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LEZIONI SULLA TECNICA

Titolo: 

LEZIONI SULLA TECNICA

Autori: 
Melanie Klein
Casa editrice: 
Raffaello Cortina, 2020, pp. XI+210, Euro 24,00

E’ difficile dire se questo libro si goda maggiormente leggendo prima la lunga e articolata Introduzione di John Steiner, oppure puntando subito ai capitoli secondo e terzo, e cioè al testo kleiniano relativo alle “lezioni” del 1936 e ai “seminari” del 1958. In entrambi i casi si ha la netta impressione di trovarsi di fronte a riflessioni per nulla datate; considerazioni affascinanti, anche pensando alle epoche in cui sono state scritte – due epoche difficili, ma per motivi diversi – e stimolanti ulteriori riflessioni ed approfondimenti. Un esempio di percorso da poter approfondire tra tanti è rappresentato dal bel saggio della psicoanalista austriaca Hermine Hug von Hugenstein (meglio conosciuta con il nome di Hermine Hug-Hellmuth) “On the Technique of Child-Analysis” (International Journal of Psychoanalysis, 2, pp. 287-305) – ma su di lei vedi anche l’articolo di Martin J. Drell, “Hermine Hug-Hellmuth, A pioneer in child analysis” (Bulletin of the Menninger Clinic, 46, 2, pp. 138–150, 1982). Si tratta di uno di quei contributi “storici” di cui troppo spesso si dimentica lo spessore, non trovando mai il tempo adatto per consultarlo.

Tornando al testo di Melanie Klein, l’aver pubblicato questi documenti finora inediti ha un suo valore perché Melanie Klein, nella sua vita professionale e scientifica, non ha trattato particolarmente questioni di tecnica analitica rivolte al paziente adulto. Inoltre la possibilità di confrontare dei contributi che hanno un delta temporale di oltre venti anni permette al lettore di compiere un confronto rispetto all’evoluzione di alcune delle idee dell’autrice, pur tenendo conto che il pubblico a cui si rivolge la Klein è assai differenziato: nel 1936 si tratta di candidati della BPS - British Psychoanalitycal Society, mentre nel 1958 l’uditorio è composto da analisti, pur se giovani (ma il “contenitore”, cioè la BPS, è il medesimo). Anche l’aver riportato le domande dei partecipanti rappresenta un punto di interesse nella lettura di questo volume che nasce, per così dire, da una vera e propria ricerca d’archivio il cui merito va a Elisabeth Spillius, coadiuvata da John Steiner la cui introduzione critica (come detto poco sopra) merita certamente di essere attentamente studiata.

Non tutti sanno che fin dagli Anni Trenta Melanie Klein aveva maturato esperienze di analisi con clienti adulti, esperienze da cui sono scaturite non solo le “lezioni” ma anche una gran quantità di appunti, note e scritti conservati, tra molto altro materiale, nel Melanie Klien Archive di cui Steiner dà ampia testimonianza, annotando anche ciò che definisce il ricco bottino ancora custodito in scatoloni e faldoni.

Sono diversi i punti su cui le pagine di questo libro accendono l’attenzione del lettore, a iniziare dalle questioni tecniche dell’hic et nunc e del controtransfert, ma credo che una speciale attenzione sia da dare alle questioni delle qualità personali dell’analista, all’atteggiamento analitico e, in una parola, all’umanità del terapeuta. Fondamentalmente l’autrice risponde alle domande sulle caratteristiche necessarie all’analista per svolgere al meglio il proprio mestiere e sull’assetto mentale dello stesso (spazio mentale in cui si colloca anche la capacità di non farsi sopraffare dalle proiezioni del paziente, pur mantenendosi ricettivi). In effetti, molte delle considerazioni svolte in queste pagine stanno ad indicare la necessità di mantenersi in equilibrio tra due polarità come, ad esempio, tra la fantasia e la realtà, tra il passato e l’attualità della vita del paziente, tra l’empatia e il distacco dell’analista. Fin dalle “lezioni” degli Anni Trenta emergono quelle convinzioni di fondo che non abbandoneranno più l’esercizio dell’attività clinica della Klein, con una speciale sottolineatura alle dinamiche transferali e alle difese che il terapeuta può mettere in gioco per difendersi dall’angoscia del paziente. Steiner nota di sfuggita che probabilmente, oggi, non sono molti gli analisti che si comporterebbero con i loro pazienti come descrive l’autrice ma ciò non toglie che molti passaggi di questo testo si possono leggere come se fossero stati scritti se non proprio oggi, almeno ieri. 

Ripercorrendo la scoperta freudiana del transfert la Klein, nelle prime pagine delle sue “lezioni” del 1936, introduce la dinamica dell’amore e dell’odio, e la potenza di sentimenti come la colpa e la vergogna. Ed è importante notare i richiami al famoso articolo sulle interpretazioni di James Strachey del 1934 – tradotto in italiano e pubblicato nel numero 20, 1974, pp. 92-126 della Rivista di Psicoanalisi. A ciò la Klein associa le proprie opinioni che, in un certo ambito – quello dell’intervento sul cosiddetto” punto di urgenza del materiale inconscio, per come emerge in relazione al transfert” (p. 107), non differenziano tra paziente adulto e analisi infantile, specificando poi il come dovrebbe essere un’efficace interpretazione.

Emerge la considerazione rispettosa e profondamente umana della Klein verso il paziente, insieme alla sua critica verso coloro che ambirebbero applicare una sorta di tecnicismo meccanico. Il terzo capitolo, quello dei Seminari sulla tecnica del 1958, è basato su una lista di undici interessanti domande predisposte dal gruppo di partecipanti per la Klein, e qui non si può non apprezzare la dinamica del dialogo e la trasparenza con cui sono formulate le risposte, ad iniziare dalla domanda di Isabel Menzies “’Possiamo interromperla, signora Klein, o le facciamo perdere il filo?’ Melanie Klein: ‘No, tanto l’ho già perso’” (p. 117). Infine, le considerazioni della Klein su tematiche quali il colloquio preliminare, il silenzio del paziente, il significato di attenzione uniformemente fluttuante e l’identificazione proiettiva non sono solo da leggere, ma da studiare.

 

Andrea Castiello d’Antonio

 

Questa recensione è stata pubblicata sul numero 96, APRILE 2022, della rivista Qi – QUESTIONI E IDEE IN PSICOLOGIA, Hogrefe, Firenze