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PSICOTERAPIA. VADO IN TERAPIA: SI, NO, FORSE… I TANTI TIMORI DI INIZIARE UN “PERCORSO” …

psicoterapia

È abbastanza naturale nutrire almeno qualche perplessità iniziale circa l’opportunità di affidarsi ad una persona esperta di psicologia clinica al fine di farsi aiutare – una persona che, in molti casi, è un perfetto sconosciuto. Non a caso la decisione di entrare in terapia e, ancor prima, di prendere il fatidico “primo appuntamento” viene dopo un certo tempo dall’idea iniziale; spesso dopo averne parlato con parenti e amici, dopo aver consultato il medico di fiducia, dopo essersi informati in rete scoprendo, ahimè, che non è affatto semplice orientarsi.

Ogni persona è un mondo a sé stante e ogni persona pensa, fantastica, immagina a suo modo “cosa” potrà essere una psicoterapia: la presa di decisione non è mai semplice anche se spesso è vissuta con pathos, quasi come se fosse una scelta dalla quale, una volta compiuta, non si torna più indietro…

È stato detto che molte persone entrano in terapia perché avvertono di vivere in modo problematico le proprie relazioni più intime e sentono confusamente di avere problemi con il mondo emotivo, in specie con i sentimenti di amore e odio, mentre altri si sentono persone non-amabili o avvertono intorno a loro l’esistenza di un mondo oscuramente pericoloso e non amichevole. In realtà, vi sono molte motivazioni che possono spingere alla terapia psicologica, alcune soft e altre assai dure e imperiose, comunque tutte valide, legittime e importanti agli occhi della persona che le vive. Vedremo nei capitoli 3 e 4 tutte queste motivazioni.

La psicoterapia, in ogni sua forma, si colloca all’interno della psicologia clinica, o clinica psicologica, secondo la differenziazione proposta da Cesare L. Musatti (1952); ma che cosa è la psicologia clinica? “La psicologia clinica è un ambito scientifico e professionale che mira sia ad accrescere la nostra comprensione del comportamento umano sia a promuovere un miglior funzionamento individuale. Gli psicologi clinici studiano e applicano tecniche e principi psicologici tesi a migliorare la persona. Tra i loro compiti: la ricerca, l’insegnamento, la diagnosi o la valutazione, la psicoterapia e i programmi che migliorano le prestazioni e il benessere psicologico dell’individuo” (Reisman, 1999).

Sulla base di questa definizione si potrebbe considerare la possibilità di fare una psicoterapia con maggiore serenità. Ma, come ben sappiamo, gli argomenti razionali possono poco di fronte a timori irrazionali; per meglio dire, a timori che in parte sono irrazionali ma che in altra parte sono legati sia alla naturale possibilità di commettere errori dell’essere umano nelle vesti di psicoterapeuta, sia alla reale possibilità di imbattersi in un terapeuta inesperto, incompetente, o “semplicemente” nevrotico…

Ecco un esempio reale di incertezze e timori di una persona al suo primo contatto con la terapia: “Marina, una paziente in un momento di possibile cambiamento, in cui non sa se potersi fidare o no, se accedere a un legame autentico o no – legame che è desiderato ma anche temuto perché accenderebbe emozioni non facili da gestire – sogna che un topo entra nella sua casa: è un topo bianco e nero. ‘Strano’, aggiunge, ‘nero come una mucca. Bianco come un topo, ma i topi portano la leptospirosi e si muore’. In fondo Marina non sa se l’analista che è riuscito a raggiungerla sia una mucca che dà cose buone o se sia un topo che porta morte. Se le emozioni nutrono o se le emozioni uccidono” (Ferro, 2010).

 

Timori e perplessità

Vi sono, dunque, diversi elementi che rendono il compiere questo passo così difficile – e a breve ne vedremo alcuni – iniziando con una considerazione di tipo globale: nell’attuale era del narcisismo socialmente diffuso, se è spesso difficile per lo psicoterapeuta “aiutare” una persona, è ancora più difficile che la persona accetti di farsi aiutare!

Questo è uno dei problemi di fondo di coloro che avrebbero necessità di una psicoterapia ma rimandano continuamente, e non si decidono ad intraprenderla – o, almeno, non lo fanno nel momento giusto. L’idea di aver bisogno di qualcun altro per risolvere problematiche personali è un’idea ostica da accogliere in se stessi; non vi è bisogno di arrivare agli estremi esemplificati nell’uomo che non deve chiedere mai, nelle figure di Superman e Wonderwoman, o considerare la cosiddetta sindrome di John Wayne per comprendere che si deve venire a patti con la propria fragilità, con il bisogno di essere aiutati e con il coraggio di chiedere aiuto per arrivare, finalmente, al punto di suonare il campanello dello studio del terapeuta.

Il vivere in un mondo altamente tecnologico in cui può sembrare che l’essere umano domini qualunque genere di situazione non aiuta a entrare in sintonia con le proprie debolezze o, semplicemente, con qualcosa che non si è capaci di fare – o, più spesso, di essere. Culture sociali, ma anche culture familiari, esempi, modelli di riferimento e dogmi legati all’essere performanti, assorbiti fin dagli anni adolescenziali – e uniti alla necessità di vedersi sempre in piena forma e vincenti – rappresentano elementi frenanti da tenere ben presente.

Non possono poi essere trascurati i detrattori della psicoterapia. Tali soggetti possono far parte, da un lato, delle frange più retrive e meno acculturate di ampi settori della popolazione per le quali ciò che conta è il corpo e, se non si hanno malattie fisiche, tutto il resto è “immaginazione e fantasia” (in alcuni casi, ancora oggi, si parla di “possessione satanica” e si richiede l’intervento dell’esorcista…).

Dall’altro esistono denigratori incarnati da esponenti di interessi particolari i quali, con l’avvento delle psicoterapie, hanno visto ridursi il loro profitto (talvolta queste due categorie coincidono). Per non dire della vecchia, retriva, cultura che ancora oggi alberga in alcuni medici di medicina generale, di famiglia e medici di base per i quali ogni atto di cura è di loro unica e indiscutibile competenza: professionisti, o apparentemente tali, che alle strette possono eventualmente esclamare “Se proprio vuole, vada a farsi due chiacchere con uno psicologo…”.

Ma se ogni atto di cura fisico o psichico dovesse essere appannaggio del medico, chi potrebbe occuparsi di ciò che non è né corpo né mente? La risposta è stata (e, in parte, ancora è) il sacerdote! Ed è così che la realtà psicologica dell’essere umano è stata (ed è) compressa tra il medico sapiente e il prete onnisciente, tra chi cura il corpo (e con esso tutto il resto) e chi si occupa dello spirito, dell’anima.

Lo sviluppo della psicofarmacologia, per tanti aspetti così importante e utile, nondimeno è stato spesso accompagnato da campagne di marketing subdole e/o aggressive da parte di talune case farmaceutiche che, com’è ovvio, hanno interesse a proporre terapie chimiche come unica cura per le problematiche mentali, e a svalutare ogni forma di psicoterapia.

Ancora oggi, in molti ritengono che alla psicologia e alla psicoterapia si possa “credere” o “non credere”, come se si trattasse di una religione… La realtà del mondo psicologico interno non pare ancora ben salda, né a tale saldezza giovano opinioni come la seguente, espressa da una mia conoscente che per anni impedì al marito di consultare uno psicoterapeuta perché… “Non puoi andare a raccontare i fatti nostri a un estraneo!”.

Dunque, vi è un fattore socio-culturale che può ostacolare l’inizio di un percorso di cura psicologico; da sottolineare “psicologico”, nel senso che è naturalmente molto più semplice, per tutti, recarsi da un medico per risolvere un problema fisico. Il punto è proprio questo, cioè che si tratta di qualcosa di personale, soggettivo… psicologico. Ma vi è anche un fattore squisitamente mentale che può impedire a una persona bisognosa di supporto e di cure psicologiche di prendere una decisione in merito a quando, come e con chi intraprendere un percorso terapeutico: si tratta di ciò che è indicato con il concetto di ambivalenza (di cui si parlerà tra breve).

 

Andrea Castiello d’Antonio

 

Tratto dal mio libro: Scegliere lo psicoterapeuta. Una guida per pazienti e terapeuti. Editore Hogrefe, Firenze, 2022.