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La nascita della psicoterapia familiare

Autori: 
Murray Bowen
Casa editrice: 
Casa Editrice Astrolabio

La psicoterapia della famiglia ha ormai una sua storia ma, come capita spesso a idee e concetti che sono entrati nel bagaglio culturale e professionale di tanti studiosi e professionisti della psicologia clinica, si corre il rischio di perdere la visione dei primordi e dei difficili momenti in cui essa ha avuto sviluppo. Questo libro ha il pregio di richiamare il lettore su una delle radici più significative della psicoterapia familiare, quella che fa riferimento allo psichiatra, e professore di psichiatria presso la Georgetown University, Murray Bowen (31 gennaio 1913 – 9 ottobre 1990) un pioniere della terapia familiare e fondatore della terapia sistemica.

Joanne Bowen, figlia di Murray, introduce il lettore scrivendo la Presentazione del testo e sottolineando il senso dell’impresa condotta dal padre soprattutto nel corso dei cinque anni che egli ha trascorso presso il National Institute of Mental Health, cioè dal 1954 al 1959. Gli scritti che sono qui raccolti narrano, appunto, dei primordi della terapia familiare. Fu nel corso delle esperienze che Bowen maturò dal 1946 al 1954 presso uno dei centri di eccellenza della psichiatria e della psicologia clinica statunitense, la Menninger Clinic di Topeka, che ebbe l’idea che la schizofrenia potesse avere una dimensione familiare, che potesse essere un “problema familiare”.

Egli proveniva dalla formazione psicoanalitica - come molti altri clinici che hanno poi fondato scuole di psicoterapia diverse da quelle analitiche – e dovette inizialmente superare la visione consolidata della coppia terapeuta-paziente al fine di inquadrare la psicosi schizofrenica nel contesto familiare, come segnale e sintomo di disagio. Da qui si sviluppò l’idea della famiglia come unità emotiva e non come un insieme di individui, pur se interagenti tra di loro: “come professionisti abbiamo cercato di definire la ‘terapia familiare’. È chiaramente distinta dalla psicoterapia individuale, ma anche dalla psicoterapia di gruppo. L’intenzione è quella di rapportarsi alla famiglia come a un singolo organismo” (p. 69). Un contesto in cui emerge anche l’aspetto multigenerazionale, considerato soprattutto nelle dinamiche delle relazioni tra la madre e i figli, come nota acutamente Michael E. Kerr nella Prefazione a questo libro. L’aspetto multigenerazionale si associa alla visione sistemica, e tale quadro di riferimento diverrà un caposaldo di ogni concezione familiare di terapia psicologica.

La struttura del libro è suddivisa in sette capitoli che riproducono saggi e relazioni assolutamente attuali. Il primo capitolo tratta in modo molto sintetico della simbiosi tra operatori e famiglie, mentre il secondo rende comprensibile il senso del concetto di famiglia come unità emotiva. E’ il terzo capitolo che offre al lettore una visione molto chiara della nascita della terapia familiare di Bowen, visione integrata dal capitolo successivo in cui sono riportati gli interventi di altri clinici nel corso di un seminario realizzato nel 1958 - quindi in un momento in cui l’insieme delle idee e delle prassi terapeutiche era già ben definito -. Questa linea di approfondimento prosegue con La famiglia come unità di studio e trattamento (quinto capitolo), mentre gli ultimi due capitoli tratteggiano la struttura dei progetti di ricerca realizzati nell’ambito del Family Study Project: “il progetto è stato messo su all’inizio per lo studio di un piccolo numero di pazienti schizofreniche insieme alle madri […] Ma fin dall’inizio la schizofrenia è stata considerata un problema della famiglia anziché dell’individuo. L’ipotesi eziologica dello studio madre-figlia era che la psicosi nasca dal perdurare in età adulta della relazione primaria madre-bambino, perpetuata dai bisogni emotivi della madre […] Lo studio è stato impostato come un progetto di trattamento per verificare l’ipotesi che la psicosi sia reversibile quando la madre è capace di rinunciare al figlio” (pp. 38-39). Si delineano così i modelli di comportamento familiare come il divorzio emotivo (la distanza emotiva tra i genitori) e la reciprocità superadeguata-inadeguata, cioè il gioco della maturità-immaturità messo in scena da genitori che negano il proprio stato: come nei casi di madri esigenti e dominanti e di padri che assumono il ruolo del partner succube, passivo ed inadeguato, in un gioco che blocca la presa di coscienza.

Certamente la terapia della famiglia è oggi un mondo composito in cui sono presenti altri eminenti clinici come, ad esempio lo psichiatra, pediatra e psicoterapeuta Salvador Minuchin (nato a San Salvador, in Argentina, nel 1921) di cui si devono ricordare i seguenti tre scritti: Famiglie e terapia della famigliaL'arte della terapia della famiglia (scritto con Michael D. Reiter e Charmaine Borda), e Guida alle tecniche della terapia della famiglia, un’opera redatta insieme a H. Charles Fishman, con la prefazione di Aaron T. Beck (tutti tradotti dall’editore Astrolabio).

Al fine di integrare al meglio la lettura di questo libro ottimamente tradotto da Gabriele Noferi si consiglia di prendere in esame il testo di M. E. Kerr e M. Bowen La valutazione della famiglia. Un approccio terapeutico basato sulla teoria boweniana (Astrolabio, Roma, 1990).