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Come pensano gli ingegneri
Come pensano gli ingegneri, un insolito e intrigante volume sul “pensiero degli ingegneri" (collana Scienze e Idee, diretta da Giulio Giorello).
Innanzitutto, conviene spendere alcune parole sull’autore, anch’egli ingegnere (per la precisione: Biomedical Engineer), attualmente occupato nel contesto della National Academy of Sciences, presso l’U.S. Department of Health and Human Services. Dal novembre 2015 è stato nominato Acting Director, nel Forum on Microbial Threats (National Academy of Sciences), si occupa di consulenza per organismi politici, ed è stato menzionato tra i migliori scienziati dal foro economico mondiale di Davos, nel 2013.
Le capacità di "pensiero degli ingegneri" sembrano essere proprio quelle di saper risolvere i problemi secondo un modello rigoroso e concreto
Il suo libro inizia raccontando due episodi reali in cui altrettanti ingegneri hanno saputo trasformare delle situazioni problematiche in opportunità, rivoluzionando specifici settori di attività.
Questa capacità di individuare solution spaces, cioè ambiti e contesti in cui applicare soluzioni, è il tema centrale intorno al quale ruota il testo di Guru Madhavan. Si tratta spesso di qualcosa di più dell’idea geniale ma specifica e puntuale, quanto di un “sistema” che viene concettualizzato allo scopo di risolvere il problema compiendo un salto conoscitivo. Forse qualcosa di simile può essere accostato al meccanismo mentale della risoluzione del classico problema dell’unione di una serie di punti rimanendo all’interno di regole precise e di un numero di mosse limitato: per “vedere” la soluzione, è necessario uscire dallo schema dato.
Le capacità di base di un ingegnere sembrano essere proprio quelle di saper risolvere i problemi secondo un modello rigoroso e concreto, spesso applicato nell’ambito della logica dei piccoli passi e delle approssimazioni, non trascurando la possibilità di integrare conoscenze che derivano da altri ambiti applicativi o scientifici. per questa capacità multidimensionale di base che spesso troviamo gli ingegneri occupati in aree non ingegneristiche, come la direzione del personale.
E, in effetti, non è sempre facile gestire i colloqui con un ingegnere responsabile di risorse umane, proprio perché egli applica i suoi metodi e i suoi parametri ad un ambiente e ad un oggetto che non è proprio così facilmente avvicinabile a un ponte o un software… D’altro canto, leggere queste pagine può essere molto istruttivo per tutti coloro che devono gestire popolazioni di ingegneri, ma anche per coloro che devono selezionarli e inserirli nelle giuste occupazioni e nei ruoli più adeguati. Dunque, la conoscenza di una popolazione così particolare – così tanto diffusa in numerose aziende di matrice tecnologica, e comunque diffusa in ogni realtà di lavoro nell’ambito dei centri specialistici – può rappresentare una carta vincente nell’ambito della gestione e, soprattutto, dello sviluppo delle risorse umane.
In un certo senso, questo libro è anche un inno alla professione di ingegnere, applicata in tutti i campi possibili ed immaginabili.
Gli ingegneri sono rappresentati come degli esploratori, degli scopritori di soluzioni, dei silenziosi rivoluzionari il cui operato è visibile o spesso nascosto in ogni piega della civiltà contemporanea e in una grandissima quantità di situazioni, meccanismi, oggetti che le persone usano ogni giorno. L’aspetto non proprio incoraggiante di questa presenza silenziosa e invisibile è che essa assurge agli onori delle cronache soltanto quando qualcosa non funziona come avrebbe dovuto; ad esempio, quando accade un incidente aereo dovuto a cause tecniche, quando un ponte si schianta sotto il peso del passaggio di un normale carico, e così via.
Ed ora, uno sguardo alla struttura del testo. Suddiviso in otto capitoli, è aperto da un Prologo in cui sono introdotti i temi di fondo facendo ricorso ad esempi concreti e a fatti accaduti. La conclusione è intitolata Dissolvenza. Uno stile di pensiero per le moltitudini, in cui è ampiamente commentato un esempio ingegneristico davvero insolito: quello del regista Alfred Hitchcock, che da giovane frequentò dei corsi di ingegneria e di navigazione presso l’Università di Londra.
Tra i diversi spunti, credo sia importante soffermarsi sul capitolo ottavo Imparare dagli altri, in cui sono riportati numerosi esempi di apprendimento operativo e condiviso, ma anche orientato verso il benessere sociale e la vita quotidiana: “la formazione tecnica non dovrebbe servire a consolidare una mentalità consumistica, bensì a coltivare approcci collaborativi” (p. 174).
L’autore si sofferma poi a considerare quanta strada vi sia ancora da compiere proprio al fine di applicare le conoscenze e le competenze degli ingegneri al convivere sociale e allo sviluppo dei comportamenti civili.
Molto interessante è consultare il settore delle Fonti e la Bibliografia per il modo originale in cui i contenuti sono raggruppati e per la facilità di consultazione basata sul ripercorrere le tematiche specifiche.