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Primo, non curare chi è normale

Autori: 
Allen Frances
Casa editrice: 
Bollati Boringhieri, 2014, Pp. 340.

Nell’ambito delle discussioni sulla diagnosi psichiatrica, questo nuovo libro di Frances si situa in modo tempestivo e interessante a valle della pubblicazione della nuova release di quella che è denominata “la bibbia” della psichiatria, cioè il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, pubblicato nel 2013 dalla American Psychiatric Association e tradotto in italiano dall’editore Raffaello Cortina (2014). Il DSM è oggi giunto alla sua quinta edizione e le polemiche non sono mancate, sia nel corso degli anni di preparazione del manuale, sia subito dopo la sua pubblicazione.

Frances si inserisce con competenza scientifica e professionale nel dibattito e ne ha piena legittimità, non solo per i suoi notevolissimi contributi alla diagnosi delle psicopatologie, ma anche perché ha guidato la Task Force che ha prodotto l’edizione precedente del Manuale, il DSM-IV. E, come egli stesso afferma introducendo il suo libro, le sue riflessioni sono, contemporaneamente, un’accusa, una manifestazione di rammarico per non aver potuto “fare di meglio” nell’avvertire dei rischi gli staff che hanno sviluppato la quinta edizione, e una parziale autocritica in riferimento al ruolo avuto nella predisposizione dell’edizione precedente.

L’obiettivo di questo volume è duplice: da un lato sollecitare gli psichiatri, e tutti gli operatori della salute mentale, a non patologizzare la normale vita quotidiana delle persone che si trovano in situazioni difficoltà esistenziali momentanee e episodiche – quindi: non curare la normale sofferenza umana che emerge in risposta ai fatti della vita come possono essere lutti, separazioni e momenti di forte distress -. L’altro obiettivo è quello di indicare alla psichiatria una giusta e retta strada al fine di prendersi davvero cura di coloro che ne hanno realmente bisogno, rivitalizzando una disciplina medica che ha un forte significato nella società di oggi e che svolge un ruolo così importante nella prevenzione e nella salvaguardia della salute mentale delle collettività.

Le riflessioni dell’autore partono naturalmente dalle specificità della situazione statunitense (specificità relative al sistema di assistenza sanitaria, al sistema assicurativo e legale), muovendosi verso una critica globale alla de-psicologizzazione della vita interiore delle persone, oggi stretta tra le neuroscienze e la psicofarmacologia. Questa sorta di de-umanizzazione del soggetto ha contribuito a condurre all’attuale catalogazione di circa quattrocento disturbi mentali elencati nelle pagine del DSM-5, una catalogazione ancora più criticabile agli occhi di Frances perché definita da un gruppo tutto sommato ristretto di psichiatri: gli psichiatri rappresentati dalla American Psychiatric Association sono circa il 7% degli psichiatri esistenti al mondo!

In sostanza, accade che le normali condizioni di sofferenza umana che possono capitare a chiunque nel corso della vita, si trasformino in disturbi mentali da affrontare con precise e pesanti terapie farmacologiche, impoverendo quella che l’autore definisce “la diversità umana”, cioè la ricchezza del panorama delle diverse risposte ai fatti della vita: “la diversità umana ha i suoi scopi, altrimenti non sarebbe sopravvissuta alla lotta evolutiva. I nostri antenati ce l’hanno fatta perché la tribù riuniva una vasta gamma di talenti e inclinazioni” (p. 307).

L’attuale configurazione del DSM è dunque criticata per l’imperante positivismo, per il riduzionismo, per l’etichettatura di “malattia” rispetto ad una quantità di fenomeni psicologici umani (del bambino, dell’adolescente e dell’adulto, fino alla senescenza), e per i contraccolpi che tutto ciò comporta. Un esempio è costituito dalla dimensione dell’ansia sociale: “la Fobia Sociale ha trasformato la timidezza quotidiana nel terzo disturbo mentale più diffuso, con una prevalenza che va da un 7 a un assurdo 13 per cento, a seconda di quanto è disinvolta la diagnosi” (p. 176).

Questa inflazione diagnostica è da collegare – secondo l’autore, ma anche secondo molti altri esponenti internazionali – agli interessi delle case farmaceutiche che producono farmaci psicotropi: “questo fenomeno ha prodotto enormi profitti che hanno dato all’industria farmaceutica i mezzi e il pretesto per gonfiare la bolla diagnostica in un enorme pallone in continua espansione” (p. 99).

Il rischio ulteriore è quello di curare con gli psicofarmaci persone che non ne hanno necessità, e di trascurare, invece, i pazienti gravi che andrebbero seguiti in modo molto attento con combinazioni ben calibrate di principi attivi. Ma Frances è anche molto attento a che la lettura del suo libro non provochi una generalizzata critica alla psichiatria da parte dei soggetti più diversi che puntano alla vera e propria demolizione della disciplina, magari sulla base di un malinteso concetto di malattia mentale socialmente indotta e provocata. Inoltre l’autore chiama in causa i medici di base, i quali troppo disinvoltamente prescrivono psicofarmaci ai propri pazienti, e i pazienti stessi, che coinvolti comunque nelle politiche di marketing delle case farmaceutiche, richiedono la pillola piuttosto che farsi carico esistenzialmente del proprio stato di salute e indirizzarsi verso la cura psicologica. Proprio da tale punto di vista l’autore evidenzia la disparità di forza di impatto tra la psicofarmacologia (sostenuta dalle potenti industrie) e la psicoterapia: una pratica artigianale che non ha alcun potere di influenzamento sociale e di indirizzamento del consumo dei potenziali pazienti.

Infine, è da segnalare che Frances – professore emerito di psichiatria presso il Dipartimento di Psichiatria e di Scienze Comportamentali della Duke University School of Medicine di Durhan, in North Carolina (USA) - è stato diverse volte in Italia per partecipare a conferenze. Ad esempio, è possibile vedere il video del suo discorso all’incontro di Bologna del 22 ottobre 2011 "Psichiatria tra diagnosi e diagnosticismo. Il DSM-5", con traduzione consecutiva di Paolo Migone, al link: