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Introversi e estroversi. 101 anni fa, nel 1920, Carl Gustav Jung pubblicava TIPI PSICOLOGICI, una delle opere più significative di una certa parte della sua produzione scientifico-professionale. Un libro che con le sue 600 pagine espone dettagliatamente la costruzione della tipologia junghiana basata su due parole, concetti, idee che tutti noi usiamo, sempre: Introverso e Estroverso.
Ecco come Jung stesso introduce il suo trattato: “accanto alle molte diversità individuali della psicologia umana, esistono anche differenze di tipi: più specialmente mi hanno colpito due tipi che ho denominati introverso e estroverso… vi sono uomini il cui destino è determinato in prevalenza dagli oggetti dei loro interessi e altri il cui destino è invece determinato piuttosto dalla loro propria interiorità, o soggettività”.
“Tipi Psicologici” è stato scritto da Jung nell’arco di circa 20 anni – di 20 anni di “psicologia pratica”, come lui stesso afferma – e in qualche modo anche in riferimento ai dissidi con Sigmund Freud e con Alfred Adler, due persone in cui Jung riconosceva i due atteggiamenti di fondo dell’umanità: Freud estroversione, e Adler introversione…
Introverso e estroverso sono diventati con il tempo due termini comuni, di uso corrente, spesso resi banali da rotocalchi, trasmissioni TV e siti web che pongono la domanda “Siete estroversi o introversi? Rispondete a questo semplice test!”. Con il che, in un sol colpo, si banalizza sia la tipologia junghiana (che è assai più ricca ed articolata), sia il metodo dei test!
Tornando al lavoro di Jung, uno dei motivi per cui egli si impegnò in questa opera fu la constatazione che le persone – i pazienti, per lui che era psichiatra e psicoterapeuta – dovevano essere trattati in modo diverso in relazione alla loro tipologia, constatando anche che una stessa variabilità di tipologia sarebbe stata certamente presente anche in chi curava, fosse egli psicoterapeuta o medico.
Ma cosa c’è nelle 600 pagine di questo libro?
Oltre alle tipologie di base, e alle quattro funzioni principali (superiori o inferiori) del pensiero, del sentimento, della sensazione e dell’intuizione, Jung ripercorre la questione della tipologia umana partendo da molto lontano, dall’antichità, per poi collocare ciò che definisce “il problema dei tipi” in diversi contesti, ovviamente non solo nel contesto della psicopatologia dato che questa classificazione si applica a ciascuno di noi.
Si tratta quindi di una classificazione che ha un valore assai pratico e che ha validità generale, cioè nell’ambito di ogni interazione umana.
Al di là del definirsi introversi o estroversi, ciò che è emerso fin dall’inizio e l’etichettatura spesso negativa destinata alla persona introversa. Su questo punto vi è stato un grande fraintendimento, come se nell’introverso vi fosse qualcosa che non va, mentre l’estroverso rappresenterebbe la persona ideale. Tutti i biografi di Jung hanno notato questa distorsione, e naturalmente lo ha fatto Jung stesso, mentre anche nel campo degli operatori della psiche vi sono state prese di posizione del tutto errate. Infatti, entrambe le tipologie umane possono manifestare grandi pregi così come caratteristiche poco salutari (per la persona stessa, e per gli altri).
In traduzione italiana “Tipi Psicologici” è disponibile da molto tempo nel corpus delle OPERE di C. G. Jung – è il volume sesto, pubblicato da Boringhieri nel 1969.
Sulle qualità degli introversi, vedi la mia recensione al testo di Ilse Sand “Highly sensitive people in an insensitive world” mentre accennando ad un’altra dimensione ugualmente di grande interesse, vedi la mia recensione al libro di Emma Jung, moglie dello psichiatra svizzero, “Animus e Anima”.
Andrea Castiello d’Antonio