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Occupational Stress
Nell’ambito della serie Advances in Psychotherapy – Evidence-Based Practice, diretta da Danny Wedding, professore emerito presso l’University of Missouri in Saint Louis, già direttore del Missouri Institute of Mental Health, esce questo agile volume (il numero 51) dedicato a uno degli aspetti più inquietanti, e sempre attuali, del nostro mondo del lavoro: lo stress occupazionale, inteso naturalmente nella direzione del distress.
Il libro prende le mosse da alcune recenti ricerche internazionali che indicano la diffusione dello stress e delle sue conseguenze nel mondo del lavoro di oggi, soffermandosi sugli incidenti che questa condizione può favorire e, in generale, sul malessere individuale e sociale che ne deriva. La preoccupazione di descrivere con minuzia di particolari le condizioni stressanti si associa in queste pagine all’attenzione agli aspetti etici degli interventi professionali che potrebbero ridurre l’impatto negativo dello stress sulle persone. Ma ancor più importante è, naturalmente, l’insieme delle considerazioni che sono indirizzate alla prevenzione del fenomeno e i suggerimenti che l’autore offre particolarmente nell’ultimo capitolo (ma molti consigli si possono leggere, tra le righe, in tutte le pagine, osservando ad esempio i risultati di ricerche condotte negli ambienti di lavoro e la miriade di conseguenze che lo stress introduce nella vita delle persone).
Per rispondere alla domanda (una delle tante che l’autore pone) su come aiutare gli hardworking people si passano rapidamente in rassegna alcune altre forme di violenza nel mondo del lavoro, ricordando, ad esempio, che un fenomeno estremo come il karoshi, ancora oggi diffuso, è stato individuato per la prima volta nel lontano 1969.
Dopo aver definito concetti e termini – è qui ripresa una definizione dello stress occupazionale del 1976 che vede il fenomeno come l’interazione tra fattori legati al lavoro con le normali occupazioni del soggetto che forzano quest’ultimo a deviare dal proprio normale funzionamento – si passa a considerare i numerosi job stressors. Questi sono ben differenziati (ad esempio, mi sembra molto utile la differenziazione tra fattori acuti e cronici, acuti e sequenziali) collegando i job stressors con il burnout e altri fenomeni (come lo strain) e analizzando nel dettaglio le conseguenze dello stress, non solo sull’individuo ma anche, ad esempio, sulla famiglia e sulla vita di relazione.
Il capitolo dedicato alle teorie ha il pregio di riassumere in poche pagine i nuclei centrali delle diverse prospettive ma lascia senza dubbio perplessi considerare queste idee o ipotesi delle teorie… Ad esempio, la cosiddetta Role Stress Theory postula semplicemente che lo stress si attiva nel momento in cui una persona deve svolgere più attività diverse, soprattutto se queste sono poco definite, ambigue, tra loro conflittuali, o richiedenti un particolare sforzo. Più che una teoria per spiegare lo stress si tratta di una normale condizione e di una evidente constatazione che salta agli occhi di chiunque abbia esperienza concreta degli ambienti di lavoro di oggi, soprattutto di ambienti competitivi in organizzazioni orientate al mercato.
Il terzo capitolo prende in esame i job stressors nello specifico, così come sono stati studiati in letteratura e così come sono stati oggetto delle meta-analisi: qui mi sembrano interessanti tra altri fattori, (come il conflitto tra le richieste della famiglia e quelle del lavoro, o la richiesta di svolgere compiti non legittimi) la mancanza di controllo sul proprio ruolo e il restringimento delle autonomie operative – qualcosa che riporta immediatamente agli stili di leadership autoritari, ancora oggi così diffusi in certe realtà. Stili che in parte sono richiamati nel quarto ed ultimo capitolo dedicato agli interventi in chiave preventiva e, direi, soprattutto proattiva.
Differenziando i diversi livelli di prevenzione (primaria, secondaria e terziaria) e indicando anche misure di vero e proprio recupero psicoterapeutico nell’ambito degli interventi terziari al fine di sostenere soggetti traumatizzati, l’autore richiama alcune note modalità di gestione dei gruppi orientate a incrementare la partecipazione attiva delle persone. Un tema-problema che si riscontra anche nelle occasioni di formazione verso le quali, primariamente, le persone dovrebbero sperimentare fiducia e motivazione ma – come ben sappiamo – non sempre è così, e soprattutto non è così negli ambienti di lavoro disagiati. È quindi sottolineata l’importanza del ruolo attivo dei superiori e anche la necessità di limitare al massimo gli stili di leadership abusivi e abrasivi. In altre parole, si sottolinea qui un fattore cruciale per ogni intervento di cambiamento e miglioramento delle condizioni di lavoro, e cioè che la gerarchia, il management e i vertici devono essere coinvolti e devono – prima di chiunque altro, loro stessi – essere convinti di ciò che si va facendo e, spesso, dell’urgenza di intervenire.
Il testo si chiude con delle ricche indicazioni bibliografiche suddivise in due sezioni e una Appendice, Tools and Resources, costituita da tre contributi: Self-Report Outcome Measures, Self-Report Resource Measures, e Self-Report Job Stressor Measure – da notare che accedendo al sito Hogrefe con un codice speciale è possibile scaricare questi ed altri materiali che integrano i contenuti del testo.
Un testo sintetico ma senza dubbio ricco di spunti, scritto da una persona che si occupa dell’argomento dagli Anni Novanta (con un taglio squisitamente di ricerca).
Laureato nel 1991, Peter Y. Chen è professore di Psicologia alla Auburn University, fellow della Society for Industrial and Organizational Psychology e, in anni trascorsi è stato editor del Journal of Occupational Health Psychology, e past president della Society for Occupational Health Psychology.
Ha pubblicato soprattutto articoli di ricerca, dedicandosi ai processi di cambiamento nel lavoro visti a livello individuale, organizzativo e industriale, con lo scopo di facilitare la costruzione di un ambiente di lavoro salutare e salubre.
Andrea Castiello d’Antonio
Questa recensione è stata pubblicata in “Qi – Questioni e Idee in Psicologia”
numero 108, Gennaio 2024.