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PSICOTERAPIA PER MANAGER

psicoterapia manager

Manager in crisi?

Anche se non se ne sente molto parlare, è questa una tematica che è andata sempre più proponendosi agli operatori «psi» del mondo occidentale.

Osservando con attenzione i contesti concreti di lavoro nei quali le persone vivono la loro vita produttiva non dovrebbe apparire così strano che - soprattutto coloro che hanno incarichi di responsabilità organizzativa - subiscano pressioni talmente forti e costanti da entrare talvolta in fasi critiche.

Infatti, se da un lato il mondo del lavoro è cambiato drasticamente nel corso degli ultimi decenni, dall'altro l'essere umano è e rimane sostanzialmente lo stesso: le richieste di fornire prestazioni «eccellenti», al di sopra della norma e delle attese, di diventare dei «talenti», di collocarsi tra le risorse pregiate dell'azienda, di volare in alto - gli «high flyers», gli «alti potenziali» - sono tutte attese che cadono sulla testa e sul cuore di persone generalmente «normali».

Ma sicuramente non sono sempre sufficienti tali aspettative elevate per fare entrare in crisi un manager: gli elementi da considerare sono molteplici e ne vedremo ora uno alla volta, iniziando proprio dai fattori di contesto.

 

Lo scenario sul quale si muove oggi il mondo del lavoro produttivo appare basato su almeno due elementi trainanti: la competizione e il confronto tra strutture organizzative - che in molti casi ha ormai acquisito una dimensione sovranazionale - e la velocizzazione sempre più spinta.

Nel concreto, tali elementi di contesto si traducono nel fare di più, fare meglio, con meno costi, con meno risorse e in maniera sempre più finalizzata (vale a dire orientata al conseguimento dei risultati). Ciò che un tempo era considerato come uno dei modelli direzionali di possibile applicazione - il MBO-Management by Objectives, cioè la direzione per obiettivi - è in sostanza divenuto la norma. Ma la direzione per obiettivi si può applicare in molti modi, alcuni salubri ed altri intrinsecamente problematici: questi ultimi sono spesso i più utilizzati dai vertici aziendali sulla base dell'idea riuscire così ad incentivare la produzione dei propri manager e a far lavorare di più le linee di lavoro sottostanti.

A dire la verità, si tratta di modalità che soprattutto accentuano la competizione interna - spesso togliendo vigore alla competizione rivolta verso l'esterno - e che mettono i manager l'uno contro l'altro, distribuendo tra loro obiettivi non negoziabili la cui realizzazione comporta l'accendersi del conflitto per la gestione delle risorse (che sono, tipicamente, limitate).

Così, se un manager ha l'obiettivo di aumentare i ricavi delle vendite ed un altro quello di assicurare elevati standard di qualità ai prodotti venduti, può facilmente capitare che i due si trovino in contrasto: da un lato prevale la rapidità d'azione e la proposizione ai clienti di nuoci prodotti, in vista del raggiungimento di obiettivi quantitativi e di margine, mentre dall'altro emerge la necessità di effettuare un adeguato e ben calibrato controllo di qualità sia dei processi produttivi, sia dei prodotti finali.

Esempi di tal genere ve ne sono in quantità nel mondo aziendale e sono in molti oggi a ritenere che il MBO per essere davvero produttivo non debba comportare una lotta all'ultimo sangue tra i manager che, dopo tutto, fanno parte di una stessa impresa.

 

Se i manager sono così esposti ad una maggiore competizione interna ed esterna, nazionale e internazionale, il clima generale delle situazioni socio-economiche che stiamo vivendo non induce certamente ad affrontare in maniera serena e lucida i problemi da risolvere.

Non casualmente le ricerche sul problem solving e sulla presa di decisione dei manager hanno visto ultimamente un forte sviluppo: decidere in tempi di incertezza, con poche informazioni e rapidamente non è esattamente un compito facile, ma è ormai la regola.

Questo esempio mostra con tutta la sua forza il divario che vi è tra le mutate richieste del mondo del lavoro e le propensioni naturali delle persone: chi sarebbe così folle - se potesse decidere in libertà - da voler affrontare un difficile tema lavorativo costringendosi a prendere una decisione in fretta, con pochi dati a disposizione, senza avere il quadro sufficientemente chiaro della situazione e in un contesto continuamente variabile?

Nel loro insieme, i fattori di contesto che sono stati evidenziati rappresentano una potente e spesso costante stimolazione che rende il manager sempre, come si dice nel linguaggio comune, «sotto pressione».

Non va infatti dimenticata la dimensione della «responsabilità manageriale», una dimensione alla quale in genere si associa subito la capacità di gestire le responsabilità e di sopportare il distress legato a tale compito, nel contesto fluido di cui si è detto. La responsabilità del raggiungimento degli obiettivi racchiude un insieme di assunzioni di incarico e di compito che si riferiscono alla gestione delle risorse umane, tecnologiche, economiche, produttive e commerciali, oltre a comprendere la gestione di fatti molto meno visibili quali la gestione delle informazioni e delle comunicazioni interne.

 

Sarebbe però errato pensare che tali condizioni di lavoro possano incidere sempre e soltanto negativamente su tutti i manager che vi sono coinvolti.

Si deve prendere qui in considerazione una seconda dimensione, che è quella della personalità del manager e delle relazioni interpersonali che riesce a creare nell'ambiente di lavoro.

Non solo le reazioni di distress mutano in relazione alla personalità, al momento di vita, alla situazione contingente, e ad una miriadi di altri fattori tra cui il clima organizzativo e gli stili di leadership - tutti elementi che fanno sì che due persone poste nelle medesime condizioni potranno rispondervi con due modalità del tutto diverse - ma vi sono anche persone (ed è esperienza comune) che amano lavorare sotto tensione e «girare a mille».

Sono queste le persone che per loro stessa costituzione vivono in modo positivo la tensione sul lavoro e il carico crescente di attività, sperimentando ciò che gli studiosi definiscono «eustress», vale a dire lo stress positivo, l'attivazione costruttiva delle proprie energie personali.

 

Per capire come mai una persona va in crisi mentre un'altra è soddisfatta di vivere la vita di lavoro come se fosse una continua battaglia si devono dunque prendere in considerazione gli elementi caratteriali che differenziano le persone nella loro globalità, prima ancora che le persone-al-lavoro.

Anche in tale campo le discipline che si occupano di ciò hanno compiuto passi importanti negli ultimi tempi, ad esempio evolvendo dalla considerazione dell'«organizational behaviour» (comportamento organizzativo) a quella della «personality at work» (la persona che lavora, le dimensioni della personalità al lavoro).

Ad esempio, lo psicologo britannico Adrian Furnham ha da tempo sottolineato l'importanza delle differenze individuali per prevedere le modalità di condotta delle persone al lavoro (Adrian Furnham, Personality at Work. Routledge, 1992). Nello stesso senso è andata sviluppandosi negli ultimi anni la tendenza a vedere la personalità e la sua eventuale psicopatologia come due elementi strettamente collegati, indirizzandosi verso un'attività di diagnosi psicologica che tenga conto dell'unicità della persona e del contesto nella quale essa è inserita.

Da una diagnostica solo sintomatologica o legata esclusivamente al comportamento osservabile si sta progredendo verso un'attività di assessment psicologico a tutto tondo, enfatizzando inoltre quelle che sono definite le risorse della persona, vale a dire le sue potenzialità e le sue capacità costruttive: ciò è importante per evitare di patologizzare le persone che richiedono aiuto psicologico o di vederle semplicisticamente come un insieme di sintomi da inserire in una categoria diagnostica di genere classificatorio.

 

Da qui in avanti si aprono le porte alle opzioni terapeutiche che un “manager in crisi” può avere davanti a sé e sulle quale può riflettere per una scelta consapevole.

Del resto, tratto di questo delicato argomento nel mio recente libro, “SCEGLIERE LO PSICOTERAPEUTA” (Editore: Hogrefe, Firenze):

https://www.youtube.com/watch?v=T6ZKYV7_JvI

In un prossimo articolo che sarà pubblicato qui, in internet, continuerò il discorso partendo proprio dal momento della scelta del terapeuta e della psicoterapia.

 

Andrea Castiello d'Antonio