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Questo nuovo libro di Schein "L'arte di far domande" (uno dei massimi esperti di psicologia sociale e delle organizzazioni, di leadership e di culture d’impresa), affronta un team classico, com’è quello della “comunicazione”, ma in un modo nuovo. Presentando se stesso, nell’ultimo capitolo del testo, Schein parla di questo libro come di un vero e proprio distillato di cinquanta anni di studi nel campo delle relazioni umane e della psicologia sociale.
Nonostante che nel corso della sua lunga e diversificata carriera Schein abbia lavorato e pubblicato su un’infinità di temi e sotto-temi, producendo opere di forte impatto ed anche di non facile approccio, questo scritto si differenzia da tutto ciò che precede: infatti, si tratta di un libro agile, snello, di rapida consultazione, in cui l’argomento è condensato in poco più di un centinaio di pagine, suddiviso in una Introduzione e in sette capitoli centrali. Il primo di questi capitoli ha il titolo seguente: L’umile ricerca di informazioni. Un titolo che offre subito una delle chiavi di lettura del lavoro di Schein, in certo modo rinforzato dal sottotitolo del libro che è Quando ascoltare è meglio che parlare.
L'arte di far domande: perché a volte ascoltare è meglio di "avere soluzioni"
Inizialmente è criticata l’idea che il “fare domande” possa incrinare le relazioni umane perché vissuto come una sorta di interrogatorio o come l’affermazione del più forte sul più debole: l’autore si interroga su come fare a domandare avendo come scopo la costruzione della relazione, l’apertura verso l’altro, e la dichiarazione di disponibilità (per così dire) di porsi in ascolto. “Privilegiamo il dire rispetto al domandare perché viviamo in un cultura pragmatica e orientata alla risoluzione dei problemi, che dà valore al sapere e al comunicare agli altri ciò che sappiamo” (p. 23).
In effetti, troppo spesso, nel mondo del lavoro, colui che pone una domanda non appare poi così interessato a ascoltare la risposta, bensì a proporsi immediatamente come colui che ha la parola adatta per “risolvere” la questione… Ecco dunque emergere la dimensione dell’umiltà – che non vuol certo dire farsi umiliare! – una umiltà che Schein declina su tre versanti per poi passare a illustrare con esempi concreti come sia possibile cercare informazioni in modo tale che la relazione interpersonali stimoli la fiducia reciproca.
A valle di ciascun esempio vi è un sintetico paragrafo intitolato Che cosa ho imparato in cui l’autore, dando prova della sua capacità di ascolto e di comprensione, esprime al lettore la fonte di apprendimento che ha colto nello specifico della situazione vissuta.
Mi sembra importante l’enfasi con la quale Schein insiste sul fatto che non si tratta tanto di apprendere la “tecnica della domanda”, quanto di porsi in un atteggiamento che favorisca uno scambio basato sull’interesse a comprendere e ascoltare: “Non voglio pilotare il mio interlocutore, né metterlo in condizione di dover dare risposte socialmente accettabili” (p. 56).
Due capitoli importanti sono quelli in cui Schein porta avanti la critica alla cultura organizzativa più diffusa nel mondo del lavoro, quella basata sul comando, sull’azione, sul rapporto superiore-subordinato, in una società che è definita denaro-centrica. Sono così esaminati i concetti di prestigio e di status, nell’ambito delle società tecnologiche in cui i capi sembrano ignorare l’aspetto tipicamente umano del lavoro.
L’arte di far domande può dunque apparire come un libretto facile e poco impegnativo, ma in realtà si tratta di un testo che fa riflettere su alcune, semplici, regole del buon vivere organizzativo: regole che non possiamo sicuramente dare per acquisite né per scontate nel nostro attuale mondo del lavoro.