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The inkblots. Hermann Rorschach, his iconic test, and the power of seeing
Questo intrigante volume, scritto con perizia da Damion Searls, si presenta come una piacevole sorpresa ed anche come un testo a lungo atteso o, per meglio dire, un testo che si comprende, una volta letto, che è stato molto atteso, e che mancava nella letteratura (non vastissima) che ruota intorno alle famose macchie di inchiostro.
Con perizia, e sulla base di un’attività di ricerca impeccabile che ha visto l’autore consultare una gran quantità di fonti e documentazioni (l’apparato di note a supporto occupa ben sessanta pagine del libro), il lettore è accompagnato a ripercorrere l’intera vita di Hermann Rorschach (1884-1922), apprezzando la descrizione dei contesti sociali e culturali che egli ha frequentato nei primi anni del Novecento, fino alla descrizione degli studi universitari, delle prime esperienze di formazione e di lavoro, e della scoperta del mondo della percezione. Quando, già adulto, Rorschach iniziò a porre la fatidica domanda ai suoi pazienti Cosa potrebbe essere questo? mostrando una tavola con stampata una macchia di inchiostro, “le risposte delle persone iniziarono a rivelare molto di più di ciò che Rorschach stesso pensava fosse possibile capire: il livello di intelligenza, il carattere e la personalità, i disturbi del pensiero e altri problemi psichici… Ciò che nacque come un esperimento finì con il diventare, nei fatti, un test” (p. 118). Così, un ragazzino che ai tempi di scuola era soprannominato Klecks (la cui traduzione in italiano è Macchia) è divenuto, forse senza volerlo, il punto di riferimento per l’intero mondo di ciò che sarebbe stato definito l’insieme delle tecniche proiettive.
Nelle pagine di questo libro è possibile leggere notizie dei diari dello psichiatra svizzero, dei suoi minuziosi appunti sui tanti pazienti testati e trattati - “la storia della psichiatria è la storia non solo dei suoi medici e teorici, ma anche dei suoi pazienti” (p. 93) – delle raccolte di disegni e della varietà di stimoli grafici e verbali (Rorschach conosceva ed utilizzava il Test di associazioni verbali di Carl Gustav Jung), ed apprezzare anche una dimensione della sua personalità professionale che è troppo spesso ignorata: la dimensione del terapeuta e, segnatamente, dello psicoanalista. Oggi si direbbe dello psicoterapeuta ad orientamento analitico, dato che non applicò mai l’analisi classica ai suoi pazienti (esperienza, peraltro, assai comune ai tempi in cui lavorava e che lo accomunò, ad esempio, ad Hans Zulliger). Ma Rorschach fu anche una persona aperta e molto sensibile al mondo della cultura e, specificatamente, dell’arte; si interessò al nascente movimento del Futurismo e fu ammaliato dalla grande e profonda cultura della Russia, terra nella quale si recò con l’animo curioso e aperto al nuovo dell’esploratore.
Mentre la prima metà del libro è dedicata alla vita e all’opera di Rorschach, giungendo quindi fino all’anno 1922, dal capitolo 14 (The Inkblots come to America) l’autore guida il lettore nella ricostruzione delle vicende del test nel mondo psicologico e psichiatrico del Nord-America. Ecco emergere i grandi sistemi di siglatura ed interpretazione che fanno capo a Samuel Beck (1896-1980) e a Bruno Klopfer (1900-1971) (il quale, si legge nel libro, parlava un pessimo inglese), iniziatore di una sistema interpretativo che in Italia ha ancora qualche sostenitore, ed ecco il resoconto di ciò che si può definire una vera e propria faida tra i due studiosi, così diversi sia come persone sia come retroterra culturale. Da allora ad oggi la comunità Rorschach, pur se non in acerrimo conflitto interno, si è comunque espressa in numerose battaglie teorico-metodologiche che, se da un lato hanno reso ricco e vitale il campo di studio e di applicazioni, dall’altro ne hanno minato l’immagine esterna, prestando ancora di più il fianco ai detrattori per principio e a tutti coloro che danno credito alle impostazioni “scientifiche”.
Credo che sia necessario aggiungere che in Italia lo Psicodiagnostico di Rorschach – denominato, nell’ottica della scuola di John E. Exner Jr., Rorschach Inkblot Method - e, con esso, l’insieme delle tecniche proiettive, non godono di un particolare favore. Nonostante negli ultimi dieci anni siano stati dati alle stampe libri molto importanti sul Rorschach (ed anche sullo Zulliger Test) la noncuranza con la quale troppi psicologi e psichiatri trattano l’insieme del testing psicologico si accanisce in specie sui metodi proiettivi – che, infatti, sono tendenzialmente ignorati anche nei corsi universitari -. Pesa, sicuramente, l’idea che si tratti di tecniche non valide, mentre il mainstream continua a puntare sul quantificazionismo e sulla misurazione effettuata con strumenti altamente standardizzati che, fin troppo spesso, coniugano ad un’elevata attendibilità una limitatissima validità (vedi il mio articolo “Il Rorschach e le tecniche proiettive”. Giornale Italiano di Psicologia, Volume XXXVI, n. 4, pp. 959-976, dicembre 2009).
L’autore, Damion Searls - sito web - ha dunque elaborato un testo di grande interesse ma anche veramente affascinante, un libro che è possibile leggere quasi come fosse un romanzo ma il cui supporto metodologico e scientifico è di elevatissimo valore. Un testo che può sicuramente far avvicinare i più giovani al mondo della diagnosi psicologica e del testing proiettivo, ma che può sicuramente coinvolgere ed attrarre anche coloro che, in anni lontani, hanno studiato sui manuali di Bohm, e di Rapaport, Gill & Schafer, che hanno letto Psicodiagnostica (traduzione italiana del 1981), o che oggi optano per il Rorschach Comprehensive System, o per il Rorschach Performance Assessment System.
Andrea Castiello d’Antonio