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Quante volte mi è capitato di sentir dire nei convegni, e di leggere in libretti autopromozionali, che il Coaching nasce… con l’opera di Timothy Gallwey!
Un’opinione che si riferisce all’idea dell’Inner Game sviluppata dal simpatico Tim Gallwey ed applicata dall’autore dapprima al TENNIS e poi, in stile-marketing tipicamente nordamericano, ad un’infinità di altri sport ed attività, compresi il GOLF, il LAVORO e (immancabile!) lo STRESS.
Gallwey, che negli anni Sessanta era un “coach”, cioè UN MAESTRO DI TENNIS (!), a capo dell’Harward University Tennis Team, seguì gli insegnamenti del Guru Maharaj Ji e da ciò derivò la sua “folgorante idea” di base: nel tennis, IL PRIMO NEMICO DA AFFRONTARE È DENTRO NOI STESSI ed è necessario sviluppare la concentrazione e l’osservazione non giudicante al fine di implementare la performance.
Pur non volendo sminuire il percorso di ricerca interiore di Gallwey, sostenere che il coaching organizzativo derivi dal ruolo dell’istruttore di tennis è risibile…
Se si avesse la pazienza di studiare LE APPLICAZIONI SQUISITAMENTE PSICOLOGICHE DEL COACHING, anche in tale area applicativa si troverebbero tutte le declinazioni teorico-metodologiche che caratterizzano la storia della PSICOLOGIA e della PSICOTERAPIA: ciò significa che il coaching può essere condotto secondo un’impostazione psicodinamica, comportamentista, psicosociale, cognitivista, cognitivo-comportamentale, sistemica, costruttivista, psicoanalitica e sociodinamica.
Per dire solo delle impostazioni “serie” della psicologia. Poi ce ne possono essere mille altre, con nomi altisonanti, ma inutili o fuorvianti.
Lo stesso “STILE” PROFESSIONALE DEL COACH può variare dalla tendenziale prescrittività alla non direttività, dalla centratura sull’individuo e sulle sue caratteristiche psicologiche, alla centratura sui compiti organizzativi e sui risultati da conseguire, dall’analisi delle qualità personali all’analisi dell’efficacia prestazionale, e così via.
Il coaching ha inoltre delle strette relazioni con una serie di attività limitrofe quali il career development, il career counseling, il mentoring, il bilancio di competenze, il management & leadership counseling, la consulenza al ruolo, l’empowerment, il career guidance, l’orientamento professionale e talune impostazioni di outplacement.
Appare pertanto necessario inquadrare il coaching all’interno di tali orizzonti di riferimento al fine di posizionarlo in modo corretto nelle APPLICAZIONI DELLA PSICOLOGIA A SUPPORTO DELL’ESSERE UMANO AL LAVORO.
Eppure, ancora oggi, il coaching è visto spesso come una “pratica professionale” del tutto avulsa da approcci concettuali, teorie di riferimento e metodologie, cosa che peraltro sancisce l’impossibilità di valutarne seriamente EFFICACIA ED EFFICIENZA.
In effetti, sembra che al momento attuale vi sia poca attenzione alla VALUTAZIONE DEI RISULTATI DEL PERCORSO DI COACHING e che tali risultati, se monitorati, tendano a rimanere al chiuso delle organizzazioni che li producono – si intendono, naturalmente, “risultati affidabili”.
Da parte delle agenzie di consulenza e dei professionisti sarebbe quindi necessario evitare di considerare il coaching come UN PRODOTTO sul quale effettuare operazioni di MARKETING & COMUNICAZIONE PERSUASIVA nei confronti dei potenziali committenti, analizzando invece i reali pregi e limiti di questa attività, socializzandone i risultati sulla base di ricerche qualitative e quantitative.
Vedi i miei contributi sul COACHING nel mio sito web:
https://www.castiellodantonio.it/search/node/COACHING
Andrea Castiello d’Antonio