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CONSULTING PSYCHOLOGY IN NATIONAL SECURITY ORGANIZATIONS

Titolo: 

CONSULTING PSYCHOLOGY IN NATIONAL SECURITY ORGANIZATIONS

Autori: 
Laurie B. Moret, Carroll H. Greene III
Casa editrice: 
American Psychological Association, 2019. Pagg. X+175. $ 39.99.

Questo libro – collocato all’interno della collana Fundamentals of Consulting Psychology Book Series – tratta di un argomento di cui si parla poco, e ciò per molti motivi, non ultimo (naturalmente) la questione della riservatezza.

L’oggetto è sostanzialmente il contributo che la psicologia può offrire, e di fatto offre, alle NSOs, cioè alle National Security Organizations statunitensi; organizzazioni che hanno alcuni lineamenti in comune con tutte le altre istituzioni e amministrazioni (soprattutto gli enti centrali dello Stato) ma che si differenziano grandemente per una quantità di aspetti, tutti molto delicati.

Anche se il testo è evidentemente centrato sull’esperienza USA le considerazioni che sono qui esposte, e i riferimenti alle attività operative che gli psicologi consulenti (militari e civili, interni ed esterni all’istituzione) possono offrire appaiono di interesse anche per il nostro contesto, soprattutto in un momento storico in cui la cognitive warfare ha assunto un ruolo centrale.

Nell’introdurre il volume gli autori narrano della loro personale esperienza nel momento in cui sono entrati nei locali blindati del centro che li ha accolti inizialmente, richiamando anche il numero speciale della rivista Consulting Psychology Journal: Practice and Research del 2009 dedicato proprio agli interventi psicologici in tali ambiti.

Differenziando, lì ove appropriato, il ruolo degli uniformed military psychologists dai professionisti psicologi civili, e richiamando spesso le questioni legate alla sicurezza nazionale e all’etica professionale degli psicologi, gli autori espongono brevemente il campo di analisi nelle prime pagine del testo. Da queste prime frasi si può già capire quali saranno i principali argomenti che saranno oggetto di analisi, tutti concernenti da un lato il ruolo dello psicologo, dall’altro il contributo che questa figura può offrire alle numerose istituzioni che si occupano della sicurezza nazionale (e che negli USA vanno ben al di là della CIA e del Federal Bureau, includendo ad esempio i dipartimenti di Stato, della difesa e della giustizia e la DIA – Defence Intelligence Agency.

Il termine ed il concetto stesso di sicurezza nazionale possono essere declinati secondo molte ottiche differenti in relazione al vertice di osservazione e, soprattutto di intervento, includendo comunque le attività di prevenzione, deterrenza, protezione, preservazione, difesa, e disegno delle strategie di sviluppo dell’insieme di tali azioni con l’aggiunta, naturalmente, dell’aspetto di contrasto attivo e offensivo.

Il primo capitolo conduce il lettore verso una rapidissima ricognizione delle attività psicologiche militari che sono state svolte nel corso delle due guerre mondiali: sono qui richiamate le figure di eminenti psicologi che hanno contribuito a una molteplicità di attività, dalla tradizionale selezione – quando, ad esempio, si trattò di scegliere rapidamente grandi numeri di soldati, anche analfabeti, da impiegare nel primo conflitto mondiale – all’istituzione dell’Officie of Strategic Services voluto dal generale di brigata William J. Donovan (le cui attività sono state oggetto di numerosi report sotto forma di libri ed articoli). L’impiego delle competenze psicologiche nel corso del Processo di Norimberga conduce il lettore a considerare le questioni della sicurezza nazionale successive al secondo conflitto mondiale e post guerra fredda, fino ai giorni nostri, passando attraverso la tematica del terrorismo.

Alla domanda circa quali siano i ruoli e le responsabilità del consulente psicologo risponde il secondo capitolo in cui si illustrano, tra l’altro, gli EAPs – Employee Assistance Programs e gli approcci interdisciplinari che sono stati attivati, ad esempio, nei programmi di supporto agli agenti sotto copertura. Emerge, dunque, in tutte le sue forme la OP – Operational Psychology, cioè la psicologia applicata a supportare le operazioni militari. Una forma di psicologia applicata che si concretizza in una varietà di attività, dalla selezione delle forze speciali al consiglio-coaching ai comandanti, dalle attività di intelligence alle strategie di integrazione di forze militari appartenenti a diverse culture, con l’avvertenza che “è importante definire il successo nella prestazione, ma è anche importante identificare i fallimenti e comprendere le ‘storie orribili’ evidenziate dalle persone come le più problematiche per l’organizzazione” (p. 39).

Dando importanza alle culture specifiche e al senso di fiducia che caratterizza ogni ambiente, gli autori si muovo rapidamente verso le questioni della motivazione, dell’ingaggio e della costruzione di quella dimensione di durezza e resilienza spesso indicata con motti del tipo No pain, no gain, oppure When the going gets tough, the tough get going.

Gli eventi stressanti sono così discussi sia nell’ottica del debriefing, sia in quella della necessità di utilizzare situazioni che inducono stress nelle sessioni di assessment, così come in quelle di training.

Nel capitolo quinto si precisano quali debbano essere le competenze dello psicologo consulente che opera nell’ambito della sicurezza nazionale, dalla capacità di costruire relazioni professionali basate sulla fiducia alle abilità di self-awareness e self-management, tenendo conto che “la fatica, le condizioni fisiche disagiate, l’ansietà, i sentimenti di rabbia, di collera, di ostilità, e altri fattori situazionali possono talvolta compromettere la focalizzazione, la consapevolezza della situazione e l’obiettività” (p. 97).

Diversi esempi presentati come dei casi emblematici stanno ad illustrare situazioni critiche di questo genere in cui il processo di consulenza e di supporto può diventare molto difficile da mantenere e da sviluppare. In questo quadro si inserisce l’estrema attenzione assegnata alla riservatezza e alla salvaguardia di informazioni classificate, soprattutto nelle fasi di esplorazione del problema e di investigazione, tenendo sempre ben presente la differenza che passa tra muoversi e agire in base a fatti oppure in base a processi ipotetico-deduttivi.

Sia l’organizzazione-come-cliente, sia la persona-cliente, necessitano di cura nel bilanciare il raggiungimento del risultato richiesto ed atteso dai vertici con le norme etiche e deontologiche, nonché con il rispetto delle disposizioni organizzative tipiche dello specifico ambiente in cui il consulente psicologo opera. Infatti, le conclusioni delle attività di consulenza possono incidere notevolmente sul futuro e sulla carriera di singoli individui, così come essere utilizzate in modo poco trasparente al fine di supportare decisioni prese altrove o per altri motivi – una problematica, questa, comune a tutte le attività di consulenza nel campo della psicologia delle organizzazioni: “ma, particolarmente nell’area della sicurezza nazionale, ove onore e coraggio sono parole d’ordine diffuse, i consulenti devono incarnare questi principi. Se i consulenti psicologi non possiedono integrità, fiducia, o abilità di resistere alle pressioni autoritarie che possono essere illegittime o non etiche, oppure se i consulenti non sono convinti di dover resistere alle pressioni che possono offrire dei benefici al costo di sacrificare l’etica, essi sacrificheranno così anche lo status e il rispetto personale e professionale” (p. 140).

 

Andrea Castiello d’Antonio

Questa recensione è stata pubblicata il primo Settembre 2022 nel sito web DIFESA ON LINE