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Una delle “nuove” manifestazioni malate della nostra società riguarda l’emergere di una fattispecie che, un tempo, era assai rara. Ne ha scritto Concita De Gregorio nella sua rubrica su La Repubblica del 24 Agosto 2021 e ha fatto molto bene perché si tratta di una manifestazione di malessere, di psicopatologia familiare, che sta prendendo piede anche in Italia. Parental Abuse, violenza intrafamiliare.
Psicologi, psicoterapeuti, avvocati, ma anche medici di famiglia, notai e forze dell’ordine sono chiamati di quando in quando ad occuparsi di figli che manifestano aggressività evidente e ripetuta verso i genitori o, comunque, verso i loro caregivers, cioè le persone che si prendono cura di loro in eventuale assenza dei genitori biologici.
Sono ovviamente i genitori in stato di sudditanza a ricercare aiuto e consiglio – esattamente come accade in pressoché tutte le situazioni in cui vi è un aggressore e una vittima (è la vittima a ricercare una via di spiegazione o una via di risoluzione al problema).
Non sempre e non tutti i genitori si rivolgono a persone esperte per un suggerimento: molto spesso il tutto continua a consumarsi tra le mura di casa, nel silenzio, anzi all’ombra della vergogna che può attanagliare i genitori e la famiglia che, ad una visione esterna, può essere percepita come un’ottima famiglia o, almeno, come un “normale” nucleo familiare. Vergogna ma non solo: desiderio di proteggere comunque i figli, imbarazzo per una situazione al limite – che “non dovrebbe succedere”, come mi diceva un padre tempo fa – ricerca fino all’ultimo di individuare da soli una soluzione, oppure attesa nell’idea che prima o poi passerà… E così via.
Ma cosa vogliono i figli? In genere, denaro, utilizzo e/o intestazione di beni, privilegi, maggiore libertà di disporre del patrimonio – mobiliare e immobiliare – della famiglia, e così via.
Dunque, una sorta di contestazione consumistica intestata sul soldo, sulla pretesa di gestire e usare ciò che i genitori, i nonni, o l’insieme del nucleo familiare ha costruito fino a quel momento.
Un fenomeno singolare.
Anche nel passato vi erano situazioni analoghe ma erano caratterizzate in modo diverso: si trattava di figli non adolescenti o giovani, bensì adulti, che dopo travagliate esistenze e rapporti conflittuali con i genitori, o dopo questione psicologiche assai più complesse, arrivavano al punto di minacciare, costringere, o richiedere l’interdizione – spesso solo dopo il decesso di uno dei genitori, dato che così era più facile aggredire il/la sopravvissuto/a.
Ricordo il caso di un figlio ormai più che adulto, laureato in Giurisprudenza ed esperto di cose legali, che finì con il rivolgersi alla madre (dopo la scomparsa del padre) con lettere raccomandate, dandole del “Lei”, citando articoli dei codici civili, minacciando cause, e tutto al fine di ottenere denaro e l’uso di una villetta al mare, a scapito della madre e del fratello. Ma si trattava di una persona altamente disturbata – pur se apparentemente normale, come capita sempre più spesso di vedere, e non solo nei fatti della cronaca nera – che aveva da tempo avuto comportamenti anomali sia verso la famiglia, sia verso altri soggetti e situazioni.
Situazioni emerse di recente vedono, ad esempio, i genitori adottivi ritrovarsi reclusi in casa, moralmente violentati dai figli adottati (giovani adolescenti), minacciati ogni volta che questi ultimi pretendono di avere denaro oppure oggetti. Trattati alla stregua di servi che tutto devono fare per loro e a cui nulla è dovuto e che – se oppongono un minimo di resistenza – possono rischiare anche aggressioni fisiche.
Nella quasi totalità di questi casi le emozioni che sono veicolate dai figli aggressori sono di pretesa violenta, rabbia, disistima, pressione morale, aggressione psicologica e fisica (ad esempio, sotto forma di spinte, urti, schiaffi, senza necessità di giungere e avere e proprie colluttazioni), e così via, accompagnate da insulti, offese, urla, voce alta, atteggiamenti minacciosi di vario genere, rimproveri, accuse e rivendicazioni di varia natura, comunque tutte orientate a manifestare il loro diritto di avere ciò che viene richiesto e preteso.
Di base, da parte di questi soggetti devianti – devianza familiare che può associarsi facilmente a devianza sociale e a comportamenti delinquenziali al di fuori delle mura di casa – vi è la convinzione di essere nel giusto e di essere perfettamente autorizzati a pretendere ciò che pretendono (ma è difficile parlare di “sensazione di essere nel giusto” per persone che non hanno il benché minimo senso del bene e del male, del giusto e dello sbagliato…).
Talvolta si tratta di giovani che sono stati molto viziati. Altre volte di giovani a cui, pian piano, tutto è stato concesso, scivolando su un piano inclinato fino alla situazione attuale.
Altre volte si deve chiamare in causa la dinamica familiare per come si è andata evolvendo nel corso del tempo, ma anche la sfera caratteriale del soggetto. In altri casi ancora si nota un aggancio tra il comportamento moralmente delinquenziale del giovane aggressore e qualche atto dei genitori che può essere usato (strumentalmente o meno) come giustificazione al comportamento violento.
Una cosa è certa: non si tratta di situazioni di facile risoluzione.
Andrea Castiello d’Antonio