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PSICOLOGIA DELLA CONDOTTA
Parlare di “condotta”, e non solo e semplicemente di “comportamento”, rappresenta una scelta di base significativa e sta ad indicare un’opzione teorica di fondo. Il concetto di condotta, infatti, è assai più ampio di quello di comportamento (che è incluso) prendendo in esame il contributo di altri indirizzi come quello psicoanalitico e della Gestalt, per giungere a un’idea di condotta come l’insieme delle manifestazioni psicologiche, sociali e fisiche che caratterizzano l’individuo posto in ambiente sociale e a confronto con le proprie mete e le proprie necessità, ma con il fine primario di conservare o regolare il proprio livello di integrità.
Questo testo a cura di Lorenzo Sartini e Alejandro Fasanini si colloca, dunque, in un’area ampliata della psicologia a sfondo clinico, con una forte attenzione alle variabili sociali, sociologiche, culturali e filosofiche, trovando appunto nel concetto di condotta il momento di incontro di varie discipline e di differenti punti di vista sull’uomo. Sull’uomo incarnato nella società, nella vita reale e quotidiana, nel tumulto delle vicende di vita: non a caso l’autore si è a lungo occupato di psicologia sociale, di dinamica dei gruppi, delle vicende delle persone che operano nelle istituzioni, con un occhio sempre molto attento alla prevenzione del disagio umano – vedi il suo lavoro Psicoigiene e psicologia istituzionale. Psicoanalisi applicata agli individui, ai gruppi e alle istituzioni (La Meridiana, Molfetta, 2011).
Bleger mostra una speciale attenzione a ragionare in termini di dinamiche e fenomeni, rifuggendo dalla reificazione e dai dualismi che così spesso hanno caratterizzato alcune aree della psicologia e considerando la persona all’interno della sua rete di relazioni e di clima storico-sociale-culturale, con una nota sui meccanismi dei processi di produzione dei mezzi di sussistenza che, in altre parole, significa occuparsi del lavoro umano.
Ecco emergere la persona, il gruppo e le organizzazioni di cui fa parte, le questioni dell’apprendimento e della formazione soggettiva, e il potenziale utilizzo – che solo l’essere umano possiede – della capacità di pensare a se stesso, cioè di fare di sé oggetto di studio e di riflessione.
Dato che la persona, nel contesto organizzativo, è inserita in un ambiente, si tratta di differenziare il campo psicologico dal campo ambientale in senso stretto, cosa che – in altre parole – vuol dire interrogarsi sul senso e sul significato che la persona dà al lavoro, a se stessa nel gruppo, e alla proiezione della propria vita. Sulla sfondo dell’opera di Kurt Lewin (e dei suoi concetti di ambiente psicologico e di spazio vitale) così importante in ogni applicazione della psicologia sociale in ambito organizzativo, ecco emergere l’importante requisito dello sviluppo del senso di realtà nel contesto dei tre ambiti di vita: l’ambito psicosociale, l’ambito sociodinamico e l’ambito istituzionale.
Nel momento in cui si vuole aiutare la persona a sviluppare se stessa si deve fare i conti con il principio dell’omeostasi (generalmente tradotto nella famosa resistenza al cambiamento).
“L’essere umano, così come gli altri organismi viventi, si rende in una certa misura indipendente dall’ambiente che lo circonda, nel senso che mantiene condizioni interne costanti, indipendentemente dalle variazioni che possono verificarsi nell’ambiente esterno” (p. 94). Ma, nonostante tale costante ricerca, come l’autore pone in evidenza nel dodicesimo capitolo, la presenza di elementi contradditori e poco compatibili fa sì che ogni situazione di vita sia, di per sé, potenzialmente conflittuale: il conflitto è presente in tutti e tre gli ambiti sopra richiamati e sta soltanto nella qualità della sua risoluzione l’alternativa tra considerare tale dinamica potenzialmente portatrice di sviluppo oppure bloccante e addirittura patologica.
In sostanza, gli insegnamenti che si possono trarre da un libro come questo possono, di fatto, essere applicati ad una vasta gamma di condizioni umane e sociali, compresa la vita organizzativa e le dinamiche che si muovono nelle istituzioni. Con l’avvertenza, come sottolinea l’autore, di evitare il riduzionismo: di evitare, cioè, di affrontare fenomeni complessi con una sola chiave di lettura. E, forse ancor più grave, di contrapporre la visione sociale e organizzativa a quella psicologica, il gruppo all’individuo, le dinamiche esplicite del mondo organizzativo a quelle implicite.
Scansando pure il rischio di contrapporre la visione molare – che vuole vedere soltanto l’insieme globale e manifesto, diffusa nelle teorie dell’organizzazione – alla visione molecolare, che prende in esame solo l’individuo come se esso potesse vivere isolato dagli altri e dal contesto. Dunque, pur non trattandosi di un testo di psicologia del lavoro, questa opera di Bleger aiuta chi si occupa dell’essere umano nei contesti della vita reale a compiere dei passi in avanti e a formulare alcune risposte in merito alle modalità di azione produttiva.
Josè Bleger (1922-1972), psichiatra e psicoanalista, è stato uno dei maggiori rappresentanti del campo “psy” in Argentina; per ampliare la conoscenza della sua opera, in italiano, si può consultare Simbiosi e ambiguità. Studio psicoanalitico (2010), e il Glossario blegeriano. Un'introduzione ragionata al pensiero di José Bleger (2014) di Raffaele Fischetti, entrambi editi dall’editore Armando di Roma.
Andrea Castiello d’Antonio
Questa recensione è stata pubblicata nel mese di Aprile 2022 nel sito PANORAMA RISORSE UMANE / ISPER