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LA MIA VITA
Questo è sicuramente un libro “atipico” nel panorama della cura e dello sviluppo delle persone nel mondo delle organizzazioni; nondimeno si tratta di un testo di grande interesse, e non solo nella direzione della psicologia dell’aviazione (branca emergente anche nel contesto italiano, a valle delle ultime novità inerenti la prevenzione di situazioni critiche nel volo).
La vita di Manfred Albrecht von Richthofen (1892-1918), meglio conosciuto come Il Barone Rosso, è un esempio di engagement nel ruolo, di auto-efficacia, di passione professionale, di forte identificazione con la causa, ma lascia anche trapelare alcuni elementi meno ideali e positivi che si individuano nelle pieghe della narrazione.
Incredibilmente – dal maggio del 1915 al giorno in cui fu abbattuto, il 21 aprile del 1918 – il nucleo pulsante della sua “avventura” copre soltanto circa 3 anni e si colloca in un’età anagrafica che definire “giovane” è limitativo: tra i 23 e i 25 anni. Intorno a Der Rote Baron si è creata una vera e propria leggenda; quella di un combattente rispettato dai suoi nemici, ammirato dai commilitoni, e preso come modello di pilota da combattimento, con ben 80 vittorie certificate (ma altre sicuramente realizzate, pur se non confermate da riscontri sul campo) nel corso della Prima Guerra Mondiale. “Cacciatore” per natura e per educazione familiare, Manfred Albrecht von Richthofen ha portato nei cieli lo stesso spirito della caccia agli animali del bosco a cui era stato abituato fin da ragazzino, in continuità con la sua natura di cavalleggero attratto dalle cariche impetuose (infatti, inizialmente servì nella cavalleria).
Assetato di rischio, affascinato dal duello, portato a entrare nel vivo del combattimento in modo irrefrenabile – “sinceramente, non avevo nessuna coscienza del pericolo…” (p. 59) – il Barone Rosso morirà avendo trasgredito ad alcune delle sue regole di combattimento, a causa di un colpo che lo trafigge nel cielo della Somme, in Francia.
Nel racconto che egli stesso fa della sua vita militare (un diario che si interrompe alla cinquantaduesima vittoria) si delineano diversi passaggi nell’assunzione del ruolo militare. Dall’accademia e dalla formazione di base, all’orgoglio di ricevere le stelline di sottotenente, dai lunghi voli effettuati come osservatore, all’agognato passaggio ai velivoli da caccia – un esame che dovrà ripetere una seconda volta perché nella prima viene ritenuto non idoneo – la narrazione si snoda arricchita da numerose riflessioni, analisi personali e considerazioni sulle tattiche di combattimento aereo. In effetti, questo diario si può anche leggere come una sorta di manuale di volo, un insieme di istruzioni e di considerazioni specifiche su diverse fasi del volo e del combattimento aereo. Ma ciò che maggiormente interessa è seguire l’autore nel corso della sua vita professionale, nelle modalità con cui forgia il mestiere e fa suo il ruolo a cui è destinato. Insieme a tale elemento si stagliano sullo sfondo le figure dei comandanti, gli stili di leadership, il potere enorme che possiede il “fare squadra” con i commilitoni, e i modelli esemplari rintracciati dal Barone Rosso in alcuni altri (pochi) piloti, molti dei quali, peraltro, scompariranno prematuramente nei cieli.
Sono, queste, pagine affascinanti (con una bella Introduzione a firma di Salvatore Santangelo), che possono inebriare l’animo, soprattutto dei giovani. Ma va sottolineato, proprio ai più giovani, che sono pagine di una persona rimasta viva per alcuni (pochi) anni, e che solo per tale motivo le ha potute scrivere. Quanti altri avrebbero avuto desiderio e materia per raccontare le proprie avventure - ma non hanno potuto farlo - non è dato di sapere.
Andrea Castiello d’Antonio