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La relazione terapeutica. Storia, teoria, problemi
Questo è un libro apparentemente semplice perché centrato su un oggetto ben definito e delineato fin dal titolo e, quindi, portatore di una indicazione circa la quale gran parte degli psicoterapeuti – medici e psicologi – potrebbero reagire interiormente con una sensazione di già visto o addirittura un moto di sufficienza. Al contrario, si tratta di un testo finemente articolato, dalle molteplici facce, che conduce il lettore verso una giusta e direi professionalmente dovuta posizione di modestia intellettuale, giacché il tema della relazione terapeutica è ampio, sfaccettato, con tante radici e ancora più diramazioni. Un argomento problematico e che problematizza, un argomento che giunge fino a noi, oggi, dopo aver surfato sulle onde, per così dire, di tanti e diversi modelli, ma anche di numerose e diverse concezioni dell’essere umano – e non solo della cura.
Inoltre, si deve aggiungere che questo della relazione, della relazione terapeutica, del rapporto terapeuta-paziente è troppe volte diventato un tema un po’ da barzelletta nel momento in cui si vanno a scorrere le presentazioni ed i programmi di insegnamento delle centinaia di scuole e scuolette di psicoterapia oggi esistenti in Italia (un fenomeno insidioso su cui, quarant’anni orsono, scrissi l’articolo: “Osservazioni sulle ‘Nuove Scuole’ di psicoterapia in Italia. Giornale Italiano di Psicologia”. X, 2, 381-394, 1983). Dunque, molto bene ha fatto Antonio Semerari a dedicare uno spicchio della sua vita di professionista e di studioso a mettere ordine sull’argomento, abbracciando un’ottica super partes – cosa non solo encomiabile, ma anche assai rara – e riuscendo a bilanciare due aspetti della scrittura che generalmente non vanno molto d’accordo: la comprensibilità e la profondità della riflessione. Del resto dello stesso Semerari si deve ricordare almeno un altro bel testo, cioè Storia, teorie e tecniche della psicoterapia cognitiva (Laterza, 2000) e, come si può notare, l’approccio dell’autore è sempre quello di coniugare gli aspetti teorici con lo sviluppo storico delle idee, ma anche quello di dichiarare in modo molto sincero il proprio pensiero e le proprie perplessità, come nel seguente passaggio: “È vero, ho esitato a prendere posizione. Ma cercate di capirmi. Sono laureato in medicina, sono un terapeuta cognitivo da quasi quarant’anni, come posso essere contro il modello medico? D’altra parte, come non avere la massima considerazione per gli aspetti relazionali se ho deciso di scrivere un faticoso libro sull’argomento?” (p. 160).
Un libro suddiviso in cinque ampie parti che contengono sedici capitoli, a cui seguono le Conclusioni, la Bibliografia e l’Indice dei nomi. Un lavoro che si presta ad essere letto sia come un testo di studio, dalla prima all’ultima pagina, sia come un testo di approfondimento, in modo verticale su tematiche specifiche in cui il lettore desidera calarsi e condividere con l’autore le domande che egli stesso si pone come, ad esempio: “cosa si intende per centralità attribuita alla ‘dimensione relazionale dell’esistenza’?” (p. 77).
La capacità dell’autore di illustrare posizioni teoriche e approcci complessi in modo chiaro e lineare si coniuga con lo spettro ampio di argomenti che, inevitabilmente, entrano dentro la tematica della relazione terapeutica e fanno di questo libro un testo che va molto al di là del titolo che enuncia. Ecco emergere, tra gli altri: la distinzione tra funzione materna e/o paterna del terapeuta in relazione all’evoluzione e al cambiamento delle sofferenze mentali manifestate dai pazienti; i collegamenti tra efficacia del trattamento e modalità di gestione del paziente; il confronto tra psicoterapie basate sul disturbo – che hanno prodotto specifici manuali – e, tipicamente, la psicoanalisi classica, cioè indirizzi non specifici rispetto alle patologie (meglio: non sempre specifici), fino ad approfondire un tema limitrofo da essenziale come quello delle rotture dell’alleanza, un tema ottimamente rappresentato dal prezioso lavoro di Jeremy D. Safran e J. Christopher Muran, Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica (Laterza, 2003) (libro da me recensito sul n. 78-2020 di questa stessa Rivista).
Sullo sfondo si intravede affiorare il paradigma medico ippocratico, ma costante appare l’anelito nel voler perseguire l’idea di un affresco che possa costituire una base tendenzialmente unificante per la diverse visioni – o i diversi modi? – con cui l’idea di relazione terapeutica è stata trattata fino ad oggi, facendo anche attenzione a definire il significato dei termini che si usano, dato che uno stesso concetto può indicare differenti fatti clinici, e uno stesso accadimento clinico può essere definito con parole differenti dalle diverse scuole di pensiero.
In conclusione, si deve solo notare l’assenza di riferimenti ad autori importanti che, dal mio punto di vista, avrebbero arricchito le riflessioni di Semerari: ne cito due rispetto ai discorsi sulla tecnica e sulla clinica, e cioè Sándor Ferenczi e Silvano Arieti, e altri due in relazione agli intrecci tra psicopatologie individuali e dinamiche (malate) della società: Christopher Lasch ed Erich Fromm.
L’unico difetto nella struttura di questo libro sta nel non aver inserito un Indice per argomenti che avrebbe consentito al lettore una consultazione trasversale puntuale.
Andrea Castiello d’Antonio
Questa recensione è stata pubblicata sulla rivista “Qi – Questioni e Idee in Psicologia”, numero 110, Maggio 2024.