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ATLANTE DELLE EMOZIONI UMANE
Non vi è dubbio che un “atlante” dell’umana emozione sia, oggi, quanto mai utile e opportuno.
In un tempo in cui molti giovani a stento riescono ad articolare un discorso logico e comprensibile, in cui vi è il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno (causato, tra l’altro, dall’utilizzo smodato dei device tecnologici con il loro lessico speciale), in cui nel mondo del lavoro si parla per sigle, slogan, power point, micro-messaggistica e emoticon, tornare a parlare delle emozioni, vedere le emozioni e il loro articolarsi scritto su carta, ha il merito di risvegliare nell’animo dei meno assonnati e appiattiti un moto di vitalità autentica.
Si ha davvero bisogno di ri-apprendere a parlare (anche) il linguaggio delle emozioni. Del resto, basterebbe pensare a quanti soggetti asettici, freddi e, al limite, alessitimici popolano il mondo del lavoro, e a quanti disastri la mancanza delle parole per dirlo provoca tra le persone di tutte le età. È stato scritto che spesso i giovani che diventano bulli, che perseguitano i compagni, che assaltano le compagne mettono in pratica, cioè, fanno, ciò che a parole non riescono a dire. Non hanno le parole. E, come ha recentemente ribadito Umberto Galimberti in una delle sue conferenze, chi non ha le parole non può avere nemmeno i pensieri, non riesce a pensare e quindi, di nuovo, agisce invece di riflettere, e agisce in una realtà emotivamente deprivata.
Dunque, aver raccolto e discorsivamente definito ben centocinquantasei emozioni, dalla A alla Z, corredando il testo di un poderoso apparato di Fonti e Approfondimenti, costituisce un prezioso dono che l’autrice, Tiffany Watt Smith, ha voluto fare alla comunità degli specialisti ma anche a tutte le persone in generale: infatti, lo stile discorsivo, l’aver richiamato elementi storici, culturali, antropologici, etimologici, artistici e filosofici, dona a questo libro il carattere di lettura globale e versatile, una lettura che può essere apprezzata dalle persone di cultura e da chi vuole avvicinarsi a questo mondo – che è, poi, il proprio mondo, il mondo più intimo che vi sia, la sfera emotiva!
Nella ricchezza del testo si possono notare i riferimenti che compaiono nella sezione finale, quella sopra citata delle fonti, in cui si leggono richiami alla filosofia e alla psicologia (Kierkegaard e Sigmund Freud, sono evocati per la voce Angoscia), alle produzioni cinematografiche (il Taxi Driver di Martin Scorsese per la voce Solitudine), all’alta politica (per il lemma Umiliazione è richiamato Abraham Lincoln), e con la voce Shock si scoprono i riferimenti a Shakespeare e a von Goethe. Ma ciò che coinvolge il lettore è l’analisi etimologica, puntuale ed intelligente di così tanti concetti, di così tante parole che, spesso, usiamo senza troppo pensare e senza nulla sapere: alla voce Delusione si legge, così, che “la parola inglese che esprime questa emozione rimanda a un appuntamento mancato (disappointment)” (p. 93), e introducendo la voce Nostalgia si scopre che “nel 1688 uno studente di medicina di nome Johannes Hofer scrisse un trattato su una misteriosa malattia divampata tra i soldati mercenari svizzeri che combattevano oltre i confini del loro paese… La malattia avanzava portandosi dietro letargia e tristezza, ‘frequenti sospiri’ e ‘sonno agitato’” (p. 203). Procedendo, si ha pure il piacere di scoprire parole nuove come, ad esempio, Abhiman, una emozione citata dai Veda, Ruinenlust, cioè “l’attrazione irresistibile che qualcuno prova nei confronti dei palazzi fatiscenti e dei luoghi abbandonati” (p. 251), o Żal, “la malinconia provocata da una perdita irreparabile” (p. 325). Si scoprono emozioni che hanno un loro nome soltanto in determinate culture, mentre colpisce la definizione assai sintetica della voce Dolce far niente: “il piacere di non fare niente” (p. 109).
Infine, una nota sull’autrice, Tiffany Watt Smith, di cui ricordiamo innanzi tutto un libro su un argomento inconsueto come è Schadenfreude. La gioia per le disgrazie altrui. Un lavoro che può ben integrarsi con ciò che è trattato in altri due testi: La vita segreta della mente. Come funziona il nostro cervello quando pensa, sente, decide, di Mariano Sigman, e Rumore, Un difetto del ragionamento umano di Daniel Kahneman, Olivier Sibony e Cass R. Sunstein (tutti editi da UTET).
Tiffany Watt Smith è componente del comitato direttivo del Centre for the History of the Emotions, ed è docente presso la Queen Mary University di Londra. Nel 2014 è stata inclusa dalla BBC tra i New Generation Thinkers, e nel 2018 le è stato assegnato un importante premio per la ricerca scientifica, il Philip Leverhulme Prize.
Andrea Castiello d’Antonio
Questa recensione è stata pubblicata sulla rivista “Qi – Questioni e Idee in Psicologia”, numero 112, OTTOBRE 2024.