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DIAGNOSTIC INTERVIEWING
Cosa c’è di più importante del colloquio di diagnosi psicologica?
La fase di conoscenza interpersonale che si apre nel momento in cui un (potenziale) paziente si siede davanti a noi corrisponde all’apertura di un vero e proprio mondo. Un mondo che troppo spesso si contrae a causa dei limiti di tempo e della disponibilità generale del terapeuta (e talvolta anche dell’intervistato) ma che, in ogni caso, rimane come un orizzonte da esplorare e capire.
Ecco l’importanza di questo imponente volume curato da Daniel Segal, professore presso il Department of Psychology della University of Colorado (USA).
Segal ha chiamato a sé cinquantun colleghi i quali, insieme al curatore, hanno prodotto i diciannove capitoli che sono suddivisi nelle tre sezioni del testo; un testo che ha una sua storia, essendo giunto alla quinta edizione ed essendo stato fino ad oggi ampiamente utilizzato come volume di base nei corsi di formazione dedicati a psichiatri, psicologi e operatori della salute mentale nei paesi di lingua inglese.
La peculiarità di questa quinta edizione sta soprattutto nell’aggiornamento che il lavoro ha subito, non soltanto allineandosi al DSM-5, ma anche perfezionando e riqualificando diverse aree tematiche; vi è poi il mutamento nella direzione dell’opera dato che la quarta edizione è stata curata da Daniel Segal insieme a Michel Hersen (che con Samuel M. Turner aveva curato le prime tre edizioni), il quale ha deciso di non prendere parte a quest’ultima fatica avendo concluso la sua carriera – la sua ultima posizione lo ha visto a capo della School of Professional Psychology presso la Pacific University.
Nei contenuti, i circa dieci anni che sono trascorsi tra la quarta e la quinta edizione di Diagnostic Interviewing sono stati segnati da mutamenti sociali, culturali, nel mondo del lavoro e nel contesto degli atteggiamenti verso la vita che negli USA hanno visto la crescita del tasso dei suicidi e dell’utilizzo degli oppiacei (la opiodic epidemic). Ciò che non è mutato nel corso del tempo – come è ben sottolineato nelle prime pagine del testo – è l’importanza che gli operatori della salute mentale attribuiscono al colloquio clinico; ed ecco delinearsi le basi del colloquio, dalle skill richieste al professionista agli approcci differenziati in base alla struttura, fino a quelle che sono definite le strategie da poter applicare nel corso del colloquio.
Il testo si presta ad essere così utilizzato secondo almeno tre approcci diversi, il primo essendo quello classico inerente questo genere di opere, e cioè la consultazione in base a specifici argomenti (ad esempio: i disturbi dell’alimentazione o il quadro bipolare). Ma il lettore interessato al colloquio in se stesso (struttura, processi, dinamiche) si soffermerà sulla prima parte del testo, lì ove sono collocati i cinque capitoli che trattano delle basi dell’intervista clinica, della raccolta delle informazioni e del MSE – Mental Status Examination, mentre chi vuole entrare subito nel contesto della psicopatologia troverà ciò che cerca nella seconda sezione. Qui, infatti, sono trattate tutte le grandi forme di sofferenza mentale, dall’angoscia alla depressione, dalla schizofrenia ai disturbi dissociativi. La terza ed ultima parte è dedicata alle popolazioni cosiddette speciali, cioè i bambini e gli anziani, con un capitolo finale sull’intervista nel contesto medico e della psicologia della salute.
Un filo rosso che percorre l’intero testo è costituito dalla formulazione delle ipotesi di lavoro che sono sviluppate nel corso del colloquio e che pongono le basi per ulteriori assessment ed indagini, fino a giungere non soltanto alla diagnosi in sé e per sé, ma anche ad una (o più) ipotesi di trattamento. Diagnosi e indicazioni terapeutiche si fondono, dunque, nel corso del colloquio, sullo sfondo dell’approccio bio-psico-sociale.
E’ da tenere presente che questo volume ha come oggetto il colloquio clinico di genere diagnostico ad ampio spettro, cioè applicabile da parte di una varietà di operatori della salute mentale (pur tenendo presente le ovvie differenze nell’indagine e nell’output valutativo che possono differenziare, ad esempio, lo psicologo dallo psichiatra) e collocato nell’ambito delle strutture sanitarie ove emergono problematiche specifiche come quando è necessario intervenire d’urgenza.
Inoltre, l’ottica con la quale è affrontata la materia è quella del ricercatore, mentre ciò che può stupire è la sostanziale assenza di un punto di vista teorico nel trattare il colloquio clinico: non a caso nessuno cita l’opera fondamentale di Harry Stack Sullivan sul colloquio psichiatrico, e se si va a cercare la voce “Freud” nell’indice finale si viene rimandati ad un unico, laconico, riferimento all’opera sui meccanismi di difesa di Anna Freud.
I quattordici capitoli che sono posizionati nella seconda e terza parte presentano un’analoga struttura interna e ciò consente al lettore anche un’analisi trasversale: ogni capitolo inizia con la descrizione dell’oggetto di studio e la raccolta delle informazioni, presentando poi sezioni come l’illustrazione del caso clinico, il processo decisionale, cosa fare e non fare (Dos and Don’ts), per concludere con il sommario e, come in tutti gli altri capitoli, la bibliografia.
Infine, volendo individuare dei limiti di quest’opera, si può segnalare l’assenza di un capitolo conclusivo di commenti critici e di visione futura, ma anche (l’inevitabile, almeno in certa misura) parziale ripetitività di alcuni concetti che sono richiamati dai diversi autori nel corso dei diciannove capitoli.
Andrea Castiello d’Antonio
Questa recensione è stata pubblicata sulla rivista
Qi – Questioni e Idee in Psicologia, numero 92, Novembre 2021.
Hogrefe Italia editore