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Are leaders born or are they made? The case of Alexander the Great
Questo agile ed interessante saggio è scritto da uno dei più noti consulenti di management e di organizzazione ad impostazione clinica e psicoanalitica (una persona di eccellente valore con cui ho avuto il piacere di scambiare alcune idee), autore di numerosi lavori in buona parte tradotti anche in italiano e da sua moglie Elisabet, esperta, tra l’altro, di storia dell’arte (tra i volumi tradotti in italiano vedi: Kets de Vries M. F. R. (1993), Leader, giullari e impostori. Milano: Raffaello Cortina, 1994; Kets de Vries M. F. R. (1999), L’organizzazione irrazionale. Milano: Raffaello Cortina, 2001; Kets de Vries M. F. R., Miller D. (1984), L’organizzazione nevrotica. Milano: Raffaello Cortina, 1992).
Il testo si compone di due parti distinte, la prima di genere storiografico e la seconda di genere manageriale: nella prima parte si ripercorre la vita e l’opera di Alessandro il Grande, iniziando dalle origini e dal contesto familiare, per finire alle vicende che lo condussero alla morte, passando attraverso le sue epiche imprese. Nella seconda parte, la vita e, soprattutto, le modalità di comando e di guida di Alessandro il Grande, sono utilizzate per un’interpretazione psicoanalitica del suo stile di leadership (cfr. Klein E. B., Gabelnick F., Herr P., The Psychodynamics of Leadership. Madison: Psychosocial Press, 1998), e per la esplicitazione dei pregi e dei difetti del suo modo di organizzare e condurre gli uomini, ed i fatti politici-amministrativi.
Entrambe le parti del testo risultano di grande interesse, anche sulla base dell’ampia ricognizione che gli autori hanno compiuto nell’ambito della letteratura e degli studi dedicati alla vita e alle gesta di Alessandro il Grande.
Kets de Vries introduce il libro ricordando quante volte, nel corso di seminari sulla leadership, gli sia capitato di fare riferimento alla figura di Alessandro il Grande come prototipo ed esponente di un certo, specifico stile di leadership; il desiderio di approfondire l’argomento è emerso proprio a causa di un dubbio, e cioè se il continuo riferimento a questa figura carismatica fosse, in realtà, pienamente giustificato, oppure non. Da qui prende le mosse l’analisi storica della figura del condottiero e la successiva analisi psicologica e in termini di stile di leadership.
Alessandro il Grande emerge come un condottiero tenace e sicuro di se stesso, che persevera nei suoi obiettivi, fortemente portato all’azione, con un’illimitata aspirazione ad ottenere tutto, proprio tutto, ciò che desidera.
Un uomo che aveva un sogno, un sogno che lo ha spinto avanti e lo ha condotto forse al di là dei suoi stessi piani iniziali. Non va infatti dimenticato che Alessandro il Grande, nell’arco della sua breve vita (morì a trentadue anni, il dieci giugno del 323), conquistò un’area sovrapponibile agli attuali stati della Turchia, del Libano, di Israele, dell’Egitto, della Siria, dell’Iraq, dell’Iran, dell’Afghanistan e, parzialmente, dell’India – confine sul quale si fermò a causa dell’insurrezione dei suoi soldati ormai stanchi di combattere ancora -.
In sostanza, un ottimo soggetto da esplorare in termini di psicodinamica della leadership, scoprendone anche il suo dark side, le sue psicopatologie i suoi limiti (vedi: Castiello d’Antonio A., L’assessment delle qualità manageriali e della leadership. La valutazione psicologica delle competenze nei ruoli di responsabilità organizzativa. FrancoAngeli, Milano, 2013).
In termini di stile di comando, Alessandro il Grande emerge come un ottimo Field Commander, un comandante in campo, operativo, amato dalle sue truppe, accuratamente dedito ai fatti organizzativi, logistici, di comunicazione e di immagine personale; dotato di un fine senso della strategia, ha innovato, sperimentato nuove tattiche, perfezionato gli strumenti di guerra (ad esempio, incoraggiando i suoi ingegneri a pensare creativamente e a sperimentare nuovi mezzi offensivi), ascoltato il parere dei suoi comandanti.
Deciso e rapido nel prendere le decisioni, amante della sorpresa, ha sempre studiato attentamente il campo di battaglia ed il nemico, anche al fine di capire come fare a confonderlo e a trarlo in inganno.
In battaglia era sempre alla testa delle sue truppe, riconoscibile anche da lontano per il suo elmo bianco e per le due piume che lo ornavano; prima del combattimento passava in rassegna i suo reparti, fermandosi a parlare ai soldati, dopo averli istruiti sui motivi e sulle tattiche della battaglia. Al termine dello scontro, andava ancora per l’accampamento, fermandosi a parlare con i feriti ed ascoltando i racconti del conflitto.
La capacità di comunicazione che Alessandro il Grande impiegava verso i propri uomini era, allo stesso modo, impiegata nei confronti delle popolazioni conquistate, con un grande rispetto per le religioni e per le tradizioni locali.
Portato ad andare avanti, alla conquista, non fu mai del tutto interessato a consolidare le conquiste effettuate, pur dando attenzione agli aspetti amministrativi ed organizzativi di un impero via via sempre più esteso.
In termini di capacità di leadership, Alessandro il Grande ha avuto la virtù di incarnare un sogno per i suoi uomini, un maestoso ideale, concretizzando una fantasia collettiva che, in lui, trovava il simbolo vivente.
L’uso appropriato della comunicazione, del linguaggio, dei simboli, delle cerimonie e delle figure mitologiche, ne facevano un condottiero che sapeva parlare direttamente al cuore dei propri uomini.
Prendendosi cura delle sue truppe, ne sapeva capire l’umore e assegnava al cosiddetto morale del gruppo un’importanza primaria. “Il suo stile incoraggiava l’identificazione e la solidarietà di gruppo” (p. 55), ma, insieme a tanti pregi, studiando la sua personalità e le sue azioni, emerge anche un aspetto problematico ed inquietante della personalità del grande condottiero. L’elevato livello di motivazione al successo ed alla realizzazione – basato anche sulla visione di se stesso quasi come un semi-dio e sulla volontà di superare il padre – lo ha condotto a perdere il senso del limite e a volere, da se stesso, e dai suoi uomini, molto di più di quanto si potesse ragionevolmente attendere.
Sono così messi in risalto gli aspetti narcisistici della personalità di Alessandro il Grande, l’alternanza del suo tono di umore, le difese maniacali ed altre caratteristiche, tra le quali un emergente sospetto e diffidenza anche verso i suoi più stretti collaboratori, il desiderio di vendetta e di rivalsa, che lo condussero a mettere in atto azioni di indicibile crudeltà.
Il volume è dunque di interesse sia per lo studio del soggetto in se stesso, sia per ciò che aiuta a far capire unendo le vicissitudini alla teoria della leadership.
Rimane, forse, la curiosità di saperne di più, ed anche il desiderio di scendere più in profondità, in termini di analisi psicodinamica, rispetto a ciò che è stato esplicitato. Consigliabile, in ogni caso, affiancare la lettura di questo breve scritto con i testi di base e di riferimento scritti da Manfred Kets de Vries e da altri studiosi, professionisti e consulenti, che – seguendo le antiche tradizioni dipartite dagli studi elaborati oltre mezzo secolo fa in seno al Tavistock Institute of Human Relations - impiegano l’ottica psicodinamica e psicoanalitica al fine di comprendere le vicissitudini della leadership e dei gruppi organizzati.
Andrea Castiello d’Antonio