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Gaslighting. Contro la manipolazione
Nei contesti sociali e, in specie, nei contesti del lavoro, tra le molteplici manifestazioni di violenza psicologica e di aggressività interpersonale – manifestazioni che ho discusso nel libro L’aggressività distruttiva nel mondo del lavoro. Il mobbing e le altre forme di violenza organizzativa (Hogrefe, Firenze, 2024) – si colloca il cosiddetto gaslighting. Un termine ormai abbastanza diffuso che prende le mosse dal film Gaslight (1944) di George Cukor (tratto dall'omonima opera teatrale del 1938 di Patrick Hamilton) in cui si narra la storia di una donna, sposata per il suo denaro da un uomo che si rivelerà molto pericoloso: infatti, lentamente, il marito riesce a insinuare nella moglie un dubbio sottile ma devastante, cioè che non sia del tutto sana di mente!
In un crescendo di manipolazione psicologica e distruzione dell’identità personale della moglie, il marito persegue un suo piano criminale fino a che è scoperto ed arrestato dalla polizia.
Come altre condizioni di manipolazione e aggressività interpersonale, il gaslighting può essere messo in atto in direzione verticale (tipico il capo che mette in difficoltà il collaboratore, quindi in un contesto di forte sbilanciamento di potere), oppure orizzontale. Ma il fenomeno travalica i confini del mondo del lavoro ed è presente – o può esserlo – in ogni contesto relazionale; si configura, quindi, come un fenomeno culturale, intriso della cultura della sopraffazione, dell’autoritarismo, della gestione tossica del potere.
Un fenomeno che può e deve essere indagato sotto la luce della psicologia, della sociologia, della storia, dell’antropologia. Ma anche nella prospettiva di una società che punta alla post-verità, intrisa di fake news e negazionismi, in cui è sempre più facile perdere il senso della realtà (soprattutto per chi fosse sprovvisto di solide basi identitarie). Nel libro sono citati esempi di noti gaslighters come Donald J. Trump e Rudolph William Louis Giuliani, detto Rudy, il quale ebbe a pronunciare la famosa frase “La verità non è la verità”!
Il lavoro di Hélène Frappat – molto istruttivo, e da leggere assolutamente da parte di chi dovesse trovarsi in situazioni simili – parte dall’analisi del film di George Cukor e passa a considerare alcune situazioni tratte dalla mitologia, concludendo con ciò che la psicoanalisi ha offerto e con ciò che il movimento femminista ha evidenziato – da considerare che il titolo originale suona Le Gaslighting ou l'art de faire taire les femmes.
Il gaslighting si configura come un vero e proprio annientamento della persona e della personalità. È citato il concetto di essere svaporati, diventati aria-vapore, cioè nulla, in balia dei venti (degli altri, degli aggressori), fino alla sensazione di essere annientati, fragilissimi nelle proprie idee e percezioni, indecisi e indeboliti. Corpi, ma soprattutto anime, di vetro, si potrebbe dire…
Riflettere su meccanismi di tal genere fa pensare alle forme moderne di tortura, lì ove la persona non viene toccata fisicamente, ma la si infrange mentalmente.
“La perdita definitiva di sé è l’orizzonte esistenziale del gaslighting… procede per gradi. Come il totalitarismo analizzato da Arendt, è un ‘inesorabile processo’… Lo scopo del gaslighting è quello di prendere il potere sulla coscienza di una persona, impedendole di accedere a qualsiasi forma di verità” (p. 56). Nelle relazioni sociali normali, per così dire, l’aggressore completa la sua opera ponendosi lui stesso nella parte della vittima, del soccorritore che sta facendo di tutto per aiutare la persona la quale, invece, è presa ormai totalmente nella trappola. Trappola nell’essere vittima, inconsapevolmente, ma nell’essere e sentirsi colpevole, coscientemente!
Il cerchio si è così chiuso. Un cerchio ancora più odioso nel momento in cui è organizzato in condizioni di disparità di potere e in cui è l’uomo – forse sarebbe meglio dire: il maschio, in senso atavico e primordiale… - ad assoggettare la donna.
Com’è intuibile (e da taluni è sperimentabile) il gaslighting può avvenire in qualunque relazione stretta, come ad esempio le relazioni sentimentali, e anche tra i giovani. Nel mondo del lavoro ci si dovrebbe chiedere se si sta facendo tutto per limitare, bloccare e punire questa ed altre manifestazioni di sopruso e violenza cosiddetta morale – cioè, psicologica e psicofisica. Siamo, infatti, nell’area del mobbing, del bossing, dell’harassment, dello stalking (unica fattispecie che ha avuto una regolamentazione chiara e giuridicamente delineata) e di altre manifestazioni di anarchico sfogo di aggressività distruttiva: aggressività talvolta consapevolmente e strumentalmente utilizzata, talaltra scaturita dalla a-normale psicologia dell’aggressore. E, nel gaslighting, come nelle altre condizioni di vittimizzazione, è importante (fondamentale!) avere un testimone soccorrevole (Alice Miller docet): come scrive Hélène Frappat “per dissipare l’effetto ipnotico del gaslighting e la confusione mentale che suscita, è necessaria la mediazione di un testimone” (p. 136).
Speriamo di avere sempre più testimoni efficaci ed autorevoli!
Andrea Castiello d’Antonio
Questa recensione è stata pubblicata sul numero 117 – Ottobre 2025, della rivista online “Qi – Questioni e Idee in Psicologia”