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Struttura e dinamica della mente umana
“Alcuni autori, dopo che nel corso della vita hanno pubblicato vari scritti, raggiunta una certa età avvertono il desiderio narcisistico di raccogliere la loro "produzione" in un singolo volume”... Così inizia la monumentale opera di Edoardo Weiss (Trieste, 21 settembre 1889 ‑ Chicago, 15 dicembre 1970), figura storica della psicoanalisi italiana, ma non meno legata al contesto statunitense, Paese nel quale emigrò nel lontano 1939 ‑ stabilendosi a Chicago e lavorando nell'Istituto diretto da Franz Alexander ‑ l'anno successivo allo scioglimento della Società Psicoanalitica Italiana.
Medico, allievo di Freud e di Paul Federn, per il quale conservò sempre un profondo legame di stima e di riconoscenza (suo è il capitolo biografico su Federn in Psychoanalytic Pioneers, 1966) Edoardo Weiss, uomo mite, riflessivo e analitico, parte e poi ritorna a Trieste, legando il suo nome alla stessa storia della psicoanalisi in Italia.
La sua opera e la sua biografia professionale hanno suscitato negli anni recenti un certo interesse, testimoniato anche da convegni recenti e dagli studi pubblicati nell'ultimo decennio sul rapporto tra cultura ed ambiente triestino e psicoanalisi (ma non va dimenticato un convegno triestino di ben 25 anni fa, Psicoanalisi e cultura, dedicato proprio a Weiss).
Il volume (edizione originale: The Structure and Dynamics of the Human Mind. Editore Grune & Stratton, New York, London 1960), oserei dire coraggiosamente tradotto e presentato dall'Editore Cortina, è un'opera “classica”, di quelle opere poco citate, probabilmente per nulla lette, ma di cui si sente ancor oggi parlare per bocca dei vecchi psicoanalisti, opere un po' sbrigativamente relegate alla “storia” della psicoanalisi, per le quali non si trova mai il tempo della lettura...
Non va del resto dimenticata un altro scritto di Weiss (Elementi di Psicoanalisi, edizione originale del 1931) la cui ristampa anagrafica (Istituto Editoriale Cisalpino‑ Goliardica, 1976) costituisce una piccola soddisfazione nella biblioteca dello storico della psicoanalisi.
L'opera di Weiss è aperta da una Introduzione che risulta, in pratica, del tutto dedicata a Federn, alla relazione con lui e alle principali concettualizzazioni federniane. Si tratta di un vero e proprio omaggio di Weiss al suo maestro e didatta e, nonostante che il libro sia dedicato alla memoria di Freud e di Federn, è certamente al secondo che corre continuamente il pensiero dell'Autore.
Inoltrandosi nello studio del testo, sorprendono due aspetti: l'attualità dell'elaborazione di singoli concetti, di esperienze cliniche e di questioni tecniche, e la trasparenza con la quale Weiss ci consente di entrare a far parte del suo mondo, un mondo fondato sì sull'interesse per l'essere umano, ma costituito anche da dubbi, difficoltà, punti oscuri, che solo talvolta ricevono illuminazione dalla teoria psicoanalitica, o dal altri saperi.
La visione di Weiss ‑ come nota nella prefazione Marco Sambin ‑ è fondamentalmente centrata sul buon senso; si potrebbe aggiungere, confrontando Weiss con altri psicoanalisti del suo tempo, che la sua visione rimane, comunque, sufficientemente aderente al “reale”, coniugando il mondo interno con quello esterno, senza perdere di vista il contributo che tante altre discipline possono dare alla comprensione dell'uomo.
Weiss morì nel 1970, lo stesso anno in cui scomparve Nicola Perrotti, uno dei tre padri fondatori della psicoanalisi italiana ‑ insieme a Emilio Servadio e a Cesare Musatti ‑ tre persone che in Weiss trovarono quel punto di riferimento senza il quale, probabilmente, la storia della psicoanalisi italiana sarebbe stata molto diversa.
Con Struttura e dinamica della mente umana Weiss ha prodotto un vero e proprio trattato di psicoanalisi, certamente basato in modo evidentissimo sulle idee di Paul Federn, ma anche arricchito da elaborazioni e illustrazioni originali; si tratta di un'opera che nelle intenzioni dell'Autore si sarebbe dovuta comporre di due tomi, il secondo dedicato alla psicopatologia e alle tecniche di intervento nelle diverse forme di sofferenza, nevrotiche e psicotiche (ma, come frequentemente accaduto nella storia della psicoanalisi, il secondo libro non è stato mai scritto).
Chi volesse accostarsi alle quasi cinquecento pagine dell'opera di Weiss dovrebbe probabilmente pianificare un congruo arco di tempo per potersi concedere il piacere di lasciarsi assorbire completamente dal pensiero, dalle parole e ancor più dal "clima" particolare del testo. E, in effetti, è possibile davvero compenetrare e "gustare" lo scritto solo se ad esso si dedica del tempo, senza soluzione di continuità.
Ciò che potrebbe preoccupare di più l'indaffarato lettore (la lunghezza del testo) non rappresenta alcun ostacolo ad una agevole lettura, in quanto l'opera è molto ben suddivisa: sei sezioni e cinquanta paragrafi rendono il testo di facile lettura e il pensiero dell'Autore risulta agevolmente schematizzabile e sintetizzabile.
Andrea Castiello d'Antonio
Questa recensione è stata pubblicata nel 1993 sulla rivista GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA (numero 1, pp. 170-172).
Editore Il Mulino, Bologna. https://www.mulino.it/riviste/issn/0390-5349.