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L’applicazione del Modello delle Competenze in Italia

Modello delle competenze

Studiando e applicando nella mia attività di consulenza per le organizzazioni il Modello delle Competenze in diverse sue “forme” mi sono sempre chiesto i motivi che hanno condotto a tradurre tale modello in lingua italiana in un certo modo.

L' Assessment delle qualità manageriali e della leadershipNel mio libro L’assessment delle qualità manageriali e della leadership. La valutazione psicologica delle competenze nei ruoli di responsabilità organizzativa (FrancoAngeli, 2013) ho esposto ampiamente le considerazioni in merito, che qui sintetizzo.

Sono diverse le fonti originali a cui tornare al fine di avere una idea corretta del Sistema delle Competenze fondato da David McClelland e da alcuni altri (soprattutto Richard Boyatzis), ma si tratta di tutti libri in lingua inglese. Un solo testo importante è stato tradotto in italiano: Competence at Work. Models for Superior Performance (1993), scritto da Lyle Spencer e Signe M. Spencer, e questo libro è diventato ben presto la base di ogni applicazione del Modello in Italia. Ma il testo di Spencer e Spencer ha subito una traduzione che non può dirsi adeguata e molti termini (non solo termini tecnici) sono stati travisati. Talvolta con traduzioni letterali, altre volte con espressioni errate. Un esempio di una espressione di uso corrente resa male è a p. 225, dove si nota “lingua materna”, al posto di “lingua madre”. In altre parti si legge di fantomatici “test reattivi” (ad esempio a p. 205) che altri non sono che i “reattivi mentali” – espressione desueta con la quale si indicano gli attuali test cognitivi -. Esistono poi numerosi passaggi la cui traduzione, non si capisce come mai, è semplicemente parziale o, talvolta, errata. Ad esempio:

Relational Building è reso con Costruzione (senz’altro!),

Concern for Order, Quality and Accuracy con Attenzione all’ordine e alla qualità (l’accuratezza non compare),

Customer Service Orientation con Orientamento al cliente, invece che con Orientamento al servizio della clientela,

Impact and Influence con Persuasività (?) e influenza,

Assertiveness and Use of Positional Power con Assertività e uso del potere formale (perché non “di posizione”?),

Technical, Professional and Managerial Expertise con una laconica Capacità tecnico-professionale,

Low Fear of Rejection con Indifferenza al rifiuto (invece che con Limitato timore di essere rifiutati).

Altri errori riguardano le citazioni dei nomi di persone, come ad esempio Elliott Jaques che è citato come “Eliot Jacques”. Passando ad un livello di notazione decisamente più grave, l’attenzione è attratta da una nota. Ecco cosa si legge nella nota: “Competency. Si è scelto di rendere questo termine con l’italiano “competenza”. Il termine “capacità”, usato più comunemente, non avrebbe dato il giusto risalto al fatto che qui le “competenze” sono intese come comportamenti reali e osservabili, mentre le “capacità”…”.

A questo punto ci si attenderebbe di leggere che la scelta è stata basata su un lavoro accurato e specialistico, di confronto e discussione; al contrario, la nota prosegue una citazione di una citazione di un autore italiano che ha scritto sul potenziale e, infine, non si capisce se la scelta di come tradurre Competency sia frutto del traduttore, del curatore della collana, o dell’autore italiano sopra citato.

Fatto sta che da qui deriva un grande pasticcio!

In ogni disciplina scientifica, in ogni area del sapere nel momento in cui ci si trova per la prima volta a tradurre un termine, un concetto, una espressione da una lingua straniera all’italiano, è necessario assicurarsi che la traduzione risponda esattamente al pensiero dell’autore, alla fonte originale, al concetto che ha in mente chi quel termine ha utilizzato.

Come si procede?

Si predispongono preferibilmente due o più traduzioni del termine, le si fanno contro-tradurre e le si sottopongono ad esponenti illustri della materia in Italia. Quindi si prende contatto con l’autore – nel nostro caso, David McClelland, che era vivo e vegeto al momento della pubblicazione in italiano del testo degli Spencer  - ma sarebbe stato necessario interpellare anche gli stessi Spencer e pure Richard Boyatzis, per ottenere un panorama completo dei punti di vista - sottoponendo loro le opzioni di traduzioni ed attivando un confronto teso a rendere nel modo migliore possibile non la semplicistica traduzione letterale della parola, ma il senso del concetto.

Invece, cosa è stato fatto traducendo il testo degli Spencer?

Il traduttore – o chi per lui, non è dato averne certezza – ha consultato la citazione di una citazione di un autore italiano il quale aveva espresso una sua opinione, e tale opinione è diventata la traduzione del termine Competency.

Punto e a capo!

Non ho elementi per affermare che, successivamente alla pubblicazione del lavoro degli Spencer in Italia (1995) si sia attivato un confronto simile a quello sopra descritto, ma finora non ho ascoltato alcuna comunicazione in tal senso.

E veniamo, ora, alle conseguenze di tale azione.

La platea italiana è sostanzialmente “cresciuta” attingendo le conoscenze che ha maturato sul sistema, o modello, delle “competenze” leggendo, per l’appunto, il libro degli Spencer. E’ vero che spesso capita di leggere libri o articoli sul tema delle competenze in cui sono citate altre fonti, soprattutto il libro di Boyatzis sopra detto: ma è altrettanto vero che tali citazioni appaiono “false citazioni”, cioè dei rimandi a fonti che l’autore che scrive non ha mai consultato. Ritorno pertanto sulla considerazione sopra esposta, che posso ora tradurre nel modo seguente: chi si è formato sulle “competenze” sulla base della lettura del solo testo italiano degli Spencer ne ha tratto, necessariamente, una visione e un bagaglio culturale limitato.

A differenza di ciò che si può pensare, il libro degli Spencer non è affatto un libro facile da studiare per il semplice ma fondamentale fatto che – nonostante che tratti delle cosiddette “competenze” – in realtà tratta di concetti psicologici, della personalità, e di questioni metodologiche e di strumentazioni specialistiche.

Tutt’altro che un testo per tutti, e soprattutto poco comprensibile e poco realmente apprezzabile per coloro i quali non hanno una preparazione di base di genere psicologico.

Come tradurre al meglio non solo il lemma Competency, ma il concetto che ne è alla base? Ad un primo livello, troviamo le due possibili traduzioni: competenza e capacità. Ad un secondo livello, considerando ciò che McClelland afferma nei suoi testi ed anche ciò che è illustrato dagli Spencer, le traduzioni più adeguate sembrano essere le seguenti:

Capacità, abilità, qualità personali e caratteristiche di personalità.

In lontananza possiamo individuare caratteristiche psicologiche operative. Il termine inglese skill è ormai entrato nell’uso corrente in lingua italiana ed anche questo potrebbe termine potrebbe trovare un posto adeguato nella lista sopra esposta.

Il termine Capability tende ad essere reso in italiano come capacità, abilità e facoltà ed è da notare che vi sono studiosi, come Elliott Jaques, che parlano esplicitamente di capability, pur dandone una definizione assai ampia, come “la capacità di una persona nello svolgere un lavoro” (Jaques, Cason, 1994, p. 149). Andando oltre la sola traduzione della parola Competency conviene prendere in esame l’espressione, più corretta e completa, di Competency Model. Qui l’enfasi è sulla specifica di “modello” e non di “sistema”, il che muta abbastanza il significato di ciò che McClelland intendeva nei suoi studi, riportandolo al senso originario ed autentico. É pure possibile utilizzare l’espressione “approcci basati sulle competenze”, anche se tale espressione, al giorno d’oggi, apre il quadro ad un ventaglio pressoché infinito di interpretazioni, o pseudo tali, del modello delle competenze.

Più esattamente, l’espressione approccio delle competenze, sembra avere maggiore attinenza con i concetti di base di McClelland.

Tutto ciò volendo conservare il termine italiano “competenza”, scelta sulla quale personalmente non concordo.

In effetti, quali sono i significati, i concetti che sottendono le espressioni “competency” e “competencies”? Proviamo, dunque, ad andare oltre le traduzioni della “parola”, alla ricerca di una traduzione del senso e del significato! Compiamo questo passaggio rimanendo aderenti a ciò che è scritto nel testo degli Spencer in modo da offrire ai lettori la possibilità di confrontare quanto ora affermato con una fonte facilmente reperibile in Italia.

Ecco la definizione degli Spencer (1993, p. 30):

“Per competenza intendiamo una caratteristica intrinseca individuale che è casualmente collegata ad una performance efficace e/o superiore in una mansione o in una situazione, e che è misurata sulla base di un criterio stabilito. Caratteristica intrinseca significa che la competenza è parte integrante e duratura della personalità di un individuo del quale può predire il comportamento in un’ampia gamma di situazioni e di compiti di lavoro” (corsivo mio).

Siamo dunque di fronte ad una definizione molto chiara che, in sintesi, fa riferimento alle caratteristiche psicologiche di personalità dell’essere umano. Tanto è vero che, continuando a leggere il testo degli Spencer, sono enumerate le cinque tipologie di “competenze”: le motivazioni, i tratti, l’immagine di se stessi, la conoscenza di discipline o argomenti e le skill. A parte la quarta tipologia (che pure è tradotta in termini di reperimento ed uso intelligente delle informazioni), tutte le altre fanno riferimento a qualità psicologiche. E, dunque, perché tradurre con “competenze”?

In italiano, quando si pensa ad una “persona competente” viene in mente una persona brava professionalmente, che conosce la materia su cui opera, che è aggiornata, che “sa fare” il suo lavoro, ma sempre in termini professionali – o tecnici e specialistici -. Anche quando ci si riferisce al management, un “manager competente” è visualizzato come una persona che conosce la materia, che non è de-specializzato, che sa interloquire con il suo staff in termini tecnici-professionali, sia pure non di dettaglio.

Se consultiamo i dizionari della lingua italiana si ha la conferma di tale visione della “competenza” in Italia. In genere, il rimando è a termini quali perizia, abilità tecnica, preparazione, esperienza, sapere, conoscenza. La “persona competente” è colui che ha speciale cognizione, esperienza e abilità in una data attività.

Ancora una volta il riferimento è allo svolgimento di un compito, una professione, un’attività legata al cosiddetto sapere e al saper fare, non certo al saper essere. Nulla che rimandi a “qualità personali” intese come dimensioni psicologiche, di personalità o di comportamento. Si dovrebbe dunque abbandonare il termine “competenza” orientandosi verso termini, o espressioni linguistiche, maggiormente vicine al senso del modello proposto a suo tempo da McClelland, maggiormente in linea con il concetto (e non con la parola!) che si vuole davvero indicare!

Chi volesse approfondire il lavoro di McClelland nell’ottica sopra esposta e in riferimento alla valutazione del potenziale può consultare il mio libro L’assessment delle qualità manageriali e della leadership. La valutazione psicologica delle competenze nei ruoli di responsabilità organizzativa (FrancoAngeli, 2013).