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HOARDING DISORDER

Titolo: 

HOARDING DISORDER

Autori: 
Gregory S. Chasson, Jedidiah Siev
Casa editrice: 
Series: Advances in Psychotherapy – Evidence-Based Practice, Volume 40, pp. 80. Hogrefe, 2019, $ 29.80

A chi non è mai capitato di soffermarsi ad osservare la scrivania ingombra di “cose” del collega o del manager in ufficio? Se non si appartiene allo stesso genere di persone, l’immagine di scrivanie traboccanti di carte, documenti, libri, fascicoli email stampate, insieme a pc, tablet, smartphone, telefoni fissi, agende, fogli di appunti e schemi, note, tabelle, stampate di ogni genere, provoca un moto di stupore e, non infrequentemente, una sensazione di pena.

Infatti, anche nel mondo del lavoro esistono persone che non fanno altro che accumulare “cose”. Naturalmente, se si domanda a queste persone come mai il loro spazio di lavoro somiglia più al teatro di guerra in cui sono appena scoppiate delle granate che a un normale ufficio, la risposta sarà una lunga serie di motivazioni razionalizzanti per le quali, “pur volendo vivere in altro modo…” non è possibile fare diversamente!

Ci si può consolare osservando che il disturbo da accumulo è entrato a far parte della nosografia psichiatrica più accreditata a livello internazionale con la pubblicazione dell’ultima versione, la quinta, del DSM, cioè del manuale descrittivo e statistico dei disturbi mentali, ma anche della classificazione internazionale ICD, giunta alla undicesima versione nel 2018.

Non si tratta di una “nuova” entità. Già lo psicologo William James, nel 1890, aveva scritto di questa strana forma di comportamento che si consolida nella difficoltà estrema o nella impossibilità di disfarsi di “cose” anche quando non servono più o quando non sono pressoché mai utilizzate, avvertendo l’urgente necessità di preservarle – di “salvarle” – da qualunque minaccia che possa metterne in pericolo l’esistenza.

L’esito è quello di ingombrare gli spazi di vita con oggetti e materiali, a prescindere dal loro valore e/o dall’utilizzo concreto che se ne può fare. Anche se è importante distinguere bene forme di raccolta di “cose” (come il collezionismo, l’archiviazione, la tenuta di elementi e oggetti di rilevanza documentale o storica, e così via) dalla vera e propria sindrome del disturbo da accumulo (spesso arricchita, per così dire, dalla tendenza ad acquisire, acquistare, prendere e talvolta sottrarre gli oggetti di interesse), la mancanza di auto-critica e di coscienza riguardo all’ammassare “materiali” rappresenta un tratto assai diffuso nella personalità del soggetto accumulatore. E’ stato osservato che tale situazione psicologica tende a permanere nel tempo, anzi ad aggravarsi, che non vi sono remissioni spontanee, e che può accompagnarsi ad altri tratti psicopatologici di natura ossessiva e compulsiva - al proposito, vedere il testo Obsessive-Compulsive Disorder in Adults, a firma di Jonathan S. Abramowitz e Ryan J. Jacoby, pubblicato nella stessa serie Advances in Psychotherapy – Evidence-Based Practice, Volume 31 (Hogrefe, 2015) -.

Si tratta, inoltre, di una problematica che il più delle volte inizia nell’età adolescenziale e che, naturalmente, può coinvolgere ogni settore della vita; nel nostro caso, è interessante notare come tale situazione possa coinvolgere la vita e l’ambiente di lavoro della persona, con ripercussioni sui colleghi ma anche sulla stessa produttività e qualità del lavoro che deve essere svolto. Vi è poi certamente da notare il vezzo di alcuni di “presentare” il proprio ufficio come un luogo in cui vi è sempre, tantissimo, da fare, orientandosi cioè verso una sorta di uso strumentale dell’accumulo: atteggiamento peraltro pericoloso perché potrebbe facilmente scivolare nel vero e proprio Hoarding Disorder!

 

Andrea Castiello d’Antonio