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THE HANDBOOK OF STRATEGIC 360 FEEDBACK

Titolo: 

THE HANDBOOK OF STRATEGIC 360 FEEDBACK 

Autori: 
Allan H. Church, David W. Bracken, John W. Fleenor, Dale S. Rose (Curatori)
Casa editrice: 
Oxford University Press, 2019. Pp. XIII+562, £ 62.00 (Hardback)

Sono almeno venti anni che non si vedeva un trattato così ampio e completo in tema di feedback organizzativo e, in specie, di feedback a trecentosessanta gradi. La storia di questo “strumento” (prassi, metodo, approccio, stile di gestione…) è assai articolata e il manuale si fregia dell’introduzione di un eminente esponente come Marshall Goldsmith. E’ proprio Goldsmith, un pioniere del feedback a 360 gradi, a ricordare come si sia passati dal no-news-is-good-news alla necessità di ampliare gli orizzonti della comunicazione aziendale e di dare visibilità a ciò che le persone fanno (soprattutto se si tratta di key-people), offrendo loro rispetto, tempo ed attenzione, con un occhio al grado di coinvolgimento e al livello di self-improvement che esse possono sviluppare.

Partendo dal presupposto che le persone (aggiungerei: eliminati i soggetti peggiori e irrecuperabili) desiderano crescere e apprendere, cambiare e accrescere il proprio talento, diviene necessario supportarle nell’identificare le giuste opportunità di sviluppo chiarendo il valore delle loro performance e il senso del vivere nell’organizzazione; in tale direzione ogni genere di feedback, dal più semplice al più complesso, svolge un ruolo delicato ed importante.

Frutto di quarantasette autori – tutti professionisti, ricercatori e insegnanti in famose istituzioni, e tutti accomunati dall’essere chiari, pratici e diretti nello scrivere e nel resocontare le loro esperienze – il testo è suddiviso in cinque sezioni per un totale di ventisei capitoli. Dal punto di vista dell’organizzazione dei contenuti ma anche del coordinamento di tanti e così diversi autori, il lavoro che è stato prodotto appare immenso, considerando anche che ogni capitolo “tiene” il tema, non deborda, non si amplia verso altri orizzonti (cosa che accade invece spesso quando si costruisce un lavoro a più mani e tutti devono, comunque, centrare l’argomento).

Il carattere pratico del testo è riconoscibile fin dal titolo della prima sezione: 360 Feedback for Decision Making. In effetti, questo volume ha la caratteristica di considerare i processi di feedback come intrinseci alla gestione e sviluppo del capitale umano, come dei supporti al business e al management di vertice: processi che derivano dalle strategie dell’organizzazione e che sono intrisi del set dei valori che la caratterizzano.

I processi di feedback – e nel libro ne sono descritti davvero molti, oltre alla presentazione di casi concreti di applicazione aziendale in Whirpool, PepsiCo, Walmart e General Mills – devono essere compresi, applicati ed affidabili perché contribuiscono alle scelte operative e strategiche dell’organizzazione. Inseriti nel quadro del talent management, essi contribuiscono non soltanto alla presa di decisioni sulle risorse umane ma anche alle strategie di sviluppo, all’applicazione di metodi di valutazione e orientamento, e così via. Da questi punti di vista, se la prima sezione si occupa dei processi decisionali, la seconda affronta i processi di sviluppo: sviluppo delle persone e dei team, delle modalità di leadership e di disegno organizzativo, al fine di rinforzare le capacità funzionali dell’intero sistema.

E’ sempre Goldsmith, nelle parole che introducono il testo, a sottolineare come il fattore principale che conduce una persona di talento a rimanere o lasciare l’azienda è il livello di soddisfazione che nutre nella relazione con il proprio diretto capo; capo che, quindi, deve saper riconoscere il proprio impatto sui suoi diretti collaboratori e la potenza implicita della sua presenza nell’ambito del team anche in direzione di contribuire al commitment organizzativo delle persone che coordina. Sviluppare approcci strategici al feedback a 360 gradi significa anche focalizzare l’attenzione sulle metodologie applicative e su quelle di controllo al fine di rendersi presto conto di come funziona il sistema nel suo complesso soprattutto quando esso è utilizzato (anche) come un predittore o un criterio della performance organizzativa. Mentre la terza sezione è dedicata proprio a questi argomenti, nella quarta sono esposti numerosi casi di studio che presentano approcci assai diversi al tema, metodi differenti e differenti obiettivi finali.

Gli ultimi sette capitoli del testo sono dedicati ai fattori critici e ai nuovi argomenti che stanno emergendo in tema di feedback a 360 gradi. Sono qui discusse le forme alternative di feedback e l’utilizzo intelligente dei dati con il supporto delle attuali tecnologie informatiche, ma anche il sostegno che la metodologia può offrire nel favorire l’inclusione attraverso le relazioni con l’approccio del Diversity Management.

Scorrendo queste pagine si comprende molto bene il cammino che ha compiuto la metodologia del feedback a 360 gradi, partendo dalle forme più casuali e aneddotiche fino a diventare parte integrante delle attività HR. Anche se è vero che noi tutti riceviamo continuamente dei feedback, dai tempi in cui siamo bambini fino alla senescenza, è pure vero che – esattamente come accade per il tema della comunicazione – non è detto che si nasca con le abilità giuste per dare e/o richiedere feedback nel mondo del lavoro. Feedback che possono giungere da una varietà di fonti (da qui il multisources feedback) e che, a maggior ragione, possono generare un impatto significativo sulla persona che li riceve.

Un vero e proprio processo sistematico di raccolta di informazioni e di elaborazione delle stesse: questo dovrebbe diventare il feedback ad ampio spettro nel mondo del lavoro. In tale ottica, al di là di come e cosa fare per dare un feedback adeguato, il volume si concentra sui mille volti di questo processo e, soprattutto, sulle concrete applicazioni organizzative e sui risultati delle stesse.

La domanda che il lettore può infine porsi è quanto siamo distanti, in Italia, da un’impostazione di questo genere, soprattutto in quei contesti aziendali (e ce ne sono ancora diversi) in cui appare complicato persino invitare, spingere, sollecitare o richiamare un capo al fine di dare un feedback di fine anno al proprio collaboratore.

 

Andrea Castiello d’Antonio