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Questo lavoro di Salman Akhtar rappresenta uno dei migliori scritti sulla comunicazione paziente-analista e sull’ascolto esperto orientato dalla teoria e dalla tecnica psicoanalitiche.
L’autore, nato il 31 luglio del 1946, nel 1973 ha lasciato la sua patria, l’India, per recarsi negli Stati Uniti, ove ha completato la sua formazione psichiatrica e ha seguito il training analitico. Oggi Akhtar è professore di psichiatria presso il Jefferson Medical College di Filadelfia, ed esercita come analista didatta nel locale Centro Psicoanalitico. Persona eclettica, formatasi in un contesto familiare artistico, ha pubblicato estesamente nell’area della psicoanalisi clinica – vedi, ad esempio, l’importante contributo offerto con il Comprehensive Dictionary of Psychoanalysis (Karnac, London, 2004) - ma ha anche dato alle stampe ben sei volumi di poesie, occupandosi attivamente sia di cinema, sia di teatro. Tra i suoi incarichi scientifici sono presenti numerose attività svolte nell’ambito dei comitati di redazione delle maggiori riviste internazionali di psicoanalisi e la partecipazione al team direttivo della più importante rivista indipendente di psicoanalisi che è The Psychoanalytic Quarterly.
Questo scritto si colloca al cuore della psicoanalisi, della talking cure, la cura attraverso le parole. L’analisi, e ogni altra forma di psicoterapia che prenda in considerazione il mondo interno della persona, è veramente fatta di parole: parole pronunciate, ascoltate, interpretate, rispecchiate, e così via, quasi all’infinito. Peraltro, proprio recentemente, per mezzo degli studi di neurofisiologia e sulla base delle tecniche di neuroimaging, ci si è resi conto che con la psicoterapia si attuano dei cambiamenti nei circuiti sinaptici delle cellule cerebrali. Una scoperta non da poco, soprattutto a discapito dei tanti che ancora oggi deridono la psicologia clinica e la psicoterapia, considerandole niente di più di un placebo, proponendo l’idea che soltanto gli psicofarmaci possano davvero “curare”…
Tornando al libro di Akhtar, che è strutturato in sette capitoli densi di suggestioni, la domanda centrale verte sulle forme dell’ascolto (analitico) in entrambi i soggetti della relazione: analista (psicoterapeuta) e paziente. Vi è da sottolineare che questo testo, come molti altri – un esempio lampante è costituito da Sulla fine e sull’inizio, di Isca Salzberger-Wittenberg, da poco uscito in italiano per le edizioni Astrolabio (2015) – vale per lo psicoanalista così come per lo psicoterapeuta ad orientamento dinamico e/o interpersonale. Ma la capacità di ascoltare, ed ascoltare empaticamente, vale anche per coloro che devono fare diagnosi, cioè diagnosi psicologica, e a tale proposito non si può non ricordare l’esemplare lavoro di Nancy McWilliams La diagnosi psicoanalitica (la II edizione riveduta e ampliata è stata pubblicata nel 2011 e tradotta da Astrolabio nel 2012).
La base della riflessione di Akhtar sta nei quattro tipi di ascolto analitico: ascolto oggettivo, soggettivo, empatico e intersoggettivo, accuratamente descritti nel primo capitolo. A tali tipologie di ascolto fanno da contrappunto gli otto tipi di silenzio visti sotto il profilo della dinamica pulsionale e relazionale (quindi in modo veramente completo!). Soprattutto l’interrogativo circa il significato del silenzio del paziente solleciterà una forte curiosità nel lettore, compresa l’analisi del concetto di silenzio reciproco. Ma ciò che può parlare a voce ancora più chiara delle stesse parole sono le azioni: le azioni del paziente e dell’analista. Sono qui esaminati i comportamenti dei pazienti nella situazione clinica e il rispecchiamento che tali atti possono avere nel terapeuta, richiamando i concetti di acting in e di messa in atto, oltre a quello della comunicazione non verbale. Numerosi esempi clinici iniziano ad illustrano le parole dell’autore partendo proprio dai primi colloqui con il paziente e seguendo l’iter dell’intero processo terapeutico – sul colloquio psicoanalitico vedi Antonio Pérez-Sánchez, Il colloquio in psicoanalisi e psicoterapia (edizione originale 2012; traduzione italiana Astrolabio, 2014). Se “ascoltare le azioni” è rivolto principalmente al paziente, a come egli traduce in azioni la sua esperienza interiore, con il capitolo Ascoltare se stessi si entra nel territorio del controtransfert, qui discusso soprattutto nell’ottica intersoggettiva.
Le quattro tipologie di ascolto interno dell’analista aprono il campo di discussione alle imperfezioni dell’ascolto: cosa accade quando si ascolta in modo inadeguato, quando il contesto è disturbato, quando vi sono interferenze di ogni genere che rendono l’ascolto pesante, ostico, intermittente e difficile? Gli ostacoli dell’ascolto analitico discussi nel penultimo capitolo si integrano con le situazioni nelle quali emerge un vero e proprio rifiuto di ascoltare (sesto capitolo), ben raffigurato dal paziente che scoppia in urla disordinate e nel turpiloquio.
L’ultimo capitolo di questo bel libro è dedicato all’ascolto al di fuori dell’analisi e della psicoterapia. L’autore si chiede, ad esempio, quale sia il modo adeguato di ascoltare nella vita di tutti i giorni, negli incontri sociali e nella vita familiare, mettendo in guardia chi legge dall’adottare le modalità tecniche di ascolto analitico nelle situazioni informali e quotidiane di vita: “come non si dovrebbe andare con una Rolls-Royce su un terreno fangoso o indossare una giacca elegante per un barbecue in giardino, così non dobbiamo estendere e applicare scorrettamente l’ascolto psicoanalitico a tutto ciò che sentiamo” (p. 180-181).
Andrea Castiello d’Antonio