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THE HIDDEN HISTORY OF COACHING

Titolo: 

THE HIDDEN HISTORY OF COACHING

Autori: 
Leni Wildflower
Casa editrice: 
Open University Press / Mcgraw-Hill, 2013, Pp. XVII+165. £ 22.99 (Paperback).

E’ sempre più urgente portare alla luce le “radici nascoste” del coaching e, soprattutto, del coaching psicologico, cioè di quel genere di coaching (niente affatto maggioritario, purtroppo, almeno per il momento) che ha le sue solide basi nelle conoscenze e nelle metodologie della psicologia delle organizzazioni, sociale, clinica, dinamica e, in una parola, nella psicologia generale.

Questo volume si colloca all’interno delle Coaching in Practice Series dirette da Jenny Rogers e si affianca a numerosi altri volumi monotematici che trattano vari aspetti del coaching: ad esempio, il coaching nell’ottica psicodinamica, della PNL, della Psicologia Positiva, fino a toccare i confini della neuropsicologia.

Ciò che il testo vuole dimostrare è l’enorme varietà di basi e di filoni sui quali (e dai quali) il coaching si è sviluppato, definitivamente limitando le molto decantate radici del coaching visualizzate nelle attività sportive – specificamente nel tennis -. Costruito intorno a tre sezioni principali, il libro inizia affrontando la tematica generale delle origini del coaching e dei suoi precursori. Infatti, da molti esso è fatto risalire, di volta in volta, alla psicoterapia, alla formazione, alla consulenza manageriale, alle pratiche di auto-aiuto, al counseling psicologico (clinico e sociale), allo sport (come si è detto), e così via. Nonostante il coaching abbia ormai alle spalle decenni di pratica e (fortunatamente) anche di elaborazioni e presentazioni scientifiche, ancora oggi esso appare navigare in una “terra di nessuno” nella quale (proprio come in Italia) chiunque può definirsi “coach” a prescindere da scuole o master frequentati, ma addirittura a prescindere dal titolo di studio di base! Imperversano le idee semplicistiche e estremiste visibili in coloro che vedono il coaching affondare le proprie radici addirittura nei dialoghi di Socrate, mentre altri lo considerano più prosaicamente un derivato di una buona pratica scoperta da un allenatore (“coach”, per l’appunto) di tennis americano – il famoso Timothy Gallwey.

La parte centrale del testo (composta da due sezioni) conduce il lettore in una sorta di “viaggio” finalizzato a scoprire tutti i collegamenti e i riferimenti che hanno contribuito a “costruire” il coaching così come noi lo conosciamo oggi. In realtà, alcuni di tali riferimenti teorici e concettuali lasciano un po’ perplessi perché sono assai generici e non sono basati sulla letteratura di origine (ad esempio, sono citati spesso le “introduzioni” alle opere di Jung, e testi che descrivono l’opera di altri importanti psicologi, ma non i loro lavori originali). Per il lettore europeo sarà però interessante notare i riferimenti a studiosi da noi quasi del tutto sconosciuto, come Julio Olalla, ma anche Fritz Perls e Alan Watts. Pagine assai critiche sono dedicate alla PNL e sono giustamente segnalati anche i limiti dell’onnipresente modello GROW di John Whitmore (con alcune notazioni critiche tratte da interviste svolte dall’autrice con il medesimo Whitmore): un modello il cui successo “non sorprende. Esso affascina perché è facile da ricordare e rappresenta una sequenza che appare istintivamente giusta” (p. 43). Molto spazio è dato al contributo offerto dalla Psicologia Umanistica – la cosiddetta Terza Forza statunitense – ma anche qui, insieme a referenti molto noti come Maslow e Rogers, è ad esempio preso in considerazione Roberto Assagioli il quale, pur essendo di origini italiane, è pressoché sconosciuto nel nostro Paese, e comunque non certamente associato alle attività di coaching. Il testo si chiude con un capitolo intitolato Psychometrics: from IQ to Myers-Briggs and beyond che risulta interessante almeno per due motivi. Non solo richiama la necessità di utilizzare strumenti di assessment e/o di autodiagnosi nel percorso di coaching, ma riprende ed illustra alcuni passaggi storici della costruzione del questionario junghiano MBTI, ed anche dello sviluppo dei concetti di intelligenza sociale ed intelligenza emotiva, accennando all’opera di Howard Gardner e di Daniel Goleman.

 

Andrea Castiello d’Antonio