così spesso macinata nei cosiddetti downsizing organizzativi (Stein, 2001). Gli stessi che sono oggi portati ad optare a favore delle proposte di uscita che presentano le grandi imprese prima di passare alla dismissione di rami d'azienda o alla chiusura di stabilimenti e filiali. Gli stessi che si ritrovano brutalmente, da un momento all'altro, senza più lavoro. Dato che il tessuto delle aziende italiane è soprattutto costituito dalle cosiddette piccole e medie imprese (PMI), in questi casi il più delle volte si passa direttamente dal lavoro al non-lavoro, senza mezzi termini e senza grande utilizzo dei cosiddetti «ammortizzatori sociali».

Dunque, la sorpresa: ciò che un tempo si leggeva sarebbe potuto capitare ai manager delle multinazionali nei momenti di crisi economica, ad un certo punto lo si è visto rappresentato nella famosa fotografia degli impiegati di Lehman Brothers che escono dall'azienda con gli scatoloni sotto il braccio: una foto stampata sulle pagine di tutti i quotidiani - e stampata nella mente di tutti noi -. Da lì a passare alla crisi italiana, fatta di mille piccole e grandi dismissioni, chiusure, ridimensionamenti, tutti meno eclatanti di ciò che è accaduto ai Fratelli Lehman, ma non per questo meno toccanti, è stato un lampo. E ad un certo momento ci si è sorpresi ad ascoltare le persone che, rientrando in fabbrica, intervistate dalle televisioni, dichiaravano in modo così deciso e forte la loro soddisfazione per riprendere il lavoro al rientro dalle vacanze: la fabbrica era ancora lì e aveva riaperto le porte!

Rientro dalle vacanze e crisi da ritorno al lavoro

 

 

Il rientro nel mondo del lavoro

Di fronte ad una crisi socio-occupazionale che comporta forti e motivati dubbi sulla continuità del rapporto di lavoro, cosa fare? La vita impone in questi casi un rapido ridimensionamento e un altrettanto rapido adattamento alle circostanze mutate. Chi non è personalmente coinvolto in tali situazioni drammatiche avrà gioco facile nel richiamare l'esigenza di accettare i cambiamenti e di individuare nelle «difficoltà» le immancabili «opportunità»: una certa letteratura «managerialese», non proprio di prim'ordine, ci ha abituati a considerare tali aspetti della vita di lavoro con una vena di cinismo (sulle relazioni tra cinismo e lavoro v. Leung, Ip, Leung, 2010). La realtà è che il trovarsi senza una continuità lavorativa e senza prospettive certe è cosa tutt'altro che semplice.

In questi casi, invece di fare finta di essere Superman è sicuramente consigliabile prendere pacatamente sul serio il proprio sconforto e ascoltare tutto ciò che di negativo proviene dalle viscere di questa esperienza. Alla sorpresa, di norma, fa seguito un momento in cui si è portati a prendere contatto gradualmente con la nuova realtà della vita. Nel contempo si abbandonano i vecchi ricordi, i legami, le abitudini del passato, le routine, non senza essersi soffermati a vivere la sofferenza che un trauma di questo genere inevitabilmente provoca (in ciascuno con modalità un po' diverse). Anche in tal caso, fare finta che nulla sia accaduto, che tutto prosegue come prima, non paga: al trauma della perdita del lavoro non è consigliabile rispondere con un'alzata di onnipotenza! 

Conviene dunque rendersi conto che perdere progressivamente la sicurezza del lavoro, o l'essere posto in una condizione forzata di sottoccupazione o disoccupazione ad un certo punto del cammino di vita (soprattutto quando non si è più giovani) rappresenta un vero e proprio attacco alla propria identità personale e sociale. La situazione di disorientamento, incredulità, spaesamento e difficoltà a rendersi veramente conto di ciò che sta accadendo ha la base in questa vera e propria aggressione che è stata subita. Ecco perché una fase di sorpresa e di disorientamento è del tutto naturale, così com’è naturale vivere una fase di tristezza, malinconia, non saper cosa fare, tendere a rifugiarsi in ambiti conosciuti e protetti. Infatti, non va trascurato l'aspetto che è legato alla «perdita», latente e silenziosa, o improvvisa ed irrimediabile, dalla quale non si può tornare indietro. E' anche a causa di questo fattore che è necessario darsi tempo e spazio al fine di vivere la situazione di perdita fino a quando essa inizierà a scomparire per lasciare il posto al recupero delle forze ed alla volontà, autentica, di rilancio personale e professionale. E’ a questo punto che si è pronti nel reinventare se stessi e il proprio progetto professionale.