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Il colloquio nel mondo delle organizzazioni (chiamato anche intervista) rappresenta il metodo più ampiamente utilizzato in tutti i settori sia nei variegati contesti della psicologia applicata, sia nel variegato mondo del lavoro e delle organizzazioni.
In realtà, anche al di fuori di tali due settori specifici, la conversazione che si attua aprendo un colloquio-intervista costituisce una sorta di format applicato in tutte le occasioni professionali di incontro interpersonale.
Riguardo alla psicologia, si può affermare che essa, nelle molteplici applicazioni professionali, non potrebbe fare a meno di impiegare il metodo del colloquio-intervista come struttura privilegiata di conoscenza e di cura (in senso lato) dell’altro.
Rispetto al campo psicologico, evidentemente è il settore medico che emerge come l’area contigua e di immediata visibilità, e non casualmente negli ultimi decenni sempre più spesso i medici avvertiti sottolineano la necessità di parlare con il paziente, e l’arte di ascoltarlo autenticamente al fine di comprenderne lo stato e così agevolare il processo diagnostico – vedi la “medicina narrativa” ideata da Rita Charon nel suo libro, Medicina narrativa. Onorare le storie dei pazienti (Raffaello Cortina, 2019) che ho recensito in Psicoterapia e Scienze Umane n. 4-2019).
Nell’ambito della seconda area sopra accennata (il cosiddetto mondo del lavoro; o, per meglio dire, i mondi dei lavori) il colloquio-intervista si situa praticamente in tutti i campi professionali, ma sotto diverse forme: dai colloqui di vendita a potenziali clienti ai colloqui dell’avvocato con il proprio cliente, dalle interviste del giornalista ai colloqui di negoziazione finalizzati a raggiungere un accordo.
Da un lato, dunque, si deve sottolineare l’ubiquità della situazione di colloquio-intervista in una molteplicità di attività umane finalizzate (ancora diversi sono i casi delle conversazioni informali e casuali), dall’altro emerge in modo inquietante la noncuranza con la quale, generalmente, si affrontano tali situazioni di vita di lavoro, e di vita tout court.
In tal senso è utile richiamare alla mente ciò che, nella gestione delle risorse umane, spesso affermano i responsabili di struttura: “Lavoro ogni giorno con i miei collaboratori, siamo collocati nello stesso ufficio, che necessità c’è di organizzare dei colloqui formali per parlarsi?”. In modo speculare, il genitore afferma che “Ogni sera ceniamo insieme, se mio figlio ha da dirmi qualcosa me la può dire in quel momento…”.
L’idea che possa essere necessario definire uno spazio e un tempo, un contesto e una modalità, al fine di conversare proficuamente con un’altra persona – fosse anche il collaboratore che si incontra ogni giorno, o il figlio con cui si cena tutte le sere – non emerge quasi mai nella mente di molte persone.
Così il capo avrà la sensazione di parlare sempre con i suoi collaboratori, e il genitore di essere sempre pronto a aprire un dialogo con il figlio. Però, se si chiede ai diretti interessati (collaboratori e figli) come percepiscono la situazione, si delinea un quadro assai diverso: i collaboratori vedono il capo sempre indaffarato e le uniche parole che riescono a scambiare con lui sono rapidi input sui compiti da svolgere. Il figlio sente di essere solo e poco compreso da parte di un genitore che non gli offre mai l’opportunità di un dialogo serio e costruttivo, ma solo una generica presenza…
Si deve dunque affermare che in ogni contesto di vita, e di vita di lavoro, essere presenti è importante ma non sufficiente: chi detiene la responsabilità delle situazioni dovrebbe offrire occasioni di incontro mirate e protette ai propri singoli interlocutori.
Così come chi fa parte del team – sia esso il gruppo di lavoro, o il gruppo familiare, in qualunque posizione egli sia nella struttura del gruppo – dovrebbe sempre trovare il modo di farsi avanti e richiedere uno spazio tutto per sé per dialogare.
Richiedere e rendersi disponibili, da ambedue le parti, al dialogo finalizzato che chiamiamo colloquio-intervista postula che tale dialogo si sia capaci di organizzare, condurre e portare a buon fine. In tale prospettiva si delinea l’argomento del metodo (come fare) seguito subito dopo dalle domande sulle impostazioni globali da scegliere a monte prima ancora di entrare sul terreno operativo (le teorie di riferimento) ponendosi infine domande specifiche su cosa fare: le tecniche applicative.
Il dialogo, la conversazione finalizzata, il colloquio, rappresentano paradossalmente una situazione diffusissima, alla quale però raramente si è preparati.
Nella specifica realtà del mondo del lavoro sono sostanzialmente due le strutture di dialogo formali e organizzate che è possibile attivare: il colloquio-intervista individuale (o in tandem), e la riunione. Si tratta di due format socio-organizzativi altamente complessi, due occasioni di vita di lavoro che possono produrre ottimi risultati attraverso un proficuo interfacciamento degli attori organizzativi, ma che possono anche risolversi in pesanti fallimenti, forieri di ulteriori situazioni problematiche.
Ecco lo scopo del libro che ho scritto alcuni anni fa. Trattare di una delle due modalità canoniche di comunicazione nelle strutture organizzative, costituita dalle modalità di colloquio e intervista, al fine di esplicitarne una serie di caratteristiche, di dimensioni e di situazioni.
Partendo dalle definizioni generali e specifiche della realtà organizzativa, passando attraverso una riflessione sui contributi teorici e l’esplicitazione del punto di vista dell’autore (ciò che costituisce la Prima Parte del mio libro), si prendono in esame le dimensioni di fondo del colloquio-intervista: il processo, la dinamica interpersonale, la struttura, i vissuti profondi e i grandi schemi di riferimento che supportano la conoscenza dell’interlocutore (Seconda Parte).
Ciò perché, quale che sia lo scopo pragmatico del colloquio-intervista, una finalità appare sempre presente: conoscere la persona che si ha di fronte. Conoscerla, pur se nello spazio-tempo limitato e fugace di un colloquio-intervista.
La Seconda Parte del libro si chiude dunque con un’analisi dei grandi blocchi qualitativi che fanno di un intervistato un essere umano.
Con la Parte Terza si entra nel merito delle numerose declinazioni organizzative del metodo di colloquio-intervista, mentre nella Quarta Parte si amplierà l’orizzonte conoscitivo per mezzo dell’approfondimento di determinate aree teoriche, metodologiche e relative all’identità personal-professionale degli intervistatori.
Nel capitolo dedicato alle conclusioni è infine proposta una riflessione su taluni aspetti problematici e attuali dell’odierna vita organizzativa.
Brano tratto (modificato) dalle pagine introduttive del mio libro INTERVISTE E COLLOQUI NELLE ORGANIZZAZIONI, edito da Raffaello Cortina, Milano, 2015
Andrea Castiello d’Antonio