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La seduta può essere svolta presso il mio studio oppure online tramite videochiamata.
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Prendo spunto da un commento del consulente Jo Owen pubblicato in rete qualche tempo fa per riflettere sul potere di demotivazione che hanno i capi – superiori, dirigenti, capi-ufficio, manager e leader, come si voglia denominarli – sui propri collaboratori diretti.
Jo Owen è l’autore di importanti libri sulla leadership – qui la sua trilogia, tre libri tradotti in italiano da Giunti Psychometrics, con la mia “Prefazione”:
– ed è una persona che può scrivere con grande competenza sulla gestione delle risorse umane e sul mestiere di capo.
Ci vuole davvero molto poco per demotivare i propri collaboratori, ma anche per incrinare o distruggere il clima di cooperazione e di fiducia. Come ho scritto in un articolo di qualche tempo fa, è sufficiente un Thanatoforo per annientare un gruppo di lavoro.
Come fare per dare il colpo di grazia alla motivazione, al commitment, allo spirito di partecipazione, alla (semplice?) voglia di lavorare dei propri collaboratori?
Ecco come.
1) Creare un clima di incertezza in cui le persone non sono mai sicure di ciò che si deve fare e di dove si deve, o si può, arrivare nella gestione del proprio ruolo.
2) Gestire le informazioni in modo opaco, nascosto, confusivo – o non permettere che esse circolino del tutto – in modo che ciascuno sappia pochissimo di ciò che accade e di ciò che stanno facendo i colleghi.
3) Cambiare continuamente le priorità, assegnare compiti senza dare le risorse, intervenire pesantemente su ciò che è stato delegato interrompendo costantemente il flusso di lavoro di ciascun collaboratore.
4) Accentrare il più possibile e controllare l’andamento del lavoro con “il fiato sul collo”, svolgendo “false deleghe” o assegnando ai migliori i compiti più stupidi, e ai peggiori quelli più difficili.
5) Essere umorali e imprevedibili in modo tale che tutti abbiano timore di venire a parlare con voi e tendano a chiedersi, preventivamente, “di che umore è oggi il capo?”, sapendo comunque che se si entra con 1 problema se ne esce con 2.
6) Diffondere a piene mani paura sul futuro, incertezza sul rapporto di lavoro, inquietudine su come procede l’attività, agitando lo spettro di spostamenti, trasferimenti, chiusure e licenziamenti.
7) Creare il tipico clima di paura di sbagliare, accusando e accanendosi con chi commette errori o sbadataggini, e soprattutto facendolo di fronte agli altri, in modo che il collaboratore che ha sbagliato si senta anche umiliato.
8) Non essere mai veramente soddisfatto del lavoro svolto, andando alla ricerca del piccolo difetto, di ciò che “si sarebbe potuto fare meglio” e, comunque, astenendosi da ogni forma di apprezzamento e di riconoscimento (mai dare feedback positivi!)
9) Quando qualcosa non va, esplodere senza freni di fronte a chiunque, urlando nei corridoi, pronunciando parole volgari, bestemmiando, fino a prendere qualche foglio o fascicolo e lanciarlo per aria, sbattendo le porte degli uffici.
10) Trattare i collaboratori come inetti, incompetenti, soggetti acefali a cui non è permesso dire, proporre o pensare, ma solo eseguire. Come diceva un vecchio manager “Qui per pensare ci sono io. Tu devi solo fare ciò che ti dico di fare!”.
Ecco, con queste indicazioni e un po’ di buona volontà ciascuno potrà diventare un pessimo capo in pochi minuti e con poco sforzo e creare quel “simpatico” clima organizzativo in cui le risorse umane divengono risorse disumane – qui il mio libro sull’argomento, scritto con Luciana d’Ambrosio Marri.
Per molti dei nostri capi, nella PA e nelle imprese private, non ci sarà necessità di sforzarsi troppo… gli viene naturale distruggere gli altri. Il problema è che c’è qualcuno che li lascia fare, e qualcun altro che, invece di bloccarli per tempo, gli ha permesso di diventare dei… Manager… se non dei Leader…
In Italia siamo pieni di pseudo-manager, e di pessimi leader.
Andrea Castiello d’Antonio