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Il colloquio di assessment psicologico nel contenitore istituzionale

Il colloquio di assessment psicologico

41 anni fa ho pubblicato sulla rivista BOLLETTINO DI PSICOLOGIA APPLICATA – allora delle edizioni OS Organizzazioni Speciali, oggi edita da Giunti Psychometrics – il mio primo articolo di psicologia delle organizzazioni.

L’oggetto è un argomento che da quei tempi fino ad oggi non ho mai più abbandonato: l’intervista di selezione, il colloquio di assessment psicologico. Un argomento a cui (nel tempo) ho dedicato 3 libri, il più recente dei quali è INTERVISTE E COLLOQUI NELLE ORGANIZZAZIONI, edito da Raffaello Cortina nel 2015.

Ma del colloquio individuale mi sono da sempre occupato in termini scientifici e professionali (applicativi) anche nel campo della clinica e della psicoterapia, ad esempio scrivendo una nota introduttiva al magnifico trattato di Roger A. MacKinnon, Robert Michels, e Peter J. Buckley, IL COLLOQUIO IN PSICHIATRIA E PSICOLOGIA CLINICA, tradotto nel 2019 in italiano da Giunti Psychometrics nella collana prestigiosa collana di Psichiatria curata da Filippo Di Pirro.

 

 

L’articolo del 1980, LA REALTA’ ISTITUZIONALE NELL’INTERVISTA DI SELEZIONE, nacque in effetti da un connubio tra psicologa del lavoro e psicologia clinica, segnatamente la psicoanalisi.

Sulla base della mia esperienza di allora – parliamo, appunto di oltre 40 anni fa – e operando sia in campo organizzativo, sia in campo clinico (ove, tra l’altro, avevo avuto esperienze presso i CIM e l’Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà di Roma) mi resi conto della presenza di una sorta di un terzo, un terzo elemento, che si poneva tra intervistatore ed intervistato, che conteneva il dialogo, e permaneva come “presenza” certamente non reale – non era questo l’aspetto che mi interessava, cioè l’aspetto sociale e concreto del referente istituzionale – ma come elemento indefinito e poco percettibile che, però, poteva condizionare fortemente il processo del colloquio, alterando ad esempio la reciproca percezione dei due partecipanti all’incontro.

Con una sorpresa mi resi conto che a questa immanente presenza – che avevo chiamato il referente esterno – era già stato dato un nome: la realtà istituzionale. Un fenomeno che fu scoperto dagli psicoanalisti che lavoravano sul significato del setting e sui colloqui iniziali che venivano effettuati presso gli istituti di psicoanalisi. Situazioni, cioè, in cui il clinico ed il paziente si incontravano contenuti in un contenitore, dentro l’istituzione.

Avevo letto anni prima il resoconto di questa esperienza in una articolo del 1976 sulla Rivista di Psicoanalisi a firma di Piero Bellanova e del suo gruppo di lavoro, e decisi di utilizzare lo stesso termine, realtà istituzionale, dato che l’oggetto indicato era simile.

Dunque, nei colloqui che si svolgono in ambito organizzativo e istituzionale non vi è mai una situazione in cui le due persone sono “sole” una a confronto con l’altra: è sempre presente – tanto più è pregnante l’immagina fantastica dell’istituzione – un elemento terzo, un elemento che può giocare diversi ruoli. Può essere, ad esempio, rassicurante, o disturbante, per uno o per entrambi i membri della coppia in colloquio.

A questo mio breve articolo pubblicato nel 1980 – che sottotitolai Comunicazione preliminare – fecero poi seguito numerosi altri articoli, sempre nel campo della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, e sempre pubblicati sulla rivista Bollettino di Psicologia Applicata.

Sono così trascorsi diversi decenni da quando Piero Bellanova scriveva “Come vedrete dai casi clinici che verranno esposti, l’Istituzione ‘Istituto di Psicoanalisi’ viene sentita da entrambi i componenti della coppia analitica a volte come protettiva, a volte come svalutante, sempre come un elemento costitutivo del rapporto…” (Bellanova P., Amati J., Argentieri S., Batini M., Cargnelutti E., Giordanelli L., Paulin P., Vergine A., Zerbino E., 1976, “Realtà istituzionale e setting”. Rivista di Psicoanalisi, 3, 409-438.

Andrea Castiello d’Antonio