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Avete mai incontrato un collega con ADHD, cioè con il “DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE”?
Sì, anche se non sapevate che si trattasse di questo. Di questa “nuova” forma di disfunzione psicologica (in realtà nota da oltre un secolo!) che sembrava affliggere solo una specifica classe di esseri umani, già da qualche tempo si vedono nettamente le conseguenze nel mondo del lavoro.
Probabilmente alcune madri, alcuni genitori, hanno già ampiamente sentito parlare di ADHD per un loro figlio, dato che nel mondo, e anche in Italia, la percentuale di chi è portatore di questa problematica in età evolutiva non è trascurabile. E, naturalmente, è fiorita una specifica industria di farmaci ad hoc, con il relativo problema di medicalizzare soggetti in giovane età senza risolvere alle radici la questione, e ampi dibattiti sul “come” affrontare questa nuova piaga sociale.
Ma ora…
Il “Disturbo da Deficit di Attenzione”, codificato come “ADHD”, cioè ATTENTION DEFICIT HYPERACTIVITY DISORDER (a dire il vero andrebbe specificato meglio, come “AD(H)D”, ma non è questa la sede per simili approfondimenti) è emerso gradatamente nella popolazione adulta e – ciò che qui interessa – mi sembra ormai ben visibile tra gli adulti che lavorano.
Un tempo si pensava che questo disturbo fosse da collocare specificatamente nell’area delle problematiche dell’ETÀ EVOLUTIVA, ma ben presto ci si è resi conto che anche gli ADULTI possono essere vittime di tale disturbo.
Per logica, e per fare un solo esempio, un bambino di 10 anni non trattato e non aiutato adeguatamente da ogni punto di vista al momento giusto, il quale procede nella vita, studia e entra nel mondo del lavoro… porta inevitabilmente con sé la sua specifica conformazione mentale. E diventa un collega, un collaboratore, un capo con deficit di attenzione. Del resto: se una condizione “patologica” di questo genere è valutata in età pediatrica e nessuno fa niente, è difficile che con il semplice trascorrere del tempo scompaia – pressoché impossibile, stante le attuali conoscenze.
Un ben problema per tutti coloro che gli sono accanto.
Sostanzialmente, ciò che si manifesta come ADHD può permanere lungo l’intero arco di vita, le sintomatologie possono non solo persistere, ma riproporsi ed ampliarsi – cioè, i sintomi si espandono e coprono aree più ampie del funzionamento della persona: lavorativo, sociale, familiare…
Ed ecco le stime più recenti:
In sostanza, la soglia minima di presenza è tra il 2.5% e il 3%, mentre come tetto massimo si può arrivare al 5%.
Da notare che la denominazione esatta e completa di questo disturbo è ATTENTION-DEFICIT/HYPERACTIVITY DISORDER, cioè DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ.
L’elemento IPERATTIVITÀ non va trascurato nel momento in cui questa componente si nota ampiamente nel mondo degli adulti che lavorano, soprattutto tra i MANAGER e i PROFESSIONAL DI ALTO LIVELLO.
Mi è capitato di recente di interloquire con un manager di questa tipologia.
Persona cortese e piacevole, mi accoglie con sorrisi e si dispone ad ascoltarmi, pur lasciando il pc aperto e dando spesso un’occhiata al video con qualche veloce digitazione.
Dopo poco più di un paio di minuti – e senza esser mai entrato nel merito dei contenuti del discorso – lo vedo agitarsi sulla poltrona, consultare il cellulare, aprire e chiudere il pc. Fa per alzarsi e poi ripiomba seduto, fino a che mi dice “Guardi, vediamo, magari ne parliamo un’altra volta… Ora sa, ho molte cose da fare!”.
Due minuti e venticinque secondi. Non so cosa abbia recepito, credo nulla, così come nulla mi ha trasmesso come feedback.
Dunque, ecco la TRIADE DIABOLICA:
(1) mancanza di attenzione, concentrazione e focalizzazione – sentire, ma non ascoltare!
(2) iperattività, che si traduce nell’andar molto veloci – e fare uso costante del… Multitasking!
(3) impulsività, scarsa tenuta e scarso autocontrollo, necessità di troncare la relazione, e talvolta maleducazione e aggressività.
Rispetto ai soggetti in età evolutiva che facilmente danno sfogo a comportamenti evidenti come intolleranza alla frustrazione, violazione di regole e atteggiamenti provocatori, e tendenza a entrare in conflitto, gli adulti – e soprattutto gli ADULTI AL LAVORO – possono mitigare o contenere alcune manifestazioni, oppure certi exploit possono verificarsi solo in condizioni estreme di stress. Ma, in ogni caso, si tratta di soggetti con i quali È MOLTO DIFFICILE INTERAGIRE e costruire una relazione socioprofessionale significativa.
Anche nei casi in cui l’adulto in azienda con ADHD – o con ADD, o ancora con quadri limitrofi – non occupi posizioni rilevanti, nondimeno manifesta di regola tutta una serie di segni: DISATTENZIONE PERENNE, DISTRAIBILITÀ E DIMENTICANZE; AGITAZIONE FISICA E PSICHICA, MOMENTI DI ANSIETÀ, CHIUSURA SOCIALE, SENTIMENTI DI NOIA E DI IRRITAZIONE.
Alla base di tutto c’è, naturalmente, l’incapacità di autocritica e di osservazione di se stessi.
Sicuramente questa condizione ha una BASE BIOCHIMICA, ma sarebbe un errore limitarla a questo. Come è un errore l’equazione DEPRESSIONE / DEFICIT DI SEROTONINA = prescrizione di PROZAC, così sarebbe un grave errore (in ogni età della vita) ADHD / CARENZA DI DOPAMINA = prescrizione di RITALIN. E basta!
Le componenti biochimiche non esauriscono la complessa situazione mentale, psichica, sociale, ambientale in cui la persona vive e da cui, in buona parte, derivano tali problematiche. Ma, come in quasi tutte le situazioni di disagio mentale, è possibile uscirne, o almeno mitigarne gli effetti; si tratta, però, di prendere sul serio questa condizione e iniziare un percorso integrato che possa portare a modificare importanti aspetti della vita, e non solo della vita di lavoro!
In queste scritto mi sono occupato soltanto dell’ADHD dal punto di vista delle dinamiche che si possono innescare al lavoro, soprattutto dal punto di vista delle manifestazioni che possono innescare situazioni difficili nell’ambiente di lavoro.
La vera e propria SOFFERENZA MENTALE che la persona con ADHD il più delle volte sperimenta non è stata oggetto di queste righe. Ma non va (mai!) dimenticata.
POST-SCRIPTUM:
È bene fare attenzione, avendo letto queste parole sull’ADHD nel lavoro, a non iniziare ad ETICHETTARE i colleghi, magari bollando una persona che è semplicemente “distratta” come soggetto ADHD.
Andrea Castiello d’Antonio