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La seduta può essere svolta presso il mio studio oppure online tramite videochiamata.
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Diventeremo… il popolo che guarda verso il basso?
Look-down generations, generazioni con lo sguardo rivolto verso il basso.
Dove? Verso il cellulare, il tablet, lo smartphone, il notebook, il pc portatile, e qualunque altra diavoleria di device in cui uno schermo luminoso a colori può attrarre la nostra attenzione.
Con lo smart working probabilmente questo “atteggiamento”, chiamiamolo così, si è diffuso e/o si è amplificato.
Ma anche prima della pandemia Covid-19… Chi avrebbe mai pensato di vedere in giro per le strade persone che camminano fissando lo sguardo su un rettangolo luminoso tenuto in mano?
Chi avrebbe mai pensato di prendere posto in un autobus, un treno, una sala d’aspetto, e – invece di vedere gente che si guarda intorno, sfoglia un quotidiano o legge un libro, osservare teste chine, occhi bassi, e una certa luminescenza che promana da scatolette piatte e rettangolari?
Device, dispositivi, aggeggi, arnesi, strumenti che, in realtà, dovrebbero rimanere, appunto, strumenti nelle mani della persona, ma che troppo spesso finiscono loro a maneggiare la persona, facendo venire in mente una frase che ho letto da qualche parte quando fumavo gli Habanos, i puros cubani, che recitava qualcosa del tipo Non sono io che fumo il sigaro, sono fumato dal sigaro…
Così non si capisce più fino a che punto le persone utilizzano i device tecnologici o ne sono utilizzate. Soprattutto quando questi strumenti travalicano il loro uso finalizzato e specifico – come può essere quello legato a svolgere una particolare attività di studio o di lavoro – diventando una sorta di compagni di strada che sono compulsati centinaia di volte al giorno.
Sono state effettuate ricerche che hanno individuato tempi di utilizzo impressionanti e numero di accensioni-visualizzazioni giornaliere impensabili. Oltre a registrare i pochi secondi che separano il risveglio mattutino dalla prima “occhiata” al cellulare!
E anche durante il pranzo e la cena, seduti al tavolo insieme a tanti altri, ognuno è perso nel proprio piccolo mondo di social media, di chat, di interconnessioni…
Altro che guardare il cielo, ascoltare le proprie emozioni – e non inviare emoticon! – camminare con le mani libere guardando dove si mettono i piedi, parlare con gli altri senza sentirsi trascinati dal proprio guinzaglio tecnologico…
Quali le conseguenze di questa iper-connessione tecnologica?
Limitando il discorso al guardare verso il basso direi che le prime conseguenze che vediamo e che vedremo saranno le patologie legate alle vertebre cervicali, al tratto alto della colonna, ai muscoli del tratto testa-collo-spalle.
Il secondo sistema che viene fortemente chiamato in causa è, naturalmente, quello della vista. Gli occhi, i nostri occhi, non dimentichiamolo, sono costruiti per guardare lontano, e costringerli molte ore al giorno a fissare schermi luminescenti a pochi centimetri di distanza non è una buona cosa.
Poi ci sono le conseguenze sociali.
Il disimpegno nelle relazioni, il non riconoscimento dell’altro, la svalutazione del contatto umano – tra esseri umani – sono solo alcune di queste.
Si potrebbe continuare additando la pericolosità del rinchiudersi in se stessi, soprattutto a carico di quei giovani che sono già per temperamento caratterizzati da timidezza e/o da vere e proprie difficoltà relazionali.
Avere intorno a sé un mondo che parla e risponde, ma è un mondo tecnologico, rappresenta purtroppo un’ottima via di fuga per non impegnarsi nel (talvolta faticoso) gioco della gestione delle relazioni interpersonali.
Come ormai sappiamo molto bene, è l’intero apparato cognitivo della persona che tende ad indebolirsi, impigrirsi, a causa del ricorso costante ai device tecnologici per risolvere qualunque genere di piccoli problemi: dal “come si dice” in lingua inglese, alla strada da percorrere per raggiungere un luogo.
La capacità di mantenere l’attenzione si riduce e, con essa, la capacità restare concentrati, di andare alla ricerca, di riflettere, di ragionare su ciò che si legge, di unire insomma il pensiero all’acquisizione di informazioni (che poi, spesso, sono solo dati, e non informazioni).
Si potrebbe continuare a lungo su questi argomenti, citando ad esempio i disturbi del sonno prodotti dall’uso dello smartphone dopo cena, ma un elemento centrale da sottolineare è quello della dipendenza.
Si può creare uno stato di vera e propria dipendenza dai vari device tecnologici – ad esempio, la smartphone addiction – e, quindi, non riuscire più a liberarsene. Naturalmente con la sensazione – tipica di ogni dipendenza psicologica – che recita: “Ne posso fare a meno quando voglio!”
Andrea Castiello d’Antonio