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Animus e Anima
Di Emma Rauschenbach Jung (1881 ‑ 1955), psicologa analista, moglie e collaboratrice di Carl Gustav Jung, vengono qui presentati due saggi, "Il problema dell'Animus" (conferenza pronunciata nel 1931) e "L'Anima nelle sue manifestazioni originarie" (scritto nel 1950, pubblicato nel 1955), preceduti da una bella introduzione ad opera di Marie Laure Colonna (il testo in lingua tedesca è: Animus und Anima (Bonz Verlag GmbH, Fellbach‑Oeffingen, 1983).
E' davvero impressionante l'attualità di questo piccolo libro che, a distanza di tanti decenni, introduce il lettore verso una reale comprensione delle differenze e delle risonanze intime del maschile e del femminile, aiutando a produrre una conoscenza di tipo profondo e sottile intorno alle manifestazioni di diversità che troppo spesso sono ancor oggi lette superficialmente ed unicamente come differenze nei ruoli, nel comportamento o nei codici linguistici.
Ma il messaggio ancor più fondamentale che emerge dalle pagine di Emma Jung è quello della necessità di riconoscimento, integrazione e di partecipazione delle parti "altre" nell'uomo e nella donna (l'Anima e l'Animus), sia per il benessere e la pienezza del singolo soggetto (v. il processo di individuazione), che per la "salute" delle popolazioni.
L'Animus e l'Anima, figure archetipiche, svolgono una funzione di cerniera tra il conscio e l'inconscio, tra il personale e l'impersonale: “si tratta di una vera e propria personalità interiore le cui proprietà sono complementari a quelle della personalità cosciente. Le caratteristiche di questi complessi, femminili nell'uomo e maschili nella donna, disturbano spesso l'adattamento dell'individuo alla realtà esterna e i suoi ideali coscienti” (p. 35). Ed ecco sorgere le due forze negative che, nella donna, possono bloccare lo sviluppo e l'armonia interiore (l'inerzia e la mancanza di fiducia in se stessa), mentre nell'uomo la lontananza dall'Anima porta ad una pseudo superiorità asettica e glaciale e, in fondo, ad uno stato di alienazione dalla natura e dal complesso della "vita".
Dunque, attraverso il modo in cui si vivono i due archetipi, ciascuno possiede le potenzialità per la realizzazione di una vita piena, intesa sia nell'ambito delle relazioni con se stessi e delle relazioni interpersonali, che nel rapporto con la natura, l'ambiente e la storia; parecchi son i punti che nella trattazione di Emma Jung richiamano i concetti terapeutici psicoanalitici (freudiani), come, ad esempio, la necessità di riconoscere le proiezioni, e quella di liberarsi dai pesi delle storie familiari, depurando le figure parentali e reintegrando in modo creativo dentro di sé la fantasia e la ragione.
Ma, come sottolinea più volte Marie Laure Colonna nella prefazione, bisogna stare attenti a non personificare ed ipostatizzare i due archetipi, differenziando il "prendere sul serio" tali immagini dal ritenerle "cose" reali e concrete; del resto, pur se tale pericolo e' insito in tutte le teorie psicoanalitiche ‑ v. ad es. quella di Fairbairn ‑ e in parecchie personologie, va sottolineato il ruolo significativo che tali, diciamo, semplificazioni giocano nella terapia e in particolare nella presa di coscienza delle proprie strutture interne.
Si tratta certamente di un testo che può essere appieno compreso solo se integrato nel contesto di una buona conoscenza della psicologia junghiana, in particolare degli archetipi, ed inoltre nell'ambito della produzione dei miti e delle fiabe, soprattutto tedesche e dei paesi del nord; ma sarebbe di grande interesse, a mio avviso, procedere ad una lettura di integrazione con la famosa opera di Sándor Ferenczi Thalassa, e, per contrasto, con Anal und Sexual di Lou Andreas von Salomè.
Andrea Castiello d’Antonio
Questa recensione è stata pubblicata nel 1993 sulla rivista GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA