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La psicologia applicata in Italia è sotto-utilizzata. Sì. Lo era, lo è, e forse lo sarà ancora un domani!
Sono trascorsi quasi 20 anni da quando lessi l’articolo di Frank Heller The Underutilization of Applied Psychology – “La sottoutilizzazione della psicologia applicata” – e nel corso di questi anni più volte ho avuto modo di richiamarlo in diversi miei libri e articoli.
Parliamo di “psicologia applicata”, non di accademia, teorie, filosofie, o ricerche e sperimentazioni inutili per pubblicare articoli che servono a ottenere punteggi per fare i concorsi universitari. Parliamo della psicologia che è utile alla vita, quindi psicologia clinica, sociale, del lavoro, dell’educazione. Vediamo alcuni esempi.
Il Servizio Sanitario Nazionale impiega un numero assai limitato di psicologi, tanto è vero che, nella pratica, si rivolgono al SSN per fare psicoterapia soltanto le persone che non hanno risorse economiche per pagarsi un professionista privato. Del resto, quando un paziente vuole prendere un appuntamento con una struttura pubblica, al di là dei tempi di attesa, non sa con chi si incontrerà, né sa se nelle sedute che seguiranno potrà incontrarsi con la stessa persona…
Nel mondo del lavoro gli psicologi sono il più delle volte relegati alle funzioni di base: reclutamento, selezione, qualcosa sulla gestione delle carriere, organizzazione della formazione, e poco altro. Peraltro, si tratta di funzioni che sono di fatto svolte anche da una miriade di soggetti diversi: laureati in giurisprudenza, in scienze sociali, in ingegneria, in economia… La psicologia del lavoro non è un ambito delimitato e protetto di impiego professionale per gli psicologi che operano nelle organizzazioni di lavoro.
Nella Pubblica Amministrazione, lì ove sono presenti psicologi, sono pressati da impegni soverchianti, oppure lasciati a fare poco o nulla. Un esempio del primo caso lo vediamo con i concorsi pubblici nelle forze armate e di sicurezza, quando agli psicologi è richiesto di eseguire 15-20 colloqui di selezione al giorno! Chissà quale dirigente, quale mente eccelsa può credere davvero che sia possibile scegliere accuratamente un agente di PS o un militare con colloqui di pochi minuti…
Vicino al mondo della sicurezza si colloca la realtà delle carceri. Nei penitenziari sarebbe vitale avere un robusto impiego di psicologi, ma così non è, e i pochi che vi lavorano sono decisamente sottopagati. Né i detenuti, né gli agenti della Penitenziaria e gli altri operatori possono così usufruire di un normale, decente, servizio di consulenza psicologica.
Emerge quindi il mondo dell’educazione, la scuola in tutti i suoi gradi, fino all’università. Non vi è necessità di dire che l’orientamento scolastico, universitario e professionale non è mai stato perseguito né realizzato dai nostri legislatori e decisori statali. Semplicemente, non esiste. Così come la presenza degli psicologi nei contesti a cui affidiamo i nostri figli è perlomeno episodica e estemporanea. Anche nel mondo dell’istruzione, né i “clienti” né il personale che vi opera ha l’opportunità di utilizzare le conoscenze della psicologia applicata.
Cosa dire di campi più specifici? Anche in questo caso si possono portare alcuni esempi.
Per conseguire la patente di guida e per mantenerla è previsto accertare anche dei requisiti psicologici (detti “psicofisici”) ma non esiste alcun psicologo che si occupi di questa attività. Per conseguire la licenza di porto d’armi è richiesta, testualmente, la “assenza di disturbi mentali, di personalità o comportamentali” ma, anche in questo caso, l’attività è appannaggio dei medici.
Insomma, sembra che la psicologia professionale non interessi a nessuno. Non interessa alla società, sicuramente non a coloro che hanno il potere di decidere e di legiferare in modo chiaro che per occuparsi di “fatti psicologici” debba essere chiamato uno psicologo professionista, abilitato e specializzato, e non altre figure professionali, né il primo che passa, o qualche stregone.
Sicuramente, gli ordini professionali e il consiglio nazionale degli psicologi non si sono mai battuti realmente per accreditare la psicologia applicata nei diversi settori. Men che mai hanno svolto tale attività gli accademici di carriera, chiusi come sono nei loro gusci, eventualmente attenti soltanto ad avere un adeguato numero di studenti, insegnamenti, e fondi di ricerca.
A fronte di centinaia di migliaia di laureati in psicologia – di volta in volta ingannati con slogan del tipo “C’è grande richiesta di psicologi del lavoro!”, oppure “La psicologia giuridica è il nuovo sbocco professionale!” – le possibilità occupazionali sono oggi meno che zero. Naturalmente, ciò accade nel vuoto della programmazione occupazionale e della previsione.
La psicologia applicata si inserisce nell’alveo denominato DYSS: do-it yourself social sciences. Dato che le discipline socio-psico, eccetera non sono ritenute “scientifiche” (una posizione a cui hanno contribuito persino alcuni psicologi!), se ne può fare tranquillamente a meno nell’applicazione pratica.
E ora una parola su Frank Heller con il quale a suo tempo ho scambiato alcune idee. Il suo articolo fu pubblicato sulla rivista European Work and Organizational Psychologist (numero 1 del 1991, alle pagine 9-25). Heller (nato il 22 marzo 1920 e scomparso il 27 maggio 2007) è stato uno degli ultimi esponenti di spicco del “Tavistock Institute of Human Relations” di Londra ove ha lavorato per 30 anni come direttore del Centre for Decision-Making Studies. I suoi contributi spaziano i diversi campi e la sua figura è giustamente ricordata come quella di un serio scienziato sociale professionale, interessato allo sviluppo delle persone e delle società.
Andrea Castiello d’Antonio