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Il paradosso della stupidità
Se due persone competenti e avvertite come Alvesson (di cui ricordiamo L'organizzazione e i suoi simboli, scritto insieme a P. O. Berg e tradotto in italiano da Raffello Cortina nel 1993) e Spicer, professore di Organisational Behaviour presso la Cass Business School, City University (Londra) si sono preoccupati di scrivere un libro sulla stupidità nel mondo del lavoro, allora credo che dobbiamo iniziare (o continuare...) a preoccuparci. Il sottotitolo di questo intrigante testo Il potere e le trappole della stupidità nel mondo del lavoro rende, infatti, assai chiaro quale sia il campo di indagine dei due autori; ed è sufficiente scorrere l'Indice per capire che gli autori non lasciano scampo, infierendo senza remore su tutto ciò che di stupido si fa - e si è - quando si lavora e ci si muove all'interno di una organizzazione. In particolare è la seconda parte del volume a trattare tutte le sfumature orribili della stupidità nel mondo del lavoro. Per la precisione sono cinque i tipi di stupidità analizzati in questa parte del libro: la stupidità indotta dalla leadership, dalla struttura, dall'imitazione, dal branding e dalla cultura. Ma è pure inquietante quella che si definisce stupidità funzionale, cioè qualcosa che, nonostante tutto, produce esiti positivi, almeno nel breve termine.
Il quadro che emerge da queste pagine è sconfortante, anche perché è basato realmente sulle esperienze vere ed autentiche che hanno vissuto i due autori nel corso degli ultimi tempi, peraltro frequentando ambienti aziendali che, di certo, non sono ambienti di secondo o terz'ordine "la nostra perplessità era: come mai organizzazioni che danno lavoro a tanta gente in gamba riescono a produrre tanta stupidità?" (p. 4). Gli esempi sono numerosi: dai dirigenti che danno maggiore importanza a come si presenta un power point rispetto ai contenuti che si dovrebbero veicolare, ai manager che spendono tempo e denaro in sessioni di formazione fumose invece di puntare su ciò che davvero serve ai propri collaboratori; dagli alti vertici che lanciano un programma di cambiamento dopo l'altro senza essere minimamente disposti a cambiare alcunché, ai funzionari che fanno della vita di corridoio il loro principale impegno lavorativo...
Certo, potrebbe nascere almeno un dubbio leggendo le pagine di questo testo: che ciò che viene definito stupidità in realtà nasconda (o sia intriso di) qualcos'altro: patologie manageriali, comportamenti direzionali criminali, mentalità chiuse da pregiudizi e stereotipi, atteggiamenti nevrotici di fondo che rendono gli stili di leadership altrettanto distorti e disfunzionali. Personalmente, almeno alcune delle situazioni che sono descritte dagli autori, ritengo che facciano chiaro riferimento a ciò che già da tempo si definisce come nevrosi manageriale e leadership malata. Qualcosa di più grave della stupidità e della (per così dire) disabitudine a pensare...
Se vogliamo, questo libro si pone da un lato sulla scia di numerosi altri testi che, nel corso degli ultimi anni, stanno affrontando il tema della stupidità umana (un interesse probabilmente incentivato oggi dalla quantità di "materiale" che si può reperire in ogni angolo delle società e della vita sul pianeta); dall'altro rappresenta un contro-altare rispetto alle analisi intorno all'intelligenza organizzativa e alle organizzazioni che apprendono, le famose Learning Organizations di cui, forse, si scrive molto, ma se ne vedono realmente poche in funzione. In ogni caso, questo di Alvesson e Berg è un testo stimolante, che fa sicuramente riflettere; ben introdotto da un breve saggio di Giuseppe Scaratti, è uno scritto senza dubbio valido per chi volesse approfondire ed espandere l'argomento utilizzando le ricche informazioni che sono poste nelle ultime pagine sotto il titolo di Note.