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La seduta può essere svolta presso il mio studio oppure online tramite videochiamata.
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Una tautologia aiuta a spiegare una semplice idea, che è però ampiamente ignorata da pubbliche amministrazioni e da importanti gruppi semipubblici.
Da tempo ci si lamenta di manager che non sanno fare il loro lavoro, che evitano di assumersi le responsabilità o, peggio, operano per salvaguardare fini personali – fosse anche solo quello di rimanere dove sono e conservare stipendio e potere.
Il deragliamento manageriale così visibile nel nostro Paese ha molti aspetti, a cominciare da ciò di cui si occupa Jennifer Taub nel suo recentissimo libro Big Dirty Money: The Shocking Injustice and Unseen Costs of White Collars.
I crimini commessi dai colletti bianchi (non solo manager) che sorprendentemente destano meno allarme sociale dei crimini di strada, ma che in USA è stato stimato dall’FBI che costano alle vittime fino a 800 miliardi di dollari l’anno!
Ci si può chiedere quanto costi a tutti noi, in Italia, la gestione mafiosa, clientelare, delinquenziale o semplicemente basata sul familismo amorale così diffuso da noi…
Danni economici, certo, ma anche danni relativi alla fiducia che il cittadino nutre verso gli apparati della pubblica amministrazione, o che il cliente nutre verso le aziende di servizi e di produzione.
In USA gli scandali di grandi banche come Wells Fargo e Lehman Brothers, o gli impeccabili Codici Etici mai realmente applicati come nel caso del crac di Ernon Corporation si sommano a numerosi altri casi. In Italia abbiamo avuto esempi eclatanti di mala gestione consapevolmente finalizzata che hanno riguardato numerose banche locali e persino la “banca più antica del mondo” (!), cioè il Monte dei Paschi di Siena.
Andando oltre l’aspetto criminale di ciò che si può eufemisticamente definire il comportamento disfunzionale dei manager si aprono le porte agli aspetti soggettivi della persona, quindi non “cosa fa”, ma “chi è” il candidato-manager. E qui entra in gioco ciò che in Italia è ancora considerato un “di più”, qualcosa che non si deve fare – sembra brutto… - meglio evitare, o si fa solo in casi estremi.
Si tratta della valutazione psicologico-organizzativa delle qualità personali – soggettive, interiori – della persona che aspira al ruolo manageriale, come ho proposto nel mio libro L’assessment delle qualità manageriali e della leadership.
Non è ancora chiaro che, come per pilotare un aereo, quando si mette in mano a un dirigente, o addirittura a un amministratore delegato, il destino di un’azienda, si dovrebbe essere ragionevolmente sicuri che (almeno) non sia caratterizzato da lineamenti mentali patologici. E ciò vale per chiunque abbia dei ruoli di responsabilità nel mondo delle aziende private, semipubbliche e della pubblica amministrazione – pubblica amministrazione che, fino a prova contraria, dovrebbe rappresentare lo Stato e dare il buon esempio ai cittadini…
Anche quando si opta per fare valutare il candidato-manager in termini non tecnico-professionali, ma relativamente alle soft skills, si può incorrere in almeno due errori.
Volendo fare un intervento serio per scegliere i futuri manager, si dovrebbero applicare 2 delle metodologie che abbiamo a disposizione per la selezione psicologico-organizzativa – Colloqui e interviste individuali, Metodi di Gruppo, e Test e Questionari – cioè i primi e gli ultimi, da parte di professionisti esperti, in possesso di competenze di psicologia delle organizzazioni e di psicologia clinica e di psicopatologia – vedi il mio libro La selezione psicologica delle risorse umane.
Altrimenti si continuerà a fare finta di niente, a scegliere i manager senza realmente capire che una scelta errata avrà pesanti conseguenze sul futuro. Non solo sul futuro della singola impresa o PA, ma sul futuro del Sistema-Italia.
Andrea Castiello d’Antonio