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L’analisi della solitudine – intesa sia come SENSO DI SOLITUDINE, sia come ISOLAMENTO SOCIALE - nei luoghi di lavoro e, in specie, nei ruoli di responsabilità organizzativa, parte da alcuni assunti di base.
Di questi, il primo afferma che NESSUNA PERSONA NASCE CON UNA NATURALE PREDISPOSIZIONE AD ENTRARE NEL MONDO DEL LAVORO ORGANIZZATO, ove è necessario inserirsi in una predeterminata realtà, costituita, tra l’altro, di diritti e di doveri, nell’ambito di una GERARCHIA ESECUTIVA e con l’obbligo di entrare in contatto con persone che non sono spontaneamente scelte come interlocutori.
Il secondo assunto fa riferimento al fatto che NON POSSIAMO ATTENDERCI, NEL CONTESTO DELLA REALTÀ ORGANIZZATIVA, UN MONDO DI PERSONE, COSIDDETTE, SANE; al contrario, nei luoghi di lavoro ci si incontra, e ci si scontra, con un’ampia gamma di personalità e comportamenti, alcuni dei quali (o molti, secondo le situazioni), sono intrisi da sentimenti negativi.
Esiste, quindi, un mondo emotivo, dinamico e relazionale che si muove al di sotto di ciò che è visibile e che costituisce il lato nascosto, oscuro, della vita di lavoro.
Detto questo, LA FENOMENOLOGIA DELLA SOLITUDINE ORGANIZZATIVA può essere considerata sia dal punto di vista della persona, sia da quello delle vicende organizzative.
Ponendosi nella prima ottica, emergono almeno TRE MOMENTI in cui il soggetto può andare incontro a forti vissuti di solitudine interiore.
Il primo di questi è proprio il momento dell’INSERIMENTO IN AZIENDA, l’ACCOGLIMENTO DEL NUOVO ASSUNTO, il processo di ONBOARDING, un periodo critico e delicato, spesso ancora trascurato, oppure curato nei soli aspetti burocratici e contrattuali, o nei soli aspetti di informazione globale rispetto all’organizzazione come sistema.
Un secondo momento critico è rappresentato dall’ETÀ DI MEZZO, il momento in cui la persona si trova a fare un BILANCIO DELLA PROPRIA VITA LAVORATIVA – e della propria vita, in generale – rendendosi conto, in modo più o meno realistico, doloroso o speranzoso, di ciò che ha potuto fin a quel momento realizzare, di ciò che non è riuscito a fare e, soprattutto, del tempo che ha ancora davanti a sé per provare a concretizzare le proprie aspirazioni e desideri.
Il terzo momento di rilevanza per i vissuti di solitudine è quello che coincide con l’avvicinarsi della fine della vita attiva di lavoro: le fasi di PRE-PENSIONAMENTO E L’USCITA DAL MONDO DEL LAVORO.
Non è nemmeno il caso di dire che tale fase è del tutto ignorata dal mondo aziendale, che in genere tratta la faccenda con un atteggiamento burocratico e normativo, a meno che il soggetto in fase di uscita non presenti un bagaglio di conoscenze ed esperienze che possa ancora venire utilizzato professionalmente e, pertanto, possa essere legato all’azienda anche dopo il pensionamento, ad esempio attraverso contratti di consulenza.
Generalmente, LA PERSONA CHE HA SPESO DIVERSI DECENNI DELLA SUA VITA NEL MONDO DEL LAVORO (e che, in alcuni casi, fino ad un giorno prima dell’uscita dall’azienda, si sentiva considerata indispensabile), HA LA NECESSITÀ DI VEDERE RICONOSCIUTA LA SUA VITA LAVORATIVA, di ricevere un segnale del valore del tempo che ha impegnato e degli sforzi che ha compiuto nel corso degli anni di lavoro. Se manca tale riconoscimento – soprattutto nelle sue forme umane, simboliche e relazionali – il soggetto si ritrova improvvisamente catapultato in un mondo diverso, come se la sua vita precedente fosse stata chiusa da un attimo all’altro, senza nulla più offrirgli, né testimoniargli.
Tra i momenti critici delle vicissitudini organizzative che possono far emergere sentimenti di solitudine, vanno soprattutto segnalate LE FASI DI RIORGANIZZAZIONE AZIENDALE, DI RE-INGEGNERIZZAZIONE (I PROGETTI DI BPR E DI RIDISEGNO ORGANIZZATIVO) e di riposizionamento competitivo sul mercato.
Tali importanti processi - che spesso le aziende affrontano con L’ANSIA DELLA SOPRAVVIVENZA e, comunque, con la necessità di giungere rapidamente ad un nuovo assetto che consenta loro di riproporsi sul mercato con una nuova forza – tengono poco conto dei riflessi e delle RICADUTE SUL FATTORE UMANO, cioè sulle singole persone e sui team che sono implicati necessariamente in tali cambiamenti.
IL COSTO UMANO DI TALI RIORGANIZZAZIONI passa in secondo piano ma, all’interno di esso, situazioni di isolamento sociale e di solitudine interiore possono essere frequenti, attivate anche dalle dinamiche di gruppo che tali processi innescano, compreso il timore di venire espulsi, più o meno esplicitamente e concretamente, dalla vita attiva dell’organizzazione.
Non sono, in ultimo, da trascurare – come cause ed effetti del sentimento di solitudine - LE MANIFESTAZIONI DELLA VIOLENZA ORGANIZZATIVA, un fenomeno ormai chiaramente emergente che va sotto il nome di bullismo, mobbing e bossing, e che si collega strettamente alla difficile gestione dell’aggressività personale e di gruppo nell’ambito dei sistemi socio-organizzativi. Un argomento, quello della AGGRESSIVITA’ DISTRUTTIVA NEL LAVORO, al quale ho dedicato il mio libro che uscirà nel corso del 2024.
Nell’ambito delle tante e diverse condizioni di solitudine organizzativa, spicca il SENTIMENTO DI ESSERE SOLO, pur essendo oltremodo impegnato socialmente, delle persone che ricoprono ruoli di responsabilità organizzativa e, in specie, dei manager di medio-alto ed elevato rango gerarchico.
Come è stato notato i manager e i leader che sono al vertice delle piramidi organizzative si trovano nella duplice situazione di ESSERE AL DI SOPRA E DI ESSERE AL CENTRO.
La prima condizione fa riferimento al loro stesso posizionamento, al vertice, appunto, di un settore, di una divisione, di un servizio aziendale, dalla quale il leader guarda lontano e indica il percorso a chi è a lui subordinato; la seconda condizione pone il gestore di responsabilità organizzative al centro di numerose vie interne e soprattutto al centro degli sguardi e delle valutazioni del mondo dell’impresa.
Tenere il ruolo, sopportare tale genere di stress e rimanere sempre all’altezza delle aspettative proprie ed altrui, costituisce un potente fattore destabilizzatore nell’economia mentale del manager e del leader.
In tali situazione, LA GESTIONE SIMULTANEA DEL POTERE DI RUOLO E DEL POTERE DI POSIZIONE ORGANIZZATIVA, delle responsabilità collegate alle finalità del proprio ruolo e del settore che si governa, dell’autorità che l’esercizio della leadership impone e della propria stessa ansia - legata alla GESTIONE DELLE INCERTEZZE, alla presa di decisione in assenza di elementi chiari e completi, alla tempestività richiesta dall’azione - rende il soggetto particolarmente esposto ai sentimenti di solitudine.
In particolare, lo stretto rapporto con l’esercizio del potere e la gestione della propria area discrezionale, porta frequentemente la persona a non confidarsi più con nessuno all’interno dell’azienda, ad essere diffidente, VEDENDO IN CIASCUN INTERLOCUTORE UN POTENZIALE COMPETITORE O, COMUNQUE, UN’INSIDIA PER IL PROPRIO RUOLO.
Insieme a ciò, la gestione delle numerose situazioni stressanti e della propria stessa insicurezza, unite alla necessità di mantenere il ruolo, di GARANTIRE IL PRESIDIO DELLA POSIZIONE ORGANIZZATIVA E DI MANTENERE UN’IMMAGINE SOCIALE ORGANIZZATIVA OTTIMALE E PRIVA DI OMBRE O DIFETTI, conduce il soggetto ad isolarsi dall’ambiente che lo circonda nei termini di rapporti leali, aperti, di scambio e di comunicazione interpersonale non immediatamente finalizzata.
In tale isolamento, LA GESTIONE DELLE DECISIONI E LA STESSA PRESA DI DECISONE ASSUME UN CARATTERE ALTAMENTE RISCHIOSO, in quanto le scelte vengono frequentemente decise senza un aperto e completo confronto con gli interlocutori interni, i quali potrebbero dare valore aggiunto o potrebbero segnalare limiti, rischi o difetti, delle scelte che si ha in mente di praticare.
In tale condizione esistenziale, è molto facile PERDERE IL SENSO DEL LIMITE E DEI CONFINI – PERSONALI, PROFESSIONALI, MANAGERIALI E ORGANIZZATIVI – facendosi trasportare da illusioni fantastiche che possono portare la persona molto lontano dalla realtà, INCRINANDO APPUNTO QUEL SENSO DELLA REALTÀ che costituisce una delle basi della sana identità personale e della possibilità di avere un contatto psicologicamente realistico ed equilibrato con il mondo esterno.
Il sentimento di solitudine, nel mondo aziendale, È UN SINTOMO UBIQUITARIO E NON RIGUARDA SOLTANTO I MANAGER E I LEADER.
In conclusione, il mondo del lavoro e l’attività manageriale e/o professionale possono costituire per alcuni delle TRAPPOLE nelle quali una non adeguata identità personale ricerca il proprio riscatto, non accorgendosi, in tal modo, di avviare il percorso di sviluppo individuale verso una china in cui si perdono i principali valori di base della vita, il senso delle proporzioni, il rispetto per se stessi e per gli altri, con notevoli e diversi effetti negativi (sociopatologici) sui gruppi di lavoro e sull’organizzazione nel suo complesso.
Andrea Castiello d’Antonio