CONTATTAMI

Per appuntamento

La seduta può essere svolta presso il mio studio oppure online tramite videochiamata.

* campo obbligatorio

CAPTCHA
Questa domanda è un test per verificare che tu sia un visitatore umano e per impedire inserimenti di spam automatici.

Psicologia del Femminicidio

 Psicologia del femminicidio

L’idea che in ogni essere umano conviva la dimensione maschile e quella femminile – l’Animus e l’Anima dello psicologo-analista Carl Gustav Jung – è ancora lontana dalla nostra cultura. Persino nella religione cattolica l’idea di un Dio maschio-femmina, che non a caso creò “a sua immagine e somiglianza” l’uomo e la donna, sottolinea la pari dignità dei due generi, ponendo anzi al culmine della creazione proprio la donna. 

Le cause psicologiche della violenza sulle donne 

Uccidere il “femminile” rappresentato dalla donna è uccidere una parte di se stessi, la cui sensazione di presenza interiore è intollerabile per l’omicida che, per un malato bisogno psicologico e per un arcaico modello culturale, si conferma nella propria identità “maschile”  solo attraverso il riaffermare sé come potente e decisore, il definire il proprio genere come superiore, il delineare un mondo dicotomico bianco-nero, giusto-sbagliato, in cui ogni sfumatura – e quindi ogni dialettica (in questo caso, tra i generi) – è soppressa. Un atto di violenza contro se stessi che, però, si incarna e trova sfogo nell’azione contro la donna, la vittima designata. 

Violenza domestica e femminicidio

Purtroppo, in assenza di un progetto socio-culturale e di un programma di educazione in senso ampio volto a rendere più civili e giusti i rapporti tra generi, l’impatto positivo della Convenzione del Consiglio d’Europa di Istanbul (2011) rischia di rimanere una lettera morta. 
Ed è solo dal 2001 che nella lingua italiana esiste il termine femminicidio – in precedenza vi era uxoricidio, cioè l’uccisione della “moglie”.
Le statistiche sul fenomeno in Italia presentano scenari sconfortanti, per cui la maggior parte di questi omicidi avvengono tra le mura domestiche ad opera di partner violenti o di ex partner che si rifiutano di essere tali
E’ evidente la responsabilità di leggi e forme di educazione - a partire dalle scuole - al rispetto delle differenze tra generi, alla legittima parità di relazione tra loro, e al concetto che nel rapporto di coppia uno dei partner non è proprietà privata dell’altro, bensì è una persona con diritto di vita e di scelta. Ma è anche vero e ben visibile che arginare e prevenire il fenomeno è complesso.  

Come riconoscere se la propria situazione è a rischio?

Quando nel rapporto di coppia le discussioni assumono toni violenti  sul piano del linguaggio e sul piano fisico; quando il partner distrugge oggetti e si accanisce sulle cose minacciando violenze e urlando; quando l’uomo vuole controllare tutta la vita della donna manifestando eccesiva gelosia e denigrando contemporaneamente la donna nullificandola e offendendola: ecco che anche solo la presenza di una di queste situazioni rappresenta il sintomo di una dinamica malata per il rapporto di coppia e più che pericolosa per la donna. 
E’ da queste prime avvisaglie che bisogna partire per richiedere subito l’aiuto competente, al di là delle motivazioni – che sono spesso “giustificazioni” - che possono essere lette come cause di uno di questi comportamenti distruttivi che il partner assume. 
La donna che chiede aiuto si sente meno sola – “è” meno sola! - di fronte al dramma che sta vivendo e, di fatto, ha più forza di quella che se stessa immagina e che l’uomo stesso (che le fa violenza) immagina.  Non è facile, certo, ma è una delle possibilità di salvare la vita a se stessa e, se ci sono, ai propri figli.

 

Come difendersi dalla persona violenta 

La più (apparentemente) ovvia forma di prevenzione rispetto ad una prospettiva che guarda al singolo caso – la reazione della donna che, riconoscendo il rapporto malato, denuncia il partner o, comunque, lo lascia alle prime avvisaglie di forme violente nella relazione – non è così semplice. Sul piano emotivo e psicologico la donna investe nel rapporto affettivo con il partner e attribuisce una serie di significati e di senso di sé al riconoscimento che riceve dal partner. Ciò fino al punto che inconsciamente - se la donna non è dotata di una solida autostima e di una limpida visione di se stessa - può tendere a attribuire a sé la responsabilità del comportamento violento del partner (o ex partner), leggendolo in modo riduttivo come un raptus momentaneo. In altri casi la violenza del partner è interpretata addirittura sinonimo di amore e di geloso interesse, fino al punto di assolverlo, o proteggerlo, a causa di un senso di colpa profondo che non ha nulla a che vedere con la relazione, dato che ha radici ben più lontane. 
Il circolo vizioso in cui la donna può trovarsi – con o senza figli, dimensioni queste da non sottovalutare per il loro peso nello scenario dell’esistenza della persona, delle sue speranze e terrori e quindi delle sue scelte – diventa un intricato labirinto o un tunnel che la persona può vivere drammaticamente e in modo altalenante, in cui fa paura anche chiedere aiuto. Ma chiedere aiuto psicologico (a parte quello di competenza delle autorità preposte) è necessariamente il primo passo per trovare le proprie e adeguate attrezzature per affrontare un percorso di rottura di questo circolo vizioso e pericoloso, individuando così le strade sane che possono essere intraprese dalla donna per affrontare la situazione. Ciò sarà  fondamentale per identificare vie di uscita che salvaguardino la propria vita e quella degli eventuali figli.