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HARDINESS

Titolo: 

HARDINESS 

Autori: 
Steven J. Stein, Paul T. Bartone
Casa editrice: 
Wiley, 2020. Pp. XVI+272, $ 27.00 (Hardcover)

Hardiness è un libro che propone una visione originale del problema dello stress (si intende qui, sempre, “distress”) nella vita e nell’esperienza delle persone. L’idea di fondo parte dalla constatazione della quantità di suggerimenti e consigli su “come fare a” evitare, ridurre, contenere i livelli di stress che la vita di oggi impone a una gran parte della popolazione. In alcune di queste indicazioni può sembrare che lo stress si possa quasi magicamente eludere o schivare mettendo in atto una serie di accorgimenti ma, in ogni caso, l’impostazione rimane quella di dover combattere contro lo stress. E’ proprio questo concetto che gli Autori criticano, vedendo le situazioni stressanti di vita come una parte integrante ed inevitabile della vita stessa, e facendo un passo in più: ognuno di noi è predisposto (biologicamente predisposto) a far fronte allo stress, pertanto il tema si sposta sul versante dell’osservazione delle persone che riescono a reagire positivamente alle situazioni stressanti e alle componenti, cioè alle qualità psicologiche, che determinano la resilienza e la capacità to cope (di fronteggiare) tali situazioni.

Sulla base del classico lavoro di Suzanne Kobasa, “Stressful life events, personality, and health: an inquiry into hardiness”, pubblicato nel Journal of Personality and Social Psychology (37, 1, pp. 1-11, 1979) che ha introdotto il concetto di hardiness, gli Autori descrivono il modello cosiddetto delle 3C. Si tratta delle tre componenti che costituiscono la hardinessun insieme di caratteristiche psicologiche che contraddistinguono le persone (nel lavoro di Kobasa, i soggetti studiati sono i manager aziendali) che riescono a conservare un ottimale livello di salute psicofisica anche a fronte di pesanti eventi di vita. Le tre componenti che sono state individuate fin dagli Anni Settanta-Ottanta sono CommitmentControl Challenge – vedi il lavoro di Salvatore Maddi “The story of Hardiness: Twenty years of theorizing, research, and practice” (Consulting Psychology Journal, 54, pp. 173-185, 2002) in cui si offre una visione globale del concetto fino all’inizio del secolo.

Nelle prime pagine del testo di Steven J. Stein e Paul T. Bartone sono richiamati due esempi noti di resistenza e durezza rispetto a situazioni eccezionalmente avverse. Il primo è quello del senatore repubblicano John McCain, scomparso nell’agosto del 2018, che nel 1967 precipitò con il suo aereo durante un’azione nei cieli del Vietnam del Nord: imprigionato, rimase in carcere fino al 1973 (rinchiuso nel famigerato Hanoi Hilton) soffrendo una pena durissima. Il secondo caso è quello dello psichiatra Viktor Frankl che fu internato in un campo di lavoro e poi nel campo di sterminio di Auschwitz durante la Seconda Guerra Mondiale: uscitone vivo, raccontò la sua esperienza e come fece a resistere, scrivendo un libro divenuto famoso. Ma, al di là di questi esempi estremi, gli Autori aprono le porte alla disanima della hardiness nella vita quotidiana e, in specie, nella vita di lavoro. Il testo è articolato in quindici capitoli e un numero elevato di paragrafi – cosa che rende la lettura semplice e finalizzabile in relazione agli interessi specifici del lettore. Così, ad esempio, il terzo capitolo è centrato sulle dimensioni del commitment, i due seguenti sulla costruzione e dinamica di un challenge mindset, i due successivi si focalizzano sull’area del controllo. Ma l’essere in grado di realizzare la propria hardiness significa anche ricevere una risposta somatica di costruttiva difesa dato che l’impatto dello stress può causare micidiali danni a diversi apparati e sistemi del corpo, primo fra tutti il sistema cardiovascolare. Dall’insieme di queste considerazioni si sviluppa sempre meglio l’idea di porre la hardiness al servizio di se stessi e della propria vita, ivi inclusa quell’importante dimensione (spesso preponderante, aggiungerei) che è la vita professionale. Con il capitolo nove – Hardiness at Work – si introduce decisamente il lettore in questa area offrendo una quantità di interessanti e utili considerazioni sull’influenza positiva della hardiness sulle prestazioni e, in particolare, sulle attività e funzioni che sono tipiche del leader.

Questo lavoro segue la linea di sviluppo che ha visto nella hardiness qualcosa di più di una semplice miscela di tre componenti o attitudini (le tre C viste come tre abilità tra le tante), considerandola invece come una globale disposizione della personalità che coinvolge caratteristiche cognitive, interpersonali ed emotive, e che si manifesta nel momento in cui la vita pone al soggetto il peso di un sovraccarico sotto forma di ciò che genericamente oggi chiamiamo stress (ma che può avere molteplici profili diversi).

Si tratta di un libro che mette insieme l’approccio tipicamente nordamericano – il che significa offrire al lettore numerosi tools, schemi, indicazioni operative – senza mai scadere nella manualistica né nel format che caratterizza quei testi indirizzati in modo superficiale verso il “come fare a…” (essere un buon leader, diventare assertivi, e così via) – con riflessioni di elevato livello.

Peraltro l’esperienza assai diversificata dei due Autori – uno dei quali ha a lungo servito nell’ambiente militare USA come psicologo – rende il testo ricco di spunti e riferimenti differenti. Un testo che è molto ben supportato dai riferimenti bibliografici specifici, convenientemente organizzati per capitoli, che offrono l’opportunità di approfondire le mille facce del mindset declinato sulla hardiness (concetto, peraltro, distinto da quello di resilienza).

 

Andrea Castiello d’Antonio

 

Questa recensione è pubblicata sul numero 1 del 2021 dell’e-magazine HR On Line - AIDP