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Il libro s’inserisce nell’area della psicologia clinica e della psicoanalisi applicata allo studio della realtà organizzativa.
Dal 1921, con Psicologia delle masse e analisi dell’Io di Sigmund Freud, si è aperto tale “filone” di studio e riflessione, ben presto divenuto anche un campo d’intervento.
L’input è costituito dalla necessità di andare più in profondità nello studio della leadership, della followership, delle dinamiche dei gruppi di lavoro, delle socio-dinamiche delle istituzioni e delle organizzazioni.
Cosa accade, realmente, nel mondo del lavoro, quando più persone sono insieme per raggiungere un fine produttivo?
Le teorie dell’organizzazione, la psicologia sociale, la psicologia del lavoro, non rispondono a domande sulle dinamiche sottostanti, implicite, profonde che agitano il mondo del lavoro.
Persone, gruppi ed organizzazioni hanno così bisogno di essere letti da altri punti di vista.
Può sembrare strano chiamare in causa la psicologia clinica, anche la psichiatria, per capir cosa accade nelle organizzazioni, ma strano non è. E non si vuole certamente con questo “ospedalizzare” l’azienda o la pubblica amministrazione.
Sono molti i fenomeni che accadono nelle persone, nei gruppi operativi, e nelle organizzazioni, a cui non si riesce a dare risposta se non utilizzando una lente d’ingrandimento profonda.
Alcuni esempi:
Partendo dagli studi sull’essere umano che hanno gettato luce sugli aspetti mentali profondi si possono dare molte risposte a domande simili e, insieme, si può dichiarare che cosa si dovrebbe fare per evitare simili scempi.
Così, il riferimento è la psichiatria – il manager paranoico, il capo ossessivo-compulsivo, non sono invenzioni… - la nevrosi vista non solo sulle persone ma anche sulle organizzazioni (sì, anche le aziende possono essere nevrotiche!), la psicodinamica dei gruppi, lo studio della personalità – del leader, del manager, di chiunque abbia un ruolo di responsabilità – la definizione delle metodologie migliori di assessment per fare detecting, per rilevare in tempo simili problematiche.
Un campo in cui si trova molto e si può molto imparare è la psicologia militare.
E’ con la seconda guerra mondiale, in UK, al momento in cui psichiatri-psicoanalisti come Bion e Rickman sono chiamati come medici-psichiatri militari, che si riformulano due aspetti di vita socio-organizzativa: la selezione degli ufficiali, e la formazione-riabilitazione dei soldati traumatizzati in combattimento.
Con loro lavora Elliott Jaques – anche lui, britannico, allievo di Melanie Klein - nasce l’analisi sociale, in altre parole la Socioanalisi, nell’ambito del Tavistock Institute of Human Relations di Londra. Qui, ad esempio, si identificano le angosce depressive e persecutorie a cui rispondono, per contenerle, le organizzazioni di lavoro, producendone però altre.
Emerge il tema della dinamica affettiva dei gruppi organizzati, dell’importanza del capo e della leadership, e delle patologie della leadership.
Sono indagati gli aspetti nascosti della vita organizzativa, le ansie persecutorie, depressive e le difese individuali, sociali, le resistenze, prima in un contesto socio-assistenziale, poi in una fabbrica in cui Jaques è chiamato come consulente.
Elliott Jaques elabora concetti quali cultura aziendale, clima di gruppo, nota chiari fenomeni psicotici nell’ambito delle situazioni socio-organizzative.
Emerge quel paradigma indiziario che è applicato all’analisi delle organizzazioni come sistemi aperti, come “organismi”, sani, malati.
E’ il 1978 quando Robert de Board pubblica “The Psychoanalysis of Organizations” la prima sintesi del campo, con richiami anche a Kurt Lewin e a quanto si era andato sviluppando in USA.
Diviene così fondamentale la prevenzione: scegliere i capi, creare climi e contesti sociali costruttivi, bloccare le dinamiche di invidia, odio, competizione distruttiva.
Da allora ad oggi emergono vari modelli o scuole, ad esempio l’analisi istituzionale francese, e in Italia la psicosociologia, la psicosocioanalisi, gli studi di Franco Fornari… Ma quando pubblicai PSICOPATOLOGIA DEL MANAGEMENT sul tema specifico della psico-patologia manageriale, in Italia non era stato prodotto granché. A dire il vero nulla, mentre psicoanalisti/consulenti aziendali come Manfred Kets de Vries, Daniel Miller ed altri avevano già parlato di aziende malate e leadership nevrotica. E Otto Kernberg aveva lavorato sui gruppi organizzati, sottolineando la necessità di individuare persone sane da porre nei gangli nevralgici delle organizzazioni (Su questo tema, si legga il mio articolo "Per avere dei buoni manager bisogna scegliere dei buoni manager").
Il malessere organizzativo si presenta come un teatro di vittime e carnefici, quasi sempre inconsapevoli: un sistema che produce “normali danni psicologici”, distruzione di umanità, e che tende a perpetuarsi.
In Italia mi sembra che sia cambiato poco nel corso del tempo.
Non si fa quasi mai una seria psicodiagnosi manageriale.
Non si fa prevenzione.
Si tollera con un’alzata di spalle il manager stupido, incompetente, distruttivo, auto-referenziale.
Non si cura la dinamica del gruppo, lasciando campo aperto ai membri peggiori che inquinano il lavoro.
Nelle situazioni di Mobbing sono sempre troppi i co-mobber, e troppo pochi coloro che denunciano, e che sostengono la vittima (Sul fenomeno del Mobbing, si leggano i miei articoli "Mobbing", "La diagnosi di Mobbing", "La fenomenologia del Mobbing").
Cambierà qualcosa nel futuro?
Andrea Castiello d’Antonio