Per appuntamento
La seduta può essere svolta presso il mio studio oppure online tramite videochiamata.
La seduta può essere svolta presso il mio studio oppure online tramite videochiamata.
Viaggio al centro della mente di Adolf Hitler
Considerato il tempo che stiamo vivendo, marcato dall’aggressione distruttiva voluta da Vladimir Putin contro l’Ucraina, la riproposizione di un testo per molti versi affascinante com’è questo di Walter Charles Langer (nato a Boston il 5 febbraio 1899 e scomparso il 4 luglio del 1981 a Sarasota) appare più che mai opportuna. Il report redatto da Langer e colleghi (desecretato nel 1968) ha già avuto in Italia diverse traduzioni (la prima a opera dell’editore Garzanti di Milano nel 1973, pubblicata con il titolo Psicanalisi di Hitler) e questa che qui segnaliamo è la più recente (ediz. orig.: A Psychological Analysis of Adolf Hitler. His Life and Legend. Washington, D.C.: Morale Operations Branch, Office of Strategic Services, 1943. Nuova edizione: The Mind of Adolf Hitler: The Secret Wartime Report. New York: Basic Books, 1972).
Come ricorda la traduttrice Noemi Heike, nel 1943 il direttore dell’Office of Strategic Services (OSS, il precursore della CIA), generale William Joseph Donovan, decise che fosse utile ottenere un profilo psicologico di Hitler al fine di poterne prevedere le mosse, sulla base della comprensione della sua personalità. Lo studio fu affidato a William Leonard Langer (1896-1977), responsabile dell’ufficio Ricerca e Analisi dell’OSS, che affidò a suo fratello minore, Walter, rinomato psicoanalista, il ruolo di coordinare la ricerca.
Il gruppo di lavoro coordinato da Langer in pochi mesi elaborò il report (arricchito da un allegato in cui erano contenute tutte le documentazioni consultate, The Source Book) e consegnò il risultato della ricerca all’inizio del 1944 avendo svolto in relativamente poco tempo un lavoro impressionante di analisi e vaglio di documentazioni, diari, testimonianze, interviste e report. Langer si avvalse del contributo di Henry A. Murray, Ernst Kris e Bertram D. Lewin (i cui nomi compaiono sul frontespizio del volume in veste di collaboratori), ma è da sottolineare che Murray aveva già prodotto uno studio di oltre duecento pagine su Hitler dal titolo Analysis of the Personality of Adolph Hitler: With Predictions of His Future Behavior and Suggestions for Dealing with Him Now and After Germany’s Surrender (Washington, D.C.: OSS, 1943).
All’inizio degli anni 1970 il report di Langer fu reso pubblico con il titolo The Mind of Adolf Hitler: The Secret Wartime Report (New York: Basic Books, 1972). Siamo dunque nel campo della biografia psicoanalitica, o psicobiografia, patografia, profilazione psicopatologica e criminale, a seconda di come la si vuole denominare; un’area che ha sempre suscitato qualche perplessità, sia applicata a personaggi viventi, sia a soggetti storici – vi sono numerosi studi che spaziano, per fare un esempio, dallo studio della vita e delle opere di Alessandro Magno alla personalità del generale George Armstrong Custer. In questo quadro, di recente è emerso l’interesse per lo studio della personalità di Donald Trump, cosa che ha scatenato un confronto assai netto tra sostenitori di una diagnosi o valutazione psichiatrica e/o psicoanalitica e altri che si sono opposti duramente a qualsiasi indagine sul comportamento, sullo stato mentale e in generale sulla persona dell’ex-presidente statunitense – nel merito, si vedano le recensioni dei libri, entrambi usciti nel 2017, di Bandy X. Lee, The Dangerous Case of Donald Trump: 27 Psychiatrists and Mental Health Experts Assess a President (New York: Thomas Dunne Book), e di Allen Frances, Il crepuscolo di una nazione. L’America di Trump all’esame di uno psichiatra (Torino: Bollati Boringhieri, 2018), pubblicate in Psicoterapia e Scienze Umane rispettivamente a pp. 324-327 del n. 2/2018 e a pp. 187-188 del n. 1/2019.
Tornando al testo di Langer, la struttura del lavoro segue uno schema essenziale ma esemplare: le prime parti presentano una serie di immagini centrate su come Hitler considera se stesso, come è stato presentato ai tedeschi e come i suoi stessi collaboratori lo vedono. Seguno due sezioni che, poggiando su questi materiali di base, approfondiscono le caratteristiche psicologiche di Hitler, le problematiche mentali, gli scopi e le motivazioni che lo hanno condotto a divenire un leader.
Così, nella prima sezione del libro vediamo come Hitler, sempre più guidato da una sorta di voce interiore, costruisce una propria dimensione di onnipotenza, considerandosi protetto da poteri divini e designato a compiere gesta memorabili. Tutto l’opposto di quella figura meschina, sporca e grottesca che emerge in almeno due fasi della sua vita, a Vienna verso la fine del 1909 e nei cinque anni seguenti, e poi a Monaco, fino a che lo scoppio della Prima guerra mondiale, paradossalmente, lo salvò dalla miseria e dall’indigenza.
Alieno da tutto ciò che può far riferimento a intelligenza, consapevolezza e ragione, ha edificato la sua capacità oratoria sulla base della convinzione che le masse non rispondono a nulla che sia ragionevole, moderato, equilibrato o presentato con modalità tenui, manifestando una notevole capacità di intuire i dettami di base dell’azione di propaganda. In questo contesto intuì anche la forza motrice che poteva essere impressa al nascente movimento nazista dai giovani e dalle donne, fino a paragonare le folle alla donna che ammira l’uomo e si attende chiarezza, esercizio del potere, decisionalità e forza da chi comanda. Langer esplora così ogni aspetto di Hitler sintetizzando, di volta in volta, ciò che emerge dai diversi punti di vista dai quali può essere considerato, non mancando di annotare le diverse facce della sua personalità, i momenti di estrema sicurezza e quelli in cui appare una sorta di capriccioso bambino fuori controllo. Risultano quindi molto interessanti le analisi dell’infanzia di Hitler e del contesto familiare ed educativo da cui è emerso, arricchite da molte deduzioni che poi ritroveremo, elaborate, in altri studi, come in quelli della psicoanalista Alice Miller («Personalmente non ho dubbi sul fatto che dietro a ogni crimine si celi una tragedia personale». In: La persecuzione del bambino. Le radici della violenza [1980]. Torino: Bollati Boringhieri, Torino, 1987, p. 158).
Il testo si chiude con la quinta parte in cui spicca il capitolo “Analisi psicologica e ricostruzione”, seguìto da ipotesi previsionali di come si sarebbe svolta la vicenda di Hitler, tenendo in conto che «c’è stato un accordo unanime tra i quattro psicoanalisti che hanno studiato il materiale nel riconoscere che Hitler è un isterico, al confine con la schizofrenia, e non un paranoico come si è così spesso supposto» (p. 153). Il centinaio di pagine della quinta parte del testo vale da solo l’intero report per la densità e chiarezza di considerazioni psicologiche e psicoanalitiche che sono avanzate, ma anche per le considerazioni di natura psicosociale e sociologiche attraverso cui, ad esempio, Hitler è considerato un’espressione dello stato mentale di un popolo intero, da non confinare nemmeno all’interno della Germania. Sono anche molto interessanti le considerazioni sulla trasformazione del carattere di Hitler, sull’attivarsi del meccanismo dell’identificazione con l’aggressore e sull’emergere di una sorta di doppia personalità, da un lato Adolf e dall’altro il Führer.
Chi ha commentato questo lavoro di Langer ha generalmente evidenziato come punto di forza il fatto che avesse previsto la possibilità che Hitler si suicidasse come esito finale di un aggravamento della sua situazione psicopatologica globale in concomitanza con l’andamento infausto della guerra per i nazisti. In realtà, il testo presenta numerose aree di interesse che emergono sia nella prospettiva storica in cui collocare la ricerca e le considerazioni cliniche e teoriche, sia nella prospettiva dell’attualità e di una indagine intelligente e penetrante. Vi è poi da aggiungere che con questi lavori è stata di fatto inaugurata una nuova modalità di studio delle gesta di soggetti emergenti nel campo sociale, politico, militare e della conduzione dei sistemi socio-organizzativi complessi, senza parlare dell’ormai classico profiling applicato nei campi della criminologia e dello studio delle devianze. Ma per una completa analisi di Adolf Hitler si veda l’interessante lavoro di Riccardo Dalle Luche & Luca Petrini, Adolf Hitler. Analisi di una mente criminale. Psicologia e psicopatologia del Nazismo. Terza edizione. Sesto San Giovanni [MI]: Mimesis, 2020. Prima ediz.: Bresso [MI]: Hobby & Work, 2012).
Sono numerosi i passaggi del testo di Langer che stupiscono per la loro attualità. Ad esempio, quando egli scrive che «Hitler è anche una persona di grande pazienza che non avrebbe mai versato una goccia di sangue umano se solo avesse potuto evitarlo. Più e più volte si sente parlare della sua grande pazienza con le democrazie, con la Cecoslovacchia e la Polonia» (p. 53). Oppure quando enumera quelle che egli definisce le regole principali di Hitler: «Mai permettere al pubblico di raffreddarsi; mai ammettere un errore o un fallimento; mai riconoscere che ci possa essere qualcosa di buono nel proprio nemico; mai lasciare spazio ad alternative; mai accettare la colpa; concentrarsi su un nemico alla volta e biasimarlo per tutto ciò che va male; la gente crederà a una grande bugia prima che a un piccolo inganno; e se la si ripete frequentemente, un numero sufficiente di persone prima o poi finirà per crederci» (p. 71).
Sarebbe interessante procedere a una lettura comparativa del lavoro di Henry Murray e di Walter Langer per confrontare le due analisi e anche osservare cosa e quanto il secondo possa aver assorbito dal primo; ad esempio, l’ipotesi che Hitler avrebbe potuto suicidarsi è chiaramente espressa da Murray nel 1943: «Appena il successo dell’azione offensiva diverrà impossibile da conseguire, allora l’uomo diventerà vittima di un a lungo rimosso Super-Io, una condizione che lo condurrà al suicidio o al crollo mentale» (Analysis of the Personality of Adolph Hitler, cit., p. 194).
Ancora una parola sull’Autore del testo: Walter C. Langer è, infatti, uno di quegli psicoanalisti poco conosciuti e pressoché ignorati nelle storiografie psicoanalitiche (ma vedi il recente lavoro di Sanford Gifford, “The rediscovery of Walter Langer, 1899-1981”. American Imago, 2017, 74, 4: 467-482). Laureatosi ad Harvard nel 1923, a Vienna svolse il training con Anna Freud e le supervisioni con Edward Bibring, incontrando diverse volte il padre della psicoanalisi che infine accompagnò nel 1938 verso l’esilio nel Regno Unito, avendo inoltre svolto un’opera di sostegno a favore di diverse persone che volevano abbandonare l’Austria – vedi, Walter C. Langer & Sanford Gifford, “An American analyst in Vienna during the Anschluss, 1936-1938” (Journal of the History of the Behavioral Sciences, 1978, 14, 1: 37-54). Giunto negli USA, Langer divenne il primo membro non medico della Boston Psychoanalytic Society e proseguì nella sua professione fino a quando si ritirò a vivere in Florida.
Andrea Castiello d’Antonio
Una versione simile di questa recensione è stata pubblicata nella rivista “PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE”, volume 56, numero 3, anno 2022.