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La sfida del “Management” nella pastorale

management pastorale

Roma: la Chiesa nella Città: la sfida del "management" nella pastorale. Intervista con il Prof. Andrea Castiello d’Antonio (6/10/2016).

N EWS.VA Official Vatican Network  - Estratto modificato e aggiornato dall’intervistato (18/11/2017)

La sfida del “Management” nella pastorale
Intervista con il Prof. Andrea Castiello d’Antonio

La trasmissione settimanale Roma: la Chiesa nella città di mercoledì 5 ottobre 2016 è dedicata al “Management” applicato alla pastorale. In sostanza si tratta di rispondere alla domanda: è possibile organizzarci meglio? Ed in subordine ad un'altra domanda: come possiamo fare in modo che le persone impegnate nelle strutture ecclesiali a diversi livelli - dai volontari ai dipendenti - riescano a trovare un ambiente positivo e che consente di raggiungere obiettivi precisi?

Ospite in studio della trasmissione curata e condotta da Fabrizio Mastrofini è il Professor Andrea Castiello D'Antonio, già professore straordinario di Psicologia all'Università Europea di Roma, professionista psicologo clinico e psicoterapeuta, esperto di dinamiche organizzative e di psicologia del lavoro (www.castiellodantonio.it).

Il Prof. Andrea Castiello D'Antonio si presenta: “Sono nato il 22 gennaio 1954. Mi occupo di psicologia applicata alla clinica ed al lavoro da oltre 40 sia dal punto di vista scientifico, sia da quello professionale ed applicativo. Sono psicologo clinico e psicoterapeuta e, nel campo delle organizzazioni, sono da sempre attivo nella consulenza manageriale e di sviluppo del capitale umano. Per sei anni sono stato professore straordinario all'Università Europea di Roma nella Facoltà di Psicologia. Ho al mio attivo circa duecento pubblicazioni scientifiche, professionali e divulgative, 20 libri, e sono spesso impegnato in convegni, congressi, tavole rotonde sui diversi temi della psicologia applicata  all’individuo ed alla società.

Grazie Professore. La puntata di oggi affronta una tematica di grande interesse e di impegno che potremmo riassumere così: come possiamo organizzarci meglio all'interno delle strutture ecclesiali? Nelle strutture ecclesiali operano tantissime persone, come volontari ma anche come lavoratori stipendiati. Tra l'altro, Papa Francesco e prima di lui Papa Benedetto XVI, prima ancora Papa Giovanni Paolo II e poi Paolo VI, hanno affrontato spesso questo tema ripetendo che la Chiesa non è un'azienda che è necessaria una fede profonda nello Spirito Santo che ci aiuta ad andare avanti e colma le inevitabili lacune umane. È un approccio senza dubbio importante tuttavia è anche innegabile che possiamo sempre fare del nostro meglio proprio per riuscire ad organizzarci in una maniera adeguata, poiché la Chiesa è una struttura complessa, articolata, che vede al lavoro, come dicevo, volontari nelle parrocchie e nelle diocesi ma anche del personale regolarmente stipendiato. Le tematiche dei rapporti nel mondo del lavoro, le tematiche dell'organizzazione, sono molto importanti e chiederci come migliorare l'organizzazione assume un particolare rilievo. Molte persone e tanti si rendono disponibili per aiutare i sacerdoti e allora non è detto poi che i sacerdoti siano sempre così pronti ad organizzare il lavoro degli altri perché può essere molto difficile. Abbiamo qui il professor Castiello d’Antonio per parlarne. Lei trova corretto l'approccio che ho usato finora? E come secondo lei possiamo organizzarci meglio?

CASTIELLO D’ANTONIO. Il punto di partenza può essere questo: siamo all'interno di strutture in cui molto è centrato sulla buona volontà delle persone . Però spesso non basta la buona volontà e la voglia di fare del bene per, poi, fare le cose fatte bene. Ecco dove entra il tema della organizzazione e più in generale del management. Per organizzare in maniera efficace una struttura complessa in realtà, dal mio punto di vista, sono necessarie poche cose fondamentali: però sono quelle poche cose che dovrebbero essere messe in pratica e anche coltivate nel corso del tempo. Un primo elemento è avere chiaro “chi fa che cosa”, quali sono i compiti, quali sono le mansioni, quali sono gli spazi di lavoro, quali sono gli ambiti di impegno e di responsabilità. Parlerei più di responsabilità che non di compito. Chiarire le aspettative che ciascuno ha sugli altri ci permette di avere un quadro generale del lavoro che diviene, quindi, più facilmente gestibile. La base insomma di qualunque organizzazione complessa è un'analisi del lavoro, delle attività e delle posizioni organizzative e andare a vedere gli esseri umani che entrano a far parte del sistema organizzativo. Qui introduco il tema della doppia popolazione che gestisce

 

il sistema: una popolazione che è strutturata all'interno dell'organizzazione e una popolazione che è costituita di volontari, di persone che operano in maniera del tutto autonoma e sulla base di una volontà personale.

MASTROFINI. Ricordo che molti anni fa sono andato dal mio parroco e gli ho espresso il desiderio di fare il catechista. Abbiamo fatto una breve chiacchierata e il parroco mi ha subito inserito e direttamente affidato un gruppo di bambini, nonostante non avessi esperienza e nonostante avessi chiesto di venire affiancato per qualche tempo a qualche catechista esperto. Il parroco si è assunto insomma una grande responsabilità, che poteva pure venire mal posta. Da questa esperienza personale nasce la domanda su come riuscire a valutare le persone. E glielo chiedo in quanto lei ha appena pubblicato un libro dedicato al tema dei colloqui nel mondo del lavoro. Si intitola "Interviste e colloqui nelle organizzazioni" (Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, 450 pagine).

CASTIELLO D’ANTONIO. Direi che quando si entra a far parte di una organizzazione, occorre un sistema di comunicazione efficace. Nel momento in cui la persona viene chiamata o si propone per svolgere dei compiti, è assolutamente importante andare a vedere quali sono le aspettative della persona, quali sono le sue motivazioni, i suoi valori, i suoi ideali. Quindi potremmo realizzare un confronto di attese, un confronto di aspettative, tra il parroco (in questo caso il parroco è la persona che gestisce l'organizzazione) e chiunque desideri proporsi per qualche attività. A questo punto il colloquio individuale è fondamentale per capirla, comprenderla, conoscerla, e non soltanto in ciò che dice in maniera manifesta ma anche in ciò che la persona ha dentro di sé e possiede come motivazione intrinseca, implicita, che in parte neanche lei conosce in quanto alcune nostre motivazioni, alcuni nostri valori e aspettative neppure noi stessi li conosciamo del tutto. Quindi l'intervistatore dovrebbe veramente fare di tutto per aprire la mente e il cuore della persona che si propone, in maniera tale di capire capacità, attitudini, aspettative, volontà, qualità personali. Perché, giustamente, come si diceva prima, non tutti possono essere adatti a fare di tutto; occorre stare molto attenti a dare la responsabilità a una persona poco conosciuta o, comunque, che potrebbe semplicemente avere molta buona volontà, ma in realtà limitate capacità.

MASTROFINI. Qualche consiglio pratico o "trucco" del mestiere?

CASTIELLO D’ANTONIO. Per svolgere dei buoni incontri individuali occorre conoscere le
tecniche del colloquio e dell’intervista: dovremmo sapere, almeno, come proporre le domande, come ascoltare, come avanzare ipotesi, come ascoltare con un atteggiamento “investigativo” per capire cosa l'altro sta dicendo, e per scavare un poco nelle dimensioni più profonde della persone. Occorrono domande ampie, e la capacità di far parlare anche su tematiche che apparentemente non attengono al tema. Poi sarebbe utile avere un secondo incontro, ancora meglio con un secondo intervistatore, in grado cioè di porre una valutazione diversa con un secondo punto di vista da mettere a confronto sulla stessa persona.

MASTROFINI. Tornando al mio caso personale, se quel giorno lì in cui mi sono presentato dal parroco ci fosse stato un secondo colloquio, e il parroco e l'altro intervistatore si fossero scambiate le loro impressioni, sarebbe stato meglio?

CASTIELLO D’ANTONIO. Certamente. E direi che questo è un sistema che funziona molto bene anche nel mondo organizzativo. Se si deve svolgere un'attività cosiddetta di assessment e quindi di valutazione delle risorse umane e noi abbiamo la difficoltà di dover comprendere una persona in tempi brevi e con strumenti che sono, ovviamente, limitati. Cerchiamo pertanto di usare l’intero spettro delle nostre capacità non solo tecniche ma anche umane, per poter avere una visione di quella persona – che è unica e che ha una sua peculiare storia di vita - più completa e affidabile. È possibile ad esempio lavorare con più intervistatori, e magari con test e questionari, però soprattutto dobbiamo evitare l'illusione di onniscienza: l'illusione di essere così tanto bravi da poter capire l'altra persona con un colpo d'occhio ed evitare anche il rischio di decidere da soli. Capire, conoscere controllare, decidere e gestire: ecco un bel tema, di vasta portata. In ogni colloquio ci chiediamo chi sia la persona, le sue qualità, le sue capacità e attitudini, le motivazioni che può mettere in atto nello svolgere l'attività professionale.

MASTROFINI. Proprio questo tema mi interessa toccare ora con lei professore perché i luoghi di lavoro, o di volontariato, dove le persone stanno insieme si riuniscono e si cerca di organizzarsi per svolgere delle attività, sono anche luoghi dove sorgono problemi e conflitti. Dove le personalità inevitabilmente si mettono a confronto e si scontrano. Quali sono secondo lei i principali i problemi principali e i conflitti nei luoghi di lavoro?

CASTIELLO D’ANTONIO. Negli ultimi anni l'ambiente di lavoro è diventato più conflittuale, non solo per le attività, per i gruppi eterogenei che ci sono all'interno ma anche per le nuove tecnologie che hanno velocizzato la vita lavorativa. Ed anche per il modo interiore di vivere il tempo in quanto tutte le persone che lavorano sono oggi estremamente tese a fare tante cose in poco tempo. Vale soprattutto per le persone che occupano ruoli manageriali e di responsabilità, e in questo quadro i conflitti interpersonali nascono e fioriscono in modo veramente incredibile. È stato fatto qualche anno fa a Torino un convegno sull' invidia nel mondo del lavoro. Molti conflitti nascono – e può sembrare paradossale - sulla base di un sentimento certamente molto umano, come può essere l'invidia, ma che è allo stesso tempo un sentimento estremamente negativo. L'invidia è veramente uno dei sentimenti più distruttivi nell'ambito di qualunque relazione interpersonale, figuriamoci dove le persone non possono scegliersi e sono obbligate a lavorare insieme e devono faro, eventualmente, per tanti anni. Ecco dove si inserisce l'abilità manageriale del responsabile per gestire le divergenze e i conflitti; per farlo ci deve essere una responsabilità chiara posta nelle mani di chi ha un ruolo di “comando”. È basilare affrontare tempestivamente i problemi socio-professionali e i conflitti interpersonali perché altrimenti si amplificano, diventando ancora più pesanti. Quando si interviene in tali dimensioni vi è sempre la possibilità di intervenire in maniera non corretta o inadeguata , quindi è necessario sapere cosa fare e aver ricevuto una formazione adeguata: essere a capo di una struttura complessa significa acquisire delle vere abilità manageriali, dato che tutto passa attraverso il rapporto umano.

MASTROFINI. Ricordo che lei ha pubblicato un articolo qualche anno fa su un’importante rivista  (A. Castiello d’Antonio, Leadership malata. Le patologie del management. Psicologia Contemporanea, novembre-dicembre 2011), in cui metteva a fuoco il ruolo del Thanatoforo nelle organizzazioni, un personaggio negativo il cui lavoro è distruggere il lavoro degli altri

CASTIELLO D’ANTONIO. Con questa strana espressione, Thanatoforo, si intende una persona - quindi un manager o un leader - che mette in atto una leadership narcisistica distruttiva e che interviene nei team di lavoro al fine di separare le persone, isolarle, e tenerle in una situazione di sottomissione. I pochi alleati che colludono con il leader patologico diventano dei suoi “supporter”, mentre tutti gli altri vengono veramente distrutti umanamente. È stata data questa definizione perché la leadership malata è una situazione psicologica altamente problematica e complessa e le patologie della leadership connotate dal narcisismo portano a distruggere il clima di fiducia interpersonale, generando sospetti, competizione distruttiva ed invidie corrosive. La leadership narcisistica distruttiva è forse l'espressione peggiore di tutte le molteplici manifestazioni di management inadeguato che noi vediamo nelle strutture organizzative, private e pubbliche. E per tale motivo è necessario valutare con cura le persone che sono poste nei ruoli di leadership e di management, come ho mostrato nel mio libro L’Assessment delle qualità manageriali e della leadership (Franco Angeli Editore, Milano, 2013, 400 pagine). Scegliere dei “validi” responsabili è essenziale per la sanità dell’organizzazione nel suo complesso e per l’efficienza dei processi organizzativi.

MASTROFINI. Abbiamo parlato di conflitto, abbiamo parlato di dinamiche che scattano, lei ha parlato molto giustamente di competizione e di gelosia. Basta questo a spiegare il conflitto o c'è qualcosa di più profondo dentro ognuno di noi. Ad esempio nella Chiesa si parla molto spesso del fatto che noi siamo una famiglia. Però a volte proprio nella famiglia nascono i conflitti più come dire più forti no più distruttivi quelli peggiori. Come è possibile vivere i rapporti lavorativi come se fossero dei rapporti familiari?

CASTIELLO D’’ANTONIO. Effettivamente ogni volta che si entra in una organizzazione corriamo il rischio di rivivere le dinamiche profonde dei rapporti familiari che abbiamo già vissuto in tempi antichi. Accade perché ci si confronta con una serie di elementi che fanno riferimento all'autorità, alla cooperazione, alla competizione, al dovere, e ai compiti da svolgere. Nella famiglia noi viviamo tutto questo: l'autorità genitoriale, la competizione tra fratelli, i compiti scolastici, sportivi, o di altro genere. E quando entriamo nel mondo del lavoro è inevitabile che si riaccendano tali tematiche dentro di noi - senza essere consapevoli di questo mondo familiare interno -. Se abbiamo avuto la fortuna di viverlo bene, avremo un modo positivo di confrontarci con la gerarchia e l'autorità. Se abbiamo invece avuto delle esperienze familiari negative, fortemente conflittuali, oppure (purtroppo) di assolutamente sconforto e di disinteresse da parte dei genitori, allora potremmo proporci in maniera assolutamente aggressiva, distruttiva, conflittuale o, viceversa, passiva.

MASTROFINI. Siamo in chiusura. Quali risorse può mettere in campo una struttura per arginare queste problematiche?

CASTIELLO D’ANTONIO. Una impostazione di base molto utile fa riferimento alla Psicologia Positiva con una serie di indicazioni sul benessere organizzativo, sulla salute organizzativa, su cosa e come fare, nel mondo del lavoro, per rendere l'attività lavorativa veramente salutare e mentalmente igienica, ma anche di soddisfazione per le persone che sono all'interno dell'organizzazione.

MASTROFINI. Grazie professor Andrea Castiello D'Antonio. Grazie ai nostri ascoltatori. Alla prossima puntata.

 

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