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Leadership e auto-inganno
Scrivere un libro - pur se di piccole dimensioni e con linguaggio scorrevole e amichevole – interamente sull’auto-inganno non è cosa semplicissima. L’argomento non si presta ad ampie considerazioni, pur essendo legato e collegato a numerose dimensioni dell’agire e della vita umana, sia nella dimensione del lavoro, sia in quella delle relazioni sociali ad ampio spettro.
Gli autori che nel contesto dell’Arbinger Institute hanno delineato questa riflessioni si sono rivolti al lettore non specialista, quindi soprattutto al manager e al professionista delle linee aziendali, narrando una sorta di storia che segue le vicissitudini di un personaggio, Bud, che si trova a sperimentarsi in mille diverse occasioni di lavoro e a provare ad emergere dai tanti auto-inganni che gli si pongono davanti. Ma proprio per non limitare la riflessione ad un solo aspetto della vita, il lettore può seguire Bud alle prese non solo con i problemi di lavoro, ma anche nella sua dimensione sociale ed affettiva personale; e, in effetti, le due strade spesso si intersecano nella vita di ciascuno di noi. L’aspetto curioso (che forse si potrebbe dire “tipicamente americano”) è l’utilizzo che hanno fatto gli autori della corrispondenza intercorsa con i lettori della prima edizione e l’elaborazione di questa seconda versione del testo. Un testo che è così diventato assai più sfaccettato, denso di episodi tratti da vite vissute, e più ampio nella presentazione delle situazioni esemplari.
Un secondo aspetto certamente speciale di questo lavoro è l’essere leggibile come un romanzo perché è fondamentalmente costruito su dialoghi tra diversi personaggi, dialoghi che definiscono non solo le dinamiche che intercorrono a livello interpersonale, ma anche i concetti, come ad esempio l’auto-tradimento, “un atto contrario a quello che sento di dover fare per un’altra persona” (p. 63), che innesca una serie di situazioni a cascata: si giustifica il proprio comportamento, distorcendo così la realtà e causando la situazione finale su cui il libro si centra, definita come l’entrare nella scatola. E, da qui, i consigli su come… Getting out of the box! Iniziando dunque dall’analisi di come mai si entra in una scatola, argomento che occupa tutto il secondo capitolo. In effetti la vita dentro la scatola può essere aggrovigliante e piena di insidie, la prima di tutte quella di non rendersi conto di starci o, all’opposto, di starci molto comodamente. Ed è anche una situazione contagiosa, se è vero che quando si sta dentro alla scatola si tende a spingere gli altri ad entrarci, precludendosi così ogni possibilità di uscita, cioè di aiuto dall’esterno.
Dopo aver esaminato i problemi che nascono stando dentro la scatola – come le collusioni – il terzo settore del libro spiega come fare ad uscirne, evitando i vicoli ciechi ed affrontando razionalmente il problema.
Gli autori consigliano di usare il libro per una serie di attività di lavoro, come la gestione della squadra e la gestione del conflitti interpersonali, ma credo che la prima area in cui sperimentarlo sia rappresentata dalla propria personale situazione.
In America questo libriccino ha avuto un successo notevole, fin dalla sua prima uscita, cioè la prima edizione del 2000; questa pubblicata nel 2014 dall’editore Piccin corrisponde all’edizione uscita nel 2010 e, nel complesso, le due edizioni di questo lavoro hanno visto traduzioni in oltre venti lingue.
Andrea Castiello d’Antonio