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Di recente, con l’articolo di Rosaria Amato (Il Venerdì de “La Repubblica”, 27 giugno 2025) è tornato alla ribalta il tema del nostro futuro e della rilevanza che ha la formazione, l’Education delle nuove generazioni per tutti noi. Direi per la vita stessa!
Dare importanza a ciò che nella mente e nel corpo umani si sviluppa nei primi mesi e anni di vita, è un tema “antico”.
Un tema che è stato sempre più valorizzato con il passare dei decenni, almeno da un certo periodo storico ad oggi.
La psicoanalisi, e con essa la totalità, direi (spererei!) del mondo delle discipline psicologiche, ha enfatizzato l’esperienza, il mondo dell’infanzia, retrodatando sempre più il momento in cui l’essere umano interagisce con il mondo esterno, forma il proprio mondo interno, e sviluppa le sue capacità di base.
Retrodatando fin dalla gestazione, fin dal mondo esperienziale vissuto nel grembo della mamma!
E, come sappiamo, ancor prima: nascere voluti e desiderati, oppure portare dentro di sé una vita che non si è voluta né desiderata, può segnare parecchio.
Psicoanalisi, pedagogia, psicologie dell’età evolutiva, nuove scoperte sul neurosviluppo, il mondo delle neuroscienze…
Tutto sta ad indicare l’importanza dei primi anni di vita.
Come ricorda Umberto Galimberti in una delle sue conferenze, se la psicoanalisi aveva indicato nel primo anno, e poi nei primi tre anni, il passaggio cruciale della costruzione del mondo interno – idealmente il figlio non dovrebbe essere mai lasciato dalla figura di accudimento per i primi 12 mesi – le neuroscienze hanno ampliato questo arco di tempo, affermando che fino ai sei anni l’essere umano possiede quella plasticità mentale che lo rende estremamente ricettivo e, quindi, pronto e portato alla formazione di sé.
Tornando all’articolo della giornalista Rosaria Amato, è qui intervistato il Nobel per l’Economia (2000) l’ottantunenne JAMES HECKMAN, il quale ha dedicato le sue ricerche a studiare l’impatto che l’educazione ha nei primi anni di vita.
Quindi, l’interesse di questo articolo sta nel fatto che persino dal punto di vista dell’economia i primi anni di vita sono cruciali!
Ma cosa dice Heckman, che ha fondato presso l’Università di Chicago il Center of Economics of Human Development?
Vediamo alcuni punti, tratti dall’intervista.
Le capacità che si sviluppano nei primi anni di vita danno effetti positivi per tutta la vita.
L’insieme degli effetti dell’istruzione e delle relazioni interpersonali, dell’ambiente sociale e delle relazioni familiari plasma, per così dire, la mente e le capacità di fare ed usufruire dell’esperienza del giovanissimo essere umano.
Nei primi anni di vita, è lì che si forma la personalità del bambino – Heckman ha addirittura calcolato il ritorno sull’investimento di una singola unità di spesa in educazione!
Ecco, dunque, emergere la necessità di vivere in un ambiente stimolante, cosa che forma la base non solo per il successo nello studio, per il famoso livello di QI, per le performance che saranno poi sviluppate, ma anche per lo sviluppo delle capacità interpersonali e del mondo emotivo.
L’educazione include molto.
Valori, modelli di riferimento, stili di vita, comportamento abituale…
Ecco emergere l’allarme circa quei genitori che – non per incapacità, o per basso livello culturale e socio-economico – tendono a essere “distratti” nei confronti dei figli. Se ne occupano poco, li lasciano fare, non rappresentano per loro dei modelli, né delle persone che accompagnano il figlio nella vita.
Molto, molto grave!
Tanto più grave per quei genitori che, pur avendo le possibilità, non le mettono a frutto.
Soggetti portatori di POVERTA’ EDUCATIVA.
Quindi, ancora una volta, le risorse che sono spese per la formazione – formazione dell’essere-umano-del-domani – dell’Education, e non solo dell’istruzione, pur necessaria e fondamentale (basti pensare ai risultati dei test INVALSI, all’analfabetismo di ritorno, al numero esorbitante dei NEET) sono cruciali.
E, il solo fatto di “andare a scuola”, frequentare l’Università, acquisire master e specializzazioni, non basta. E non sarà mai sufficiente se, alla base, non si è costruito ciò che forma, realmente, psicologicamente, ma anche fisicamente e socialmente, l’ESSERE UMANO.
Com’è noto, molte strutture educative, a livello dei diversi gradi scolastici, non “formano”, non “educano”. Si limitano ad istruire. Da qui l’enfasi sul “programma didattico”, come se i discenti fossero solo dei contenitori da riempire con le istruzioni e con le nozioni!
E anche alcuni percorsi universitari sono, ancor oggi, centrati talmente tanto sul nozionismo che, alla fine, fanno uscire come laureati giovani con la testa piena di cose, ma del tutto carenti di capacità di relazione, di interazione sociale, di lavoro in gruppo, di presentazione di sé come persone…
Tornando all’intervista al Nobel del 2000, un altro punto importante delle sue risposte sta nel “Non avere paura dei fallimenti”! Già. Perché se da un lato troviamo troppi giovani con titoli di studio anche alti ma carenti nelle life skills, dall’altro ci sono giovani già “infettati” dal virus della performance ad ogni costo, che si pongono obiettivi elevatissimi e, nel momento in cui non riescono, precipitano nelle crisi!
Dunque, è necessario – sarebbe necessario, tornando a noi – che l’Italia, e per essa i suoi governi, investissero nella formazione dei giovani.
Scuola, scuola, scuola! Intesa come formazione ad ampio raggio.
Formazione continua, formazione appassionante condotta da “insegnanti” motivati, iper-motivati, quindi a loro volta formati e informati, orgogliosi di svolgere un ruolo così importante.
Formazione da inserire nel contesto di vita più ampio che oggi è racchiuso nel concetto di ONE HEALTH.
Andrea Castiello d’Antonio