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Settembre, si riprendono i “giochi aziendali” e, tra questi, la valutazione e lo sviluppo dei manager.
Nel nostro Paese siamo ancora ben lontani da una seria e costante valutazione delle competenze manageriali, soprattutto se declinate non nella competenza tecnica (professionale, commerciale, gestionale) bensì in quella relativa alle capacità umane: qualità personali, soggettive, “capacità” (capability) o soft skill (per denominarle con un’espressione di moda che piace tanto perché non fa alcun riferimento al fatto che si tratta di qualità psicologiche…).
Incredibilmente, persino nella Pubblica Amministrazione, di quando in quando, si alzano voci che sollecitano a valutare i dirigenti e le posizioni apicali andando oltre la gerontocrazia e la tecnocrazia – per non dire altro. Ma sono voci che provengono il più delle volte da soggetti limitrofi alla PA: chi è all’interno, è spesso più interessato a mantenere le cose come stanno che a pericolosi cambiamenti meritocratici…
Nella mia esperienza le attività di assessment manageriale per la PA non sono state numerose – ma significative. Può essere istruttivo ricordare alcuni esempi paradigmatici.
“Sono nato bene, e sposato meglio!” Con queste parole un giovane candidato a un posto di rilievo nella piramide organizzativa si proponeva come “cavallo di razza” (sempre parole sue), cercando di sponsorizzare se stesso narrando una serie di conoscenze altolocate e influenti. Si può immaginare quale possa essere stata la mia valutazione sulle qualità psicologiche di questa persona, ma la notizia più interessante è che, oggi, questo soggetto si trova saldamente collocato in uno dei vertici di un’importante istituzione dello Stato.
Classico esempio di meritocrazia!
Nelle mie ancor più rare esperienze di Managerial Assessment nel Meridione mi colpì la tendenza di alcuni al millantato credito. Millantato credito mafioso, per l’esattezza.
In quei luoghi era evidentemente considerato segno positivo il proporsi come amico, vicino o contiguo ad importanti famiglie della criminalità locale. L’informazione veniva lanciata perlopiù indirettamente, quasi come una nota a piè pagina, un po’ casualmente, con l’attesa di impressionare l’interlocutore. In un caso, vista probabilmente la mia neutralità rispetto all’informazione, il candidato si sentì in dovere di specificare al meglio a “chi” si stava riferendo…
Un terzo esempio fa riferimento a quella grande famiglia che io definisco “i Miracolati”.
Ce ne sono davvero molti nelle pieghe degli apparati statali e si tratta di persone che compiono anche iter professionali di un certo rilievo – l’origine dei quali si perde ben presto nel caos e nell’oblio dell’organizzazione. Uno di questi (titolo di studio: terza media), impegnato nella rispettabile mansione di cameriere in un noto ristorante, divenne l’amante di uno dei direttori centrali che gestivano un’istituzione poco nota ma di grande importanza. Fatto assumere – naturalmente con tutti i crismi di una selezione “oggettiva” condotta attraverso il mitico “Concorso Pubblico”… - svolse una certa carriera, non rapida, ma regolare. Fatto sta che dopo una quindicina di anni era diventato dirigente e occupava una posizione di responsabilità.
Tra gli esempi di ciò che potremmo definire “apparente meritocrazia” non va dimentica la tendenza invalsa nella P.A. a valutare i dirigenti e i funzionari sulla base dei “risultati”. E’ interessante notare come dei sistemi di gestione e sviluppo del personale acquisiti da culture estranee alla nostra (tipicamente nordamericane) siano poi applicati “all’italiana”. Un caso di questi è l’MBO, la direzione per obiettivi. Un sotto-caso dell’MBO e la valutazione e il premio erogato a chi raggiunge i risultati.
Credo che su tale aspetto ci sia solo da richiamare il caso emblematico della Stazione dei Carabinieri di Piacenza (luglio 2020): ottimi obiettivi, conseguiti con metodi criminali! Ma sul caso dei Carabinieri di Piacenza torneremo prossimamente.
Valutare “soltanto” il raggiungimento dei risultati è una delle cose meno intelligenti che si possano fare nella valutazione delle risorse umane.
Meritocrazia? Nella P.A., e anche negli apparati politici, partitici e sindacali, siamo ancora in attesa.
Andrea Castiello d’Antonio