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ENTRARE NEL MONDO DEL LAVORO. MA ESISTE IL “MONDO DEL LAVORO”?

Una delle espressioni che più disorientano o atterriscono il giovane che si affaccia alla ricerca della sua prima attività professionale è contenuta nelle tre parole MONDO-DEL-LAVORO.

Soprattutto le persone più anziane che vivono in famiglia, nonni o genitori che hanno passato la sessantina, sono soliti agitare questo fantasma in genere aggiungendo espressioni del tipo

  • Poi ti accorgerai di cosa significa andare a lavorare…
  • Vedrai che tutto ciò che hai imparato fino adesso non ti servirà per niente quando entrerai nel vero mondo del lavoro!

Il mondo-del-lavoro - qualunque cosa che con tale espressione linguistica si voglia indicare - è generalmente contrapposto al MONDO-DELL’ISTRUZIONE.

In altre situazioni, l'idea del mondo-del-lavoro è evocata in contrapposizione a tutto ciò che può essere collegato al gioco, al divertimento, alla spensieratezza, al trascorrere il tempo senza dover rendere troppo conto agli altri - in definitiva: all'essere ancora sufficientemente padroni del proprio tempo… -.

Ancora, il mondo-del-lavoro viene percepito come una sorta di INCUBO in riferimento alla gioventù, all'adolescenza, alla vita in famiglia, a quel periodo di vita, insomma, nel quale la persona appare ancora vivere al riparo nella propria famiglia di origine.

NON SI CAPISCE BENE QUALI SIANO LE INTENZIONI DI COLORO CHE PROMUOVONO QUESTA VISIONE ATTERRITA ED IMPAURENTE DEL MONDO-DEL-LAVORO, questa visione da ultima spiaggia, da luogo nel quale si devono abbandonare tutte le proprie speranze e, forse, alla fine sperare solo che le cose, per fortuna o per caso, non vadano a finire troppo male…

Forse gli anziani che promulgano tali visioni apocalittiche vogliono INCONSAPEVOLMENTE VENDICARSI di ciò che è capitato loro, riproporre la propria esperienza proiettandola su figli e nipoti, tradurre le proprie angosce ormai concluse o in via di conclusione - ma sicuramente vissute - sulle generazioni future.

In ogni caso, sembra lecito abbandonare tale visione negativa della realtà di lavoro, potendolo anche fare con l'impiego di un semplice espediente, cioè di una domanda: ESISTE DAVVERO IL COSIDDETTO MONDO DEL LAVORO?

Può sembrare strano, ma la risposta è sicuramente negativa.

Infatti, non esiste UN mondo del lavoro, una realtà che accomuna tutte le situazioni di lavoro, e nemmeno un qualcosa che può avvicinarsi ad una sorta di media comune, di comune denominatore, se non riferendosi a due elementi di base che sono: l'aspetto delle regole, norme, diritti, doveri, procedure, organizzazioni e consuetudini, la maggior parte dei quali è ampiamente regolamentata dai contratti collettivi nazionali e dagli accordi integrativi. E l'aspetto delle dinamiche psico-sociali, di comportamento organizzativo, di vita di gruppo, insieme alle dinamiche nascoste, implicite, sotterranee e variegate che sottendono le relazioni socioprofessionali.

Un aspetto manifesto ed un aspetto latente: come nei sogni, per come sono stati analizzati e visualizzati da Sigmund Freud.

Ora, vediamo perché NON È POSSIBILE PARLARE DI UN MONDO-DEL-LAVORO UNIVOCO E UGUALE A SÉ STESSO, dalle caratteristiche uniforme o diffuse.

I motivi sono numerosi e diversificati.

Innanzi tutto, si deve prendere in considerazione la tipologia delle realtà di lavoro nelle loro dimensioni, per così dire, quantitative e logistiche.

Le differenze che corrono nell'entrare a far parte di un'organizzazione complessa di migliaia o decine di migliaia di individui rispetto all'inserimento in una società o in un'impresa di poche decine di persone sono notevolissime.

Forse si può affermare che da una certa dimensione di numerosità di personale in avanti le differenze tendono ad assottigliarsi, fino quasi a scomparire. Con ciò si vuol dire che la vita in un'azienda di mille o tremila persone può essere avvicinata alla vita in un'impresa di decine di migliaia di persone perché, inevitabilmente, nelle realtà più grandi - e nelle realtà immense delle più note multinazionali che hanno sedi sparse per il globo - alla fine ci si deve inserire in uno spazio bel delimitato e le procedure interne e le regole sono molto simili tra di loro.

Secondo tale primo schema di riferimento il mondo del lavoro nel quale ci si inserisce CAMBIA RADICALMENTE.

Ma finora si è trattato di osservare la faccenda solo da un punto di vista quantitativo; un secondo criterio di analisi è sicuramente quello QUALITATIVO, cioè quello che fa riferimento alla tipologia di impresa nella quale ci si inserisce.

Così, da un lato, vi è IL MONDO DEL LAVORO STATALE, la P.A., con tutte le sue ramificazioni nazionali, regionali e provinciali, differenziate per comparti e per aree e settori di attività.

A tale mondo si contrappone (spesso, nel vero senso del termine) il mondo del cosiddetto PRIVATO: le imprese, le società, le aziende, vale a dire tutto ciò che sta a galla con le sole proprie forze - o così dovrebbe essere - vivendo nel mondo della libera concorrenza.

Mentre il mondo della P.A. è praticamente un mondo di servizi al cittadino, il mondo delle imprese private si differenzia tipicamente nei due grandi blocchi delle attività produttive e delle attività di servizi. Come dire: uno stabilimento, una fabbrica, un impianto di produzione, a confronto con un'attività di vendita, di consulenza, di supporto al cliente.

In genere, LA CULTURA ORGANIZZATIVA che si incontra nel mondo della produzione risulta essere abbastanza diversa da quella del mondo dei servizi: la prima porta con sé elementi di maggiore rudezza e durezza, uno stile di gestione più fermo e un modo di lavorare più organizzato e regolamentato.

Nel mondo dei servizi si dà invece più spazio agli aspetti relazionali ed alle capacità di gestione dei clienti da parte del personale: come a dire che una cosa è lavorare con le macchine, ed altra cosa è lavorare con le persone.

Dunque, PRODUZIONE E SERVIZI costituiscono due sponde quasi opposte della stessa realtà di lavoro; tanto è vero che nelle aziende in cui tali due versanti coesistono vi è spesso una certa incomprensione - per non dire contrapposizione - tra chi si occupa della "fabbrica" e chi si occupa dello sviluppo e della vendita (factory versus delivery).

Andando ora oltre i due parametri finora considerati - la dimensione quantitativa e quella qualitativa - si deve prendere in esame un terzo fattore importante che è quello dell'esposizione della realtà organizzativa nella quale ci si inserisce alle TURBOLENZE DEI MERCATI e, in generale, dell'AMBIENTE ESTERNO.

Nonostante tutto, ancora oggi esistono delle situazioni e dei comparti o aree di lavoro nelle quali IL LAVORO È PROTETTO, il singolo dipendente ha la vita sostanzialmente tranquilla dal punto di vista del timore di vedere la propria società fallire, essere inglobata e mettere in atto una politica di ridimensionamento o di dismissione delle risorse umane.

Non ci si riferisce qui, naturalmente, alla situazione della nostra P.A. nella quale, ad ogni evidenza, ancora oggi l'ambiente di lavoro risulta essere più che protetto. Ci si riferisce, invece, a quelle organizzazioni di lavoro che per la loro tipologia, il settore di appartenenza e l'ambito in cui operano risultano essere fortemente garantiste verso il dipendente.

Rappresentato in modo figurato, è come se si volesse mettere a confronto un'ipotetica situazione nella quale le persone possono essere licenziate da un giorno all'altro, con un'altra nella quale - come si dice - se si lavora o non si fa quasi nulla non cambia molto…

Dunque, il fattore dell'esposizione alla concorrenza, l'essere inseriti in un mercato dinamico e/o globale, il dover fare i conti con la propria reale sopravvivenza, tutto ciò configura la realtà di lavoro in modo ben specifico rispetto agli ambienti protetti e garantiti.

Seguendo tale punto di vista si possono prendere in considerazione quegli aspetti che caratterizzano le imprese come enti sopranazionali (internazionali), oppure domestici.

Infatti, vivere in un ambiente socio-organizzativo che offre l'opportunità - o induce, sollecita, obbliga, a seconda dei casi - di vivere periodi della propria vita all'estero rappresenta un elemento che per alcuni potrà essere di fortissimo stimolo, mentre per altri potrà rappresentare un indice di pericolo e di disagio.

Nella pratica, vivere in una MULTINAZIONALE presenta una tipologia di opportunità ma, soprattutto, un ambiente interno/esterno particolarmente ricco e frizzante: tali imprese - che sono in genere esposte sui mercati ed alla concorrenza globale - appaiono dinamiche, veloci, e competitive, e richiedono alle persone caratteristiche specifiche per poter apportare un adeguato livello di contributo al successo imprenditoriale.

Sarebbe dunque impossibile confrontare la vita di lavoro che si svolge in un contesto simile con quella che di svolge in un'azienda localizzata in una città, o in una regione italiana, radicata nel territorio, conosciuta dai propri clienti attuali e potenziali, con una sua storia ben precisa e facilmente individuabile.

Se poi si passa ad osservare il vissuto più frequentemente riportato dai giovani neoassunti che sono inseriti nelle diverse tipologie organizzative, si possono sintetizzare diverse osservazioni utili perché aiutano a non sentirsi soli di fronte a sentimenti problematici che possono facilmente scaturire nell'impatto con il lavoro.

Nell'area del PUBBLICO IMPIEGO ci si confronta spesso con un sentimento inutilità, con la sensazione di essere un numero e uno dei tanti, con l'impressione di non essere né accolti, né gestiti dalla gerarchia, come se, tutto sommato, la nostra presenza fosse in certo modo superflua.

Di fronte a coloro che desiderano darsi da fare fin da subito si può innalzare il muro del rifiuto proposto da chi teme che il confronto con le mediocri prestazioni finora espresse e quelle dei neoassunti possa danneggiare i primi.

L'invito, paradossalmente, è quello di andarci piano, lavorare con calma, non cercare di cambiare tutto, stare a vedere come e cosa fanno «i vecchi» ed apprendere da loro.

L'inserimento nelle funzioni pubbliche - pur se con luminose eccezioni - può dunque rappresentare un deciso momento di demotivazione e di disillusione per il neoassunto che si trova a lavorare nel “ventre molle dello Stato”.

Se si confronta, all'estremo opposto, tale possibilità sconfortante di inserimento con ciò che il più delle volte avviene quando si viene assunti da una IMPRESA PRIVATA DI CARATTERE FAMILIARE, si può notare un quadro totalmente differente.

Da diverse indagini risulta che solo una piccola parte delle imprese di famiglia è gestita da manager esterni: ciò significa che il neoassunto si trova a doversi confrontare con la proprietà che dirige il lavoro e che interpreta il family business in modo peculiare.

Le pressioni sul mettersi all'opera e diventare subito produttivi sono molto forti, così come le indicazioni a conformarsi allo spirito dell'azienda, a non mettere nulla in discussione e a seguire le indicazioni che provengono dai vertici.

L'impresa familiare è il luogo nel quale massima è la pressione sulla produttività e sulla tempestività di azione e di reazione: inoltre, si vuole dal personale elevata disponibilità (ad esempio, in termini di tempo) e flessibilità rispetto alle necessità del mercato.

Inutile dire che in tali contesti le attività di formazione e di accoglimento dei neoassunti al momento del loro ingresso sono del tutto assenti.

Del resto, è noto che le PMI italiane investono pochissimo in formazione (formazione, e non addestramento tecnico) e, in genere, non si applicano nell'edificazione dei sistemi di gestione delle risorse umane.

Sono soprattutto I GRANDI GRUPPI a svolgere percorsi di formazione e addestramento professionale di ingresso articolati.

Astraendo da ciò che si è fin qui detto, i fattori della stabilità-instabilità interna ed esterna all'Organizzazione, la dimensione quantitativa e la tipologia qualitativa, la collocazione geografica e la tipologia di attività svolte, l'essere parte del pubblico piuttosto che del privato, rappresentano tutti elementi di fortissima differenziazione degli ambienti di lavoro.

Per fare un esempio, riferendosi ad una stessa tipologia di neolaureato che potrebbe essere un giovane con la laurea in Economia e Commercio - il suo cosiddetto mondo-del-lavoro potrà avere le connotazioni dell'istituto di credito locale o della multinazionale di revisione contabile, dell'ufficio amministrativo di un'industria di medie dimensioni o del ruolo commerciale in un'azienda di vendita di servizi alle imprese.

Esiste, dunque, “il mondo del lavoro”?

La domanda potrebbe del resto essere riproposta anche nel mondo dell'istruzione, chiedendosi se esiste un mondo-della-scuola uniforme o monolitico, o se esiste una realtà universitaria globalmente intesa e senza sfumature.

In tutti questi casi la risposta è, naturalmente, negativa e solo generalizzando a livelli molto elevati si può discutere del passaggio dal mondo dell'istruzione al mondo produttivo (produttivo per il singolo soggetto, nel senso che diviene un cittadino che produce reddito).

 

Andrea Castiello d’Antonio

 

Questo articolo è tratto, con alcune modifiche, dal libro di Andrea Castiello d’Antonio e Luciana d’Ambrosio Marri “COME MUOVERE I PRIMI PASSI IN AZIENDA. BUSSOLE, ATTREZZATURE, SUGGERIMENTI PER INSERIRSI AL MEGLIO NEI NUOVI CONTESTI DI LAVORO.

(Milano: FrancoAngeli, 2010)

https://francoangeli.it/Libro/Come-muovere-i-primi-passi-in-azienda.-Bussole,-attrezzature-e-suggerimenti-per-inserirsi-al-meglio-nei-nuovi-contesti-di-lavoro?Id=17870

 

v. anche: https://www.castiellodantonio.it/south-working-onboarding-e-felicit%C3%A0-lavorativa