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Dai lontani programmatori impegnati a tradurre in una videata i dati grezzi di presentazioni asettiche, agli attuali professionisti che animano e muovono le reti e le connessioni, in pochi anni si è avuta una vera e propria rivoluzione.
Questo libro è un supporto importante per capire le nuove competenze che animano queste persone, per delineare i nuovi mestieri e definire i compiti, gli scopi, le dimensioni delle nuove professionalità.
Scorrendo queste pagine si può capire come trascorre una tipica giornata di lavoro di un professionista digitale impegnato sui settori più diversi: community, siti web, social media, advertising, ove si muovono gli specialisti di immagini virtuali e di reputazione in rete, gli analisti dei trend, fino ai data scientist. La posta in gioco è elevata. Un tempo si poteva pensare che accedendo al digitale ogni produttore di servizi e di beni avrebbe potuto avere una vetrina in più, e migliore, di quella tradizionale. Ora ci si rende conto che la selezione è spietata e la concorrenza sempre all’erta, e molte apparenze stanno cadendo: ad esempio, avere migliaia di contatti in rete non significa avere migliaia di potenziali clienti e nemmeno di soggetti pronti a reagire ad ogni nostro input.
Nell’ambito delle community on line i mestieri sono numerosi, sempre di più, in continua diversificazione: digital marketing, social media marketing, community manager, social media analist, social media strategist, fino a un futuribile community evangelist…. Sembra proprio non vi sia fine all’espansione di questi mondi, considerando che il motto lanciato da David Moth tra chi si occupa di tale genere di affari è Pay to play, or stay away: il tempo degli spazi liberi sul web è finito, così come il tempo del fare-per-gioco, o solo per piacere. Oggi, un’azienda che vuole rimanere “viva” nella rete deve affidarsi a dei professionisti.
Ma in questo singolare libro si parla anche della resilienza, cioè della forza che devono avere queste figure per veleggiare sempre sulle onde (del web e del mercato), per non farsi mai scoraggiare, per non affondare nei meandri delle concorrenze spietate e pronte a tutto. Dunque un insieme di professioni che sono, al tempo stesso, creative, tecnologiche, sfidanti, ma anche rischiose, mutevoli, difficili da valorizzare, ancor più difficili da “piazzare” presso i potenziali clienti - a meno che non si tratti di clienti “evoluti”, abituati a “stare connessi”.
Insieme a tanti super-tecnologi si è nuovamente aperto lo spazio per talune figure scelte di umanisti, come filosofi e psicologi che sanno coniugare la loro sapienza con l’era attuale. Proprio come accadde nei primi tempi della Intelligenza Artificiale quando alcune aziende, anche in Italia, reclutarono gli umanisti nei loro laboratori di ricerca e sviluppo. Ma la digital transformation ha portato con sé l’attenzione alle digital soft skill, alle abilità mentali necessarie per svolgere questi ruoli in modo adeguato e per eccellere nel mare delle connessioni invisibili che popolano il mondo di oggi.
Il mercato digitale sembra aver necessità di poche risorse, ma di livelli assai elevati. Alcune professionalità sono in via di estinzione o sono state già distrutte, mentre altre, quelle nuove, possono emergere rapidamente ma possono anche languire per tempi assai lunghi. Non a caso alcune ricerche hanno evidenziato il delta che esiste tra la domanda e l’offerta di tali professionisti, oggi, in Italia. Si tratta di professioni particolari, come il chief innovation officer – finalizzato a proporre modelli innovativi per utilizzare al meglio le risorse digitali – il data scientist, che ricerca i trend sociali e culturali al fine di supportare le scelte di alta strategia, e tutti coloro che si devono impegnare nell’ottimizzare le relazioni con i clienti, profilandone le caratteristiche, nel mondo del digitale.
Nell’ambito di questo mondo costituito da forme complesse e leggere di comunicazione la capacità di ideazione emerge come una delle qualità centrali di molte professioni digitali. Come è scritto nel libro, nessuna macchina è in grado di pensare out of the box, fuori da ciò che gli si offre come dati di base per costruire algoritmi o qualcosa di simile ai “ragionamenti”. Per pensare a campo aperto è necessario l’essere umano, e solo la persona può mettere insieme informazioni che sembrano contradditorie, che possono leggersi sotto diversi angoli visuali, che prevedono non una ma numerose eccezioni alle regole, e che si basano su dati mutevoli.
Dunque, nell’ambito della gestione delle risorse umane, la sfida è come riconoscere le persone adatte a tali ruoli, come formarle (comunque) a vivere in quel particolare mondo che è l’organizzazione - soprattutto se non siamo nel mondo variopinto della mitica Google… - e come trattenere questi cervelli che a tutto sono interessati fuorché all’azienda in cui operano! A queste specifiche risposte il libro non offre soluzioni ma, nel complesso, offre molte informazioni sui cui lavorare.
(Recensione pubblicata nella Webteca Isper Panorama risorse umane)