Per appuntamento
La seduta può essere svolta presso il mio studio oppure online tramite videochiamata.
La seduta può essere svolta presso il mio studio oppure online tramite videochiamata.
La Serie-TV su NETFLIX, “Adolescence” ha portato alla ribalta un argomento scottante che, ad ogni fatto di cronaca nera, attira l’attenzione dei mass-media e del pubblico. Giustamente.
Le “persone pensanti”… si pongono delle domande.
Ciò che è meno comprensibile – e meno accettabile – è che non ci siano programmi di sensibilizzazione e di educazione diffusi soprattutto nel mondo dell’educazione, nel mondo della scuola.
Siamo ancora lontani mille miglia dall’educazione sessuale, dall’informazione – talvolta si parla di educazione “sentimentale”, che dovrebbe essere invece detta “educazione alle emozioni” – dallo sviluppo della coscienza e della gestione delle proprie (ed altrui) emozioni.
Le giovani generazioni continuano a NON essere educate e sensibilizzate alla vita civile, al rispetto reciproco, alla valorizzazione della persona in quanto tale, in un contesto sociale in cui troppo spesso sono proprio i genitori i “peggiori esempi” che il giovane trova sulla propria strada.
Un esempio? Che senso ha dire a un preadolescente, a un adolescente, di non stare agganciato al cellulare ore e ore, se il padre e/o la madre non fanno altro che compulsare il telefonino? Lo tengono sul tavolo a cena? Non se ne staccano nemmeno quando vanno a fare una gita domenicale?
E che senso ha permettere nelle scuole l’uso dei tablet invece che… l’uso della propria testa?
Le abitudini che si assumono da giovanissimi tenderanno a proseguire nel corso della vita.
Mi ha colpito leggere in recenti libri di PSICHIATRIA, scritti da anziani professionisti, la loro grande preoccupazione.
Preoccupati perché i giovani psichiatri non conoscono la storia della psichiatria (per non parlare della psicoanalisi e della psicologia), non leggono i testi di base ma… credono che la psichiatria stia tutta in “PubMed” e che sia nata con il DSM…
Relativamente all’adolescenza, ricordo la battuta in un film britannico in cui a un certo punto si vedevano i Teddy Boys e le gang di motocilisti nei sobborghi di Londra che si fronteggiavano e si menavano.
E due gentlemen che osservavano da lontano la scena: “Guarda che schifo, in che mondo siamo, giovani che si picchiano per strada, per nulla…”. E l’altro: “Sì, è vero, ma noi abbiamo fatto di peggio. Abbiamo fatto la guerra”.
Dunque, è necessario porsi la domanda.
La domanda incarnata da “ADOLESCENCE”.
Una serie Netflix in 4 puntate che ogni genitore di preadolescenti e adolescenti dovrebbe vedere.
Certo, nel caso rappresentato da “Adolescence” siamo ai livelli della massima tragedia, cioè la morte. Una morte che, al di là della serie, può essere voluta o occasionalmente causata, incidentale o preordinata, frutto di un odio represso o dello scatto del momento.
E qui veniamo a un punto cruciale: per una quantità di fattori sociali e psicologici che non sto qui a richiamare, oggi la vecchia “NEVROSI DI IMPULSO” torna alla ribalta.
In che senso?
Si tratta dell’atto impulsivo, del non controllo di sé, del momento in cui i giovani dicono “Mi parte il neurone!”, “non ci vedo più”, “mi scatta il matto”!
Vogliamo parlare di “discontrollo emotivo”, di “disturbo da disregolazione dell’umore dirompente”…
Non serve dare o usare etichette. SERVE CAPIRE!
Capire che non solo negli adolescenti, ma anche nei bambini, nei ragazzini – che sono troppo spesso, oggi, diagnosticati “ADHD” – si nota una grave mancanza di controllo delle proprie emozioni, con un fondo di rabbia e irritabilità, nervosismo e tensione che scattano al minimo segnale che in qualche modo “provoca” il soggetto.
Non serve dare “diagnosi” da parte dei genitori i quali non solo, troppo spesso, capiscono poco e parlano poco con i loro figli, ma poi li etichettano pure apponendo uno stigma negativo!
Le diagnosi servono agli specialisti, ai professionisti per parlarsi tra loro, per individuare le situazioni, per riflettere, per porre le basi per le terapie, psichiche e/o psicofarmacologiche. Ma anche ambientali, sportive, educative, sociali…
CIÒ CHE SERVE È PARLARE, PARLARSI, COMUNICARE, raccontare ai giovani di quando “noi” siamo stati giovani, toglierli dai social, insegnargli a riconoscere un albero invece che a denominare le marche dei cellulari.
Insegnargli a parlare e “accarezzare” (affettivamente, fisicamente) l’altro sesso invece che andare sui siti porno, indulgendo nell’autoerotismo.
Altrimenti, come dicono gli psichiatri e gli psicoterapeuti quando parlano con gli adolescenti che hanno commesso atti gravi di violenza, sadismo e aggressività, alla domanda “Perché? Perché lo hai fatto?”…non c’è risposta.
MANCANO LE PAROLE. QUINDI MANCANO I PENSIERI. QUINDI MANCA LA CONSAPEVOLEZZA.
Manca ciò che oggi si indica come “capacità riflessiva” e “mentalizzazione” (e non sono capacità che si sviluppano dall’oggi al domani!).
“LE PAROLE PER DIRLO” è il titolo di un bel libro di Marie Cardinal. Ebbene, è anche di questo che hanno bisogno i giovani: di PARLARE, SAPER PARLARE e, insieme, SAPER PENSARE. Apprendere a riflettere.
Invece, ciò che noi di continuo vediamo, è un giovane che commette un reato e una famiglia attonita, sconvolta, quasi come se fosse da un’altra parte.
I vicini che dicono (anche verso gli adulti omicidi) “Era una persona così tranquilla, normale…”.
E la scuola che non vede, troppo impegnata a “fare il programma”, in aule che oggi dovrebbero essere con pochi studenti – visto il calo di natalità – e, invece, non si capisce perché, sono di 25-30 persone…
Ma cosa vuoi insegnare – non dico “educare” – se hai davanti 30 persone? Nulla.
Negli anni in cui studiavo Psicologia, anni Settanta, venne tradotto in italiano un bel libro, istruttivo, valido ancora oggi, nonostante che l’autore lo avesse scritto a inizio anni Sessanta: “L’ADOLESCENZA. UNA INTERPRETAZIONE PSICOANALITICA”, di Peter Blos (una persona di rara umanità).
Qui si legge: “I meccanismi di stabilizzazione caratteristici dell’adolescenza comprendono meccanismi di difesa, di adattamento, di restituzione e di compensazione… Parecchi o tutti i meccanismi di stabilizzazione possono essere impiegati simultaneamente”.
Sono proprio questi meccanismi di stabilizzazione che, oggi, difettano a tanti adolescenti!
Dunque, è un intero sistema che andrebbe ripensato. E di corsa.
Perché ciò che accade al ragazzino, al giovane di oggi, può esitare un domani in gravi forme di angoscia o di depressione, in disturbi alimentari e dell’umore (che solo con molta fatica possono essere recuperati) in devianze comportamentali che possono condurre in prigione.
Fino a diventare, nel mondo del lavoro, soggetti intrattabili, aggressori, stalker, mobber.
Le conoscenze ci sono. Le persone competenti le abbiamo. Se i decisori si affidassero a loro, e realizzassero ciò che sappiamo, sarebbe molto.
Ma oggi, oltre alla prevenzione – visto che si è ampiamente perso tempo – si deve fare azione di recupero e cura.
Andrea Castiello d’Antonio