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IL MESTIERE DI MEDICO. Storia di una professione

Titolo: 

IL MESTIERE DI MEDICO. Storia di una professione

Autori: 
Giorgio Cosmacini
Casa editrice: 
Raffaello Cortina, pp. XIII-176 Euro 16,00

Se si vuole davvero capire cosa è la medicina si deve leggere e studiare con cura questo libro di Giorgio Cosmacini, medico, filosofo e storico della medicina.

Un libro che è stato scritto circa 25 anni fa, ma che mantiene intatta la sua validità.

La storia della medicina, e i vari “mestieri” di medico ad essa collegati, inizia molto, molto tempo fa: la prima parte del testo è dedicata alla medicina dell’antichità, dall’Egitto alle opere di Ippocrate fino all’emergere della figura del medico-filosofo: “da Galeno in poi si dirà: optimo medicus sit quoque philosophus, ‘il miglior medico sia anche filosofo’. L’aveva teorizzato, sia pur in modo non esplicito, Epicuro… Epicuro riprende(va) e accentua(va) quella concezione della filosofia come medicina dell’anima…Da Galeno si ricaverà non solo la figura del medicus philosophus; si ricaverà, sotto l’aspetto comportamentale, anche la figura del medicus gratiosus” (p. 44).

La seconda parte del libro è dedicata a quattro tipologie di medico: il medico arabo, il medico ebreo, il medico monaco e, infine, il medico dottore.

Nell’ultimo passaggio (il medico dottore) la medicina si affranca dai monasteri per mezzo dell’istituzione delle scuole e delle accademie, e qui emerge la famosa Scuola medica di Salerno (ma in Italia vi saranno altre scuole importanti: le accademie di Bologna, Padova, Roma e Napoli). Così il dottore in medicina non solo studia e si esercita, ma insegna e rilascia l’abilitazione alla professione, sulla base di competenze di fondo che lo studente deve possedere e che sono così esplicitate: la grammatica, la retorica e la logica, l’aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia: “il che significa che doveva saper far di conto e avere il senso della ‘misura’, della ‘armonia’, della ‘simpatia’ fra le cose terrene, tra cui la salute e le malattie, e le cose celesti, cioè le stelle, le comete, i pianeti dell’Universo” (p. 73-74).

A questi due primi settori del volume seguono altre due parti che ci avvicinano al momento attuale: la terza parte ha come titolo Nell’età moderna e la quarta e ultima Nell’età contemporanea – segue la Conclusione: Il medico futuro.

Si può così seguire lo sviluppo della figura del medico che si dedica ai più bisognosi e meno facoltosi: “era la povertà la ‘madre delle malattie’: per curarla il ‘pronto soccorso’ consisteva in un buon pane, in un buon brodo di carne, in una buona parola detta e ripetuta” (p. 83). Ma con l’epidemia di peste nera (in cui un terzo degli abitanti dell’Europa perse la vita) nacque la figura dell’infermiere, nacquero le prime istituzioni dedicate all’assistenza dei malati indigenti ed emerse l’antesignano del medico condotto – potremmo dire: della medicina territoriale. E non solo ci si occupò dei poveri, ma si iniziò a vedere in un’ottica globale quelle che oggi definiamo le malattie professionali: il medico, quindi, entra sul posto di lavoro, prende in considerazione l’ambiente così spesso insalubre del lavoro, e considera la situazione di persone che sono sottopagate e sovrasfruttate.

Leggendo queste pagine del libro di Cosmacini ci si rende conto che un tempo le madri e i fanciulli erano del tutto ignorati e veniva dato per scontata e naturale la perdita (da intendersi: la morte) di una buona parte dei minori e delle donne che dovevano partorire: nacquero, dunque, la pediatria e l’ostetricia, insieme all’attenzione alle condizioni spesso terribili in cui le persone vivevano negli agglomerati urbani – compresa l’aria malsana, la mal-aria! Ma sempre sotto il vigile occhio clinico – la clinica… – accompagnato dall’ad-sistere, lo stare accanto.

Nel frattempo… le epidemie! La peste, nel Trecento e poi nel Seicento, il colera nell’Ottocento, il progressivo sviluppo degli strumenti di analisi, di esplorazione e di misura, come lo stetoscopio, i primi vaccini e l’orientamento verso una medicina sociale: “socializzazione della medicina e scientificità dei suoi metodi erano le coordinate entro cui si disegnava, nel secondo Ottocento, la linea ascendente dell’evoluzione del mestiere” (p. 129).

Venendo ai giorni nostri, allo sviluppo delle tecnologie mediche si è purtroppo affiancata la perdita di vista dell’essere umano come totalità: come sappiamo, ogni specialista, oggi, vede l’organo, la funzione, a cui è preposto, di cui è competente, mentre la vecchia figura del medico di famiglia è stata svilita e messa da parte. Questa e molte altre considerazioni estremamente attuali chiudono il testo nel capitolo finale dal titolo Il medico del futuro.

Aggiungo ora alcune mie riflessioni personali.

Il medico, come ogni curante, non può sfuggire a stimolare nei suoi pazienti una certa dose di AMBIVALENZA – l’ambivalenza, del resto, caratterizza molte altre situazioni di vita e di relazione; ad esempio “il rapporto di coppia”.

Nel momento in cui CI SI AFFIDA AL MEDICO ci si trova in una situazione di parziale (o totale) dipendenza, e si affollano nella mente le domande di base: “Sarà bravo, capirà che cosa ho?”

“È medico per passione o per profitto e… si approfitterà di me?”

“Sarà in grado di scegliere la giusta terapia?”

“Sarò stato io in grado di scegliere il medico adatto ai miei problemi?”.

Ci si affida…

Nessuno, o quasi nessuno, nello scegliere il medico compie una sorta di “analisi di mercato” per capire davvero chi può essere “la persona giusta”. E ciò vale per ogni aspetto della vita (la scelta di un avvocato, di un commercialista).

Dunque, AMORE & ODIO, necessità del medico & voglia di farne a meno, caratterizzano la gran parte delle relazioni con il curante, nel nostro caso con il medico. Anche l’attribuzione di meriti e demeriti – “Sono guarito per le mie personali risorse, oppure quell’intervento farmacologico pesante non era davvero necessario?” – è compiuta sulla base di posizioni emotive, anche perché in questo e in molti altri fatti della vita non è dato fare l’esperimento… Cioè, andare a vedere COME SAREBBE ANDATA, SE…

L’affidamento massimo che un paziente compie verso il “suo” medico sta nella CHIRURGIA.

L’atto chirurgico concede al medico il potere di incidere la carne del paziente, paziente che è in condizione di non sottrarsi.

IL GESTO CHIRURGICO è realizzato per ri-donare vitalità, salute, vita, almeno per quel che si può, ma è pure un gesto che può dare la morte, o complicare vieppiù la condizione globale del malato.

Ecco perché abbiamo bisogno di medici, certo, ma di persone che non aspirano a FARE IL MEDICO, bensì a “ESSERE MEDICO”.

E, come ho scritto in un recente articolo, per scegliere i futuri studenti in medicina si dovrebbe farli ragionare su libri come questo di Cosmacini, e non assegnare test di chimica, biologia o matematica…

https://www.castiellodantonio.it/scegliere-i-futuri-medici-un-compito-impossibile

 

Nel catalogo dell’editore Raffaello Cortina si possono trovare diversi altri libri di Giorgio Cosmacini – di cui si ricorda la pregevole biografia di Agostino Gemelli, pubblicata nel 1985 – così come è possibile seguire in internet (YouTube) numerose conferenze tenute dall’autore in diverse occasioni pubbliche.

 

Andrea Castiello d’Antonio