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Guerra
Questa che presentiamo è una riflessione sui conflitti: sui conflitti tra persone, tra gruppi e anche sui conflitti interiori, sulle lacerazioni dell’animo umano che, in certo senso, contrappongono la persona a sé stessa.
Il testo contiene due sezioni che pongono le domande centrali: la prima sezione è intitolata Può finire il conflitto? E la seconda sezione, che presenta una serie di interventi e domande-risposte raccolte nei decenni dal 1945 al 1985 porta il semplice titolo Sul conflitto. All’interno di queste dimensioni si dipana il tema dell’umana aggressività, delle condizioni che portano gli uomini a farsi la guerra – guerra intesa nel modo più ampio possibile compresa, appunto, come si diceva all’inizio, la guerra interiore: quella sorta di ebollizione dello spirito che non consente alla persona di vivere in pace con sé stessa e, quindi, di vivere in pace con gli altri.
Lungi dall’essere un testo teorico o astratto, come ben precisa nella Introduzione David Skitt, questi pensieri si agganciano alla realtà attuale e fanno riflettere su molte delle principali figure nel panorama internazionale che hanno in mano i destini del mondo, di tutti noi. Con le parole di Skitt “come abbiamo visto recentemente, anche dopo un disastro naturale come una pandemia, l’ovvia necessità di lavorare insieme in una situazione comune soccombe facilmente all’ambizione nazionalista” (p. 9) e soccombe – possiamo aggiungere – ai tanti piccoli egoismi e particolarismi che non permettono a chi detiene il potere di gestire e di decidere per altri di costruire realmente sistemi e processi sani a vantaggio di tutti.
Il conflitto, ci dice Krishnamurti, si nutre di molti alimenti: dall’ancoraggio al passato agli stereotipi, dall’incapacità di apprendere dalle esperienze alla proiezione degli aspetti più nefasti sugli altri, fino alla creazione di immagini e rappresentazione dell’Altro utili e funzionali a mantenere vivo l’odio e l’ostilità. Come sappiamo, alcuni individui – alcune nazioni – costruiscono attivamente i loro nemici allo scopo di poter deflettere all’esterno la violenza e l’odio che si cova all’interno.
Krishnamurti pone soprattutto domande e risponde molto spesso con una serie di quesiti alle domande che gli sono poste, inserendo delle considerazioni che non sono affatto scontate; ad esempio, si sottolinea l’importanza di aderire ai fatti piuttosto che trincerarsi dietro le proprie, personali valutazioni ed opinioni, insieme all’avviso di guardarsi dal considerare l’intervallo tra due conflitti, due litigi, due contrapposizioni come pace. Un avviso che vale, dal mio punto di vista, sia a livello di dialogo tra nazioni, sia nel micromondo del lavoro, ad esempio quando ci si trova in situazioni di mobbing o ad esso avvicinabili, e si confonde la pausa che l’aggressore concede con la fine delle ostilità.
Come ben sanno coloro che si occupano di tattiche negoziali, le contrapposizioni più dure nascono sempre dagli schieramenti, cioè dallo schierarsi decisamente da un lato o dall’altro delle barricate, con il che si perde del tutto anche la sola e semplice facoltà di comprendere il punto di vista altrui. Krishnamurti insiste molto su questi aspetti, sulla necessità di aspirare alla libertà del pensiero: “nel momento in cui indagate direttamente la causa della guerra, state indagando il vostro rapporto con l’altro, il che significa che mettete in discussione tutta la vostra esistenza, tutto il vostro modo di vivere” (p. 86). Costante è il richiamo alla responsabilità individuale, al fatto che lì ove vi è un conflitto, tutti, in qualche misura, ne siamo responsabili; e ciò, appunto, chiama all’autocritica, all’indagine in se stessi, e anche in questa dimensione mi sembra importante sottolineare la necessità che anche le vittime delle aggressioni conducano una propria auto-analisi al fine di comprendere le proprie falle, per così dire, cioè quegli elementi che le possono avere… rese vittime (ancora una volta un insegnamento, questo, importante se guardiamo alle molteplici forme di violenza morale nella nostra società).
Sarebbe errato pensare che in queste pagine si possano reperire risposte semplici o addirittura delle ricette sul come fare: “ciò che ci interessa è la comprensione del conflitto, non come sbarazzarci del conflitto, non come sostituire al conflitto una serie di formule chiamate pace, e neppure opporci o evitare il conflitto, ma comprenderlo” (p. 124).
La traduzione italiana di questo testo – novembre 2023 – è significativa se collocata nello scenario mondiale in cui sono vivi e incandescenti due terribili conflitti, uno nel pieno dell’Europa e l’altro in Medio Oriente (senza considerare le miriadi di piccole guerre locali che da tempo caratterizzano la nostra epoca).
Il testo esce nell’ambito della collana delle Opere di Krishnamurti per merito di un editore che, ad oggi, ha dato alle stampe più di quaranta titoli di Jiddu Krishnamurti. Per approfondire il tema del conflitto è utile consultare la seconda edizione ampliata e riveduta di Dove il tempo finisce, a firma di Jiddu Krishnamurti e David Bohm (Ubaldini, 2019), e per una biografia di Krishnamurti si veda il testo di Mary Lutyens La vita e la morte di Krishnamurti (Ubaldini, 1990).
Andrea Castiello d’Antonio
Questa recensione è stata pubblicata in
ISPER - PANORAMA RISORSE UMANE, Marzo 2024
https://www.isper.org/Autosviluppo/PAN/PAN-Panorama-Risorse-Umane.htm